Il principio del “ne bis in idem”

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“Ne bis in idem” è una locuzione latina che tradotta alla lettera significa “non due volte per la stessa cosa”.

Si tratta di un brocardo che esprime un principio del diritto in forza del quale un giudice non si può esprimere due volte sulla stessa azione, se si è formata la cosa giudicata.

Per estensione, si ritiene applicabile anche in altre branche del diritto, con un fondamento costituzionale decrescente, vale a dire, limitato all’esigenza di tutela dell’affidamento incolpevole del cittadino.

Il principio nel diritto penale

In materia penale (sostanziale e processuale) il “ne bis in idem” è figlio di un rifiuto di un sistema inquisitorio nel quale il giudizio era sempre perfettibile e non dovevano essere posti limiti al potere dell’organo inquisitorio-giudicante, mentre nel sistema accusatorio vanno rispettati determinati termini, tempi e forme, e il “ne bis in idem” è un risultato a quello che consegue, quasi necessario.

I motivi salienti per i quali si ritiene ragionevole che una persona non possa essere processata due volte per la stessa fattispecie di reato risiedono nel fatto che il sistema giudiziario non può vessare indefinitamente un cittadino sulla stessa circostanza, lo Stato e i suoi organi hanno mezzi economici e poteri di persecuzione più ampi di quanti il cittadino ne abbia di difesa, l’essere esposti senza garanzia alla pubblica accusa fu, e potrebbe essere se non regolamentato, uno strumento di tirannia, il cittadino ha il diritto di sapere che il giudizio  è stato sottoposto è finale, e non ci dovranno essere altre indagini e cambiamenti.

Il principio nel mondo

In Paesi come Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Perù, Ecuador, Colombia, Repubblica Dominicana, Spagna, Australia, è considerato un principio costituzionale che un accusato non possa essere giudicato due volte, nella stessa giurisdizione, per lo stesso reato, cosiddetto double jeopardy nel diritto comune anglosassone.

In alcuni di questi paesi esiste un grado di giudizio, salvo la concessione dell’appello.

Il principio in Italia

Nel diritto italiano il divieto di doppio giudizio si applica principalmente nel caso di una sentenza diventata cosa giudicata dopo la conferma della Suprema Corte di Cassazione.

L’imputato non può essere processato due volte per lo stesso reato, tranne casi di revisione della condanna in senso favorevole al reo, e nel caso di anomalie giuridiche nelle quali un imputato venga processato due volte di seguito dallo stesso tribunale, per lo stesso reato e nello stesso grado di giudizio.

La medesimezza del fatto

L’articolo 649 del codice di procedura penale, stabilisce che nessuno può essere processato più volte “per il medesimo fatto”.

La definizione ha creato notevoli dubbi su che cosa si dovesse intendere per “fatto”.

La dottrina migliore ritiene che l’articolo, modificando orientamenti passati del codice francese di Merlin, nonché le evoluzioni italiane, sia relativo alla condotta che ha causato l’evento, senza tenere conto della sua intensità o della sua imputazione nel processo precedente.

Se questa impostazione è abbastanza semplice in ipotesi di reato poco complesse, la questione si pone con reati che hanno vari aspetti in comune.

L’esempio di scuola si può fare con le fattispecie di percosse, lesioni e omicidio.

In questi casi il soggetto non può essere perseguito con un altro processo cambiando il titolo d’imputazione, perché la condotta e il fatto sono uguali, l’eventuale interazione in negativo del soggetto con il corpo dell’offeso.

L’irrevocabilità del provvedimento decisorio

Soffermandosi sul versante interno, principio del cosiddetto “ne bis idem verticale”, si è assistito in tempi recenti a una progressiva estensione del principio del “ne bis in idem” anche a provvedimenti decisori diversi da quelli indicati nell’articolo 649 del codice di procedura penale.

L’applicazione del divieto è stata a lungo rigorosamente subordinata all’esistenza di decisioni giurisdizionali connotate dal requisito dell’irrevocabilità.

Anche di recente è stato ribadito che l’esistenza di una sentenza irrevocabile costituisce condizione tassativa e inderogabile per l’applicazione dell’articolo 649 del codice di procedura penale.

La compattezza di questo indirizzo ha subito una prima incrinatura quando è stato ritenuto che, se è vero che il testo dell’articolo 649 del codice di procedura penale collega il divieto di un secondo giudizio alla pronuncia di una sentenza o di un decreto penale diventati irrevocabili, non significa che sino a quando non sia stata pronunciata una sentenza irrevocabile si possano legittimamente svolgere nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto più procedimenti penali, perché l’articolo 649 del codice di procedura penale, al pari delle norme sui conflitti positivi di competenza e dell’articolo 669 del codice di procedura penale, esprime “un costante orientamento di sistema, dettato ad evitare duplicità di decisioni” e un principio di “ne bis in idem”che ad evitare che per lo stesso reato si svolgano più procedimenti e si emettano più provvedimenti, l’uno indipendente dall’altro.

Incidenti esecutivi