Art. 74 D.P.R 309/90: partecipazione a più sodalizi criminosi e principio del “ne bis in idem”

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Indice:

  1. Art. 74 d.p.r. n. 309/1990 e rapporto con l’art. 416 c.p.
  2. La Cassazione ammette la simultanea partecipazione a più sodalizi criminosi
  3. Simultanea partecipazione e principio del “ne bis in idem
  4. Il principio del “ne bis in idem
  5. Conclusioni

Art. 74 d.p.r. n. 309/1990 e rapporto con l’art. 416 c.p.

L’art. 74 del T.U. delle leggi sugli stupefacenti (D.P.R. n. 309/1990) punisce l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, che ricorre quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’art. 70, commi 4, 6 e 10, ovvero dall’art. 73 dello stesso T.U. Stup. Il trattamento sanzionatorio per il delitto in esame è differenziato a seconda del ruolo svolto dal soggetto, coloro che promuovono, costituiscono, dirigono, organizzano o finanziano l’associazione sono puniti per ciò solo con la reclusione non inferiore ai venti anni, mentre la mera partecipazione all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope viene punita con la reclusione non inferiore a dieci anni[1].

Il delitto previsto dall’art. 74 D.P.R. n. 309/1990 costituisce norma speciale rispetto all’art. 416 c.p., che punisce l’associazione per delinquere, “perché a tutti gli elementi costitutivi della associazione per delinquere – a) vincolo tendenzialmente permanente o comunque stabile; b) indeterminatezza del programma criminoso; c) esistenza di una struttura organizzativa adeguata allo scopo – aggiunge quello specializzante della natura dei reati fini programmati, che devono essere quelli previsti dall’art. 73 D.P.R. cit. In forza del principio di specialità (art. 15 c.p.) la costituzione di un’associazione finalizzata al solo traffico di stupefacente non potrà essere punita a doppio titolo (ex art. 416 c.p. e art. 73 T.U. 309/90), mentre la costituzione di una associazione finalizzata alla commissione, sia di reati di stupefacente che di reati diversi, potrà essere punita, oltre che dal citato art. 73, anche dall’art. 416 c.p., con riferimento a quell’ulteriore evento giuridico, lesivo del bene tutelato, ravvisabile nella costituzione di una seconda situazione di pericolo, autonomamente ravvisabile, con particolare riferimento a quegli elementi del reato associativo indicati sub b) e c) che, rientrando nella previsione di carattere generale, si sottraggono a quella speciale e, perciò, sfuggono, alla disposizione dell’art. 15 c.p.[2].

La Cassazione ammette la simultanea partecipazione a più sodalizi criminosi

Proprio in tema di associazione per delinquere ex art. 416 c.p., la Cassazione ha avuto modo di puntualizzare che: “è possibile ritenere la contemporanea appartenenza a diverse associazioni allorché un soggetto faccia parte, anche in coincidenza temporale, di un organismo criminoso che, oltre a operare in proprio, sia anche inserito in una «federazione » di analoghi organismi, avente sue proprie e distinte finalità, in funzione delle quali appunto essa è stata concepita e realizzata[3].

Il medesimo concetto è stato successivamente ribadito della Suprema Corte in una sentenza del giugno 2008, nella quale ha affermato che: “è possibile la simultanea partecipazione a più sodalizi criminosi, in specie quando una delle associazioni sia costituita con il consenso dell’altra e operi sotto il suo controllo oppure sia a questa legata da vincolo federativo; in sostanza, anche nel campo dell’economia criminale ben può verificarsi, come nell’ambito delle attività lecite, che un soggetto sia contemporaneamente socio di più società, fenomeno tanto più frequente quando la partecipazione riguarda la società controllata e quella controllante. Pertanto, in presenza di strutture coordinate o subordinate l’accertamento dell’esistenza di un’unica associazione o di distinte organizzazioni criminali è questione di fatto che va risolta – in assenza di documentati rapporti contrattuali – con l’esame di indici materiali congruamente apprezzati in base alle regole di esperienza[4].

Simultanea partecipazione e principio del “ne bis in idem

La sopra citata sentenza originava dalla proposizione di due distinti ricorsi per Cassazione avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione, che aveva respinto l’istanza di revoca parziale della condanna inflitta dalla Corte d’Assise di Appello di Milano nel 2000, per pretesa duplicazione di giudicato rispetto al reato oggetto della meno grave condanna irrogata dalla Corte d’Appello di Palermo nel 2003, non ravvisando identità storiconaturalistica dei fatti nelle due sedi giudicati. I ricorrenti denunciavano, oltre che la carenza o l’illogicità della motivazione, la violazione dell’art. 74 D.P.R. n. 309/1990 e dell’art. 669 c.p.p., quest’ultimo diretto a porre rimedio alle situazioni di incompatibilità tra due o più sentenze irrevocabili pronunciate per il medesimo fatto e contro la stessa persona, con conseguente loro ineseguibilità, esprimendo così il principio del c.d. “ne bis in idem”. A parer loro, il giudice a quo si era limitato ad un riscontro letterale fra i capi di imputazione dei due processi, senza tener conto della struttura della fattispecie associativa, qualificata dallo specifico programma di attività delittuosa che, nel caso in esame, era lo stesso, essendo pacificamente riconosciuto che il gruppo operante in Sicilia e là giudicato non costituiva altro che uno dei canali di rifornimento della più ampia organizzazione dedita allo spaccio di varie specie di droga, rispetto alla quale il ricorrente operava nella veste direttiva e di finanziatore.

La Cassazione rigetta il ricorso, sulla base della considerazione per cui l’autonomia del vincolo associativo giudicato dalla Corte d’Appello di Palermo è stata affermata in ragione di plurimi e convergenti dati sintomatici: la struttura è stata costituita circa dieci anni dopo l’inizio dell’operatività del gruppo “milanese”; non vi è piena coincidenza soggettiva; il campo di operazione è diverso e più limitato, riguardando il rifornimento di alcune soltanto delle molteplici tipologie di stupefacenti trattate dalla più antica organizzazione; i mezzi navali sono stati apprestati in vista di particolari esigenze del traffico con una specifica fonte di approvvigionamento; pur essendo l’attività di entrambe le strutture largamente estesa nel territorio nazionale e all’estero, l’operatività dell’una si è esplicata in via prioritaria in un luogo, mentre l’altra ha operato principalmente in un altro, e ciò richiede una differenziazione a livello organizzativo.

Dalla sentenza testé esposta emerge lo stretto collegamento tra la simultanea partecipazione a più sodalizi criminosi da parte di un unico soggetto da un lato, e il principio del “ne bis in idem” dall’altro.

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Il principio del “ne bis in idem

Il principio del “ne bis in idem” impone il divieto di doppio giudizio per il medesimo fatto, divieto sancito dall’art. 649 c.p.p., rubricato proprio “Divieto di un secondo giudizio”, nonché dall’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: si tratta di una regola che opera in primo luogo sul piano processuale e ha la funzione di garantire la certezza in senso soggettivo impedendo che il soggetto già giudicato sia nuovamente sottoposto a processo per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per titolo, grado o circostanze. L’art. 649 c.p.p. al comma secondo aggiunge che: “se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo”.

Le uniche due eccezioni al divieto in esame riguardano l’accertamento dell’erronea dichiarazione di morte dell’imputato ex art. 69, comma 2, c.p.p. e l’intervento della condizione di procedibilità prima inesistente ex art. 345 c.p.p. Non costituisce, invece, una eccezione la revisione in quanto diretta alla caducazione della sentenza di condanna, mentre le ipotesi eccezionali di revisione in peius costituiscono autentiche eccezioni al principio del “ne bis in idem”. Per contro, non appare ravvisabile una eccezione nella revoca della sentenza di non luogo a procedere ex art. 434 c.p.p. dal momento che l’ampiezza della revocabilità della sentenza preclude la ricollegabilità di un “ne bis in idem” alla sentenza stessa.[5]

All’art. 649 c.p.p. si collega l’art. 669 c.p.p., che è proprio la norma di cui i ricorrenti lamentavano la violazione nella sentenza n. 25727 del 2008 pronunciata dalla Cassazione penale. La disposizione in esame prevede che, in caso di pluralità di sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona, il giudice ordini l’esecuzione della sentenza con cui si pronunciò la condanna meno grave, revocando le altre. Quando le pene irrogate sono diverse, è riconosciuta all’interessato la facoltà di indicare la sentenza che deve essere eseguita. Ove l’interessato non si avvalga di tale facoltà prima della decisione del giudice dell’esecuzione, il legislatore individua la pronuncia a cui dare esecuzione sulla base di una serie di criteri, espressamente previsti dallo stesso art. 669 c.p.p., che si applicano anche nel caso di “più decreti penali o di sentenze e di decreti ovvero se il fatto è stato giudicato in concorso formale con altri fatti o quale episodio di un reato continuato, premessa, ove necessaria, la determinazione della pena corrispondente”.

L’art. 669 c.p.p. presenta, quindi, una maggiore ampiezza dal punto di vista contenutistico rispetto all’art. 649 c.p.p., perché, con specifico riferimento all’ipotesi di concorso formale di reati ex art. 81, comma 1, c.p., il legislatore ha espressamente previsto il riconoscimento del principio del “ne bis in idem” in fase di esecuzione di più provvedimenti di condanna, mentre nulla ha disposto per la fase di cognizione, quando sia avviato altro procedimento penale per un reato in concorso formale rispetto ad altro già oggetto di pronuncia definitiva.

Occorre sottolineare, a tal proposito, che la Corte costituzionale, con sentenza 31 maggio 2016 n. 200, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, “nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale”. Difatti, la giurisprudenza di legittimità nazionale pacificamente interpretava l’art. 649 c.p.p. come inapplicabile in caso di concorso formale di reati. Una tale esclusione era irragionevole per i giudici costituzionali, in quanto la nozione di “medesimo fatto” non è ristretta alla sola condotta, attiva o omissiva, ma è comprensiva anche dell’evento naturalistico che ne è conseguito.

Conclusioni

Alla luce delle suddette considerazioni, se ne può desumere che, ove uno stesso soggetto venga sottoposto a procedimento penale in relazione alla partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti ex art. 74 dello stesso D.P.R. n. 309/1990, essendo già stato prosciolto o condannato con sentenza irrevocabile per avere partecipato, seppure svolgendo condotte diverse, alla medesima associazione, si configura violazione del principio del “ne bis in idem[6].

Sul tema deve essere però citata una recente pronuncia della Corte di Cassazione, nell’ambito della quale gli ermellini hanno escluso la violazione del principio del “ne bis in idem” nel caso in cui, a fronte dell’accertamento di colpevolezza dell’imputato relativo alla partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti fino a una certa data, gli si era contestato, in relazione a un periodo successivo, lo svolgimento della diversa condotta di organizzatore nell’ambito della medesima consorteria, che, pur se in continuità successoria con quella oggetto del precedente accertamento, aveva mutato, almeno in parte, compagine e luoghi di commissione dell’attività illecita. La motivazione della decisione risiede, così come affermato dalla Corte, nella circostanza per cui: “In tema di contestazione in forma cosiddetta “aperta”, la “identità del fatto”, che rileva ai fini dell’operatività del principio del “ne bis in idem“, non sussiste qualora, in relazione a periodi diversi, siano contestati all’imputato due diversi reati permanenti nell’ambito della stessa associazione[7].

Nella diversa ipotesi in cui uno stesso soggetto partecipi simultaneamente a più associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti ex art. 74 dello stesso D.P.R. n. 309/1990, ove venga sottoposto a procedimento penale in relazione alla partecipazione ad una delle due associazioni, non si determina violazione del principio del “ne bis in idem”, anche se era stato già prosciolto o condannato con sentenza irrevocabile per avere partecipato all’altra associazione, seppure entrambe abbiano lo stesso scopo. A tal fine, tra le associazioni vi deve essere un certo grado di autonomia, rinvenibile alla luce di elementi come il lungo intervallo di tempo intercorrente tra la loro operatività, la mancanza di coincidenza soggettiva, il campo di operazione eterogeneo, le divergenti esigenze del traffico, e le diverse zone di operatività che determinano una differenziazione a livello organizzativo[8].

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[1] S. Bologna, A. Bosco, A. Spilateri, La disciplina dei reati in materia di stupefacenti, 2021.

[2] Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 11413, 14 giugno 1995.

[3] Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 17746, 30 gennaio 2008.

[4] Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 25727, 25 giugno 2008.

[5] G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di diritto penale: parte generale, 2012.

[6] S. Grillo, Stupefacenti: illeciti, indagini, responsabilità, sanzioni, 2012.

[7] Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 49921, 2 novembre 2018.

[8] A. Di Tullio D’Elisiis, A. Laudonia, G. Esposito, I reati in materia di stupefacenti, 2020.

Dott.ssa Alessia Palazzo

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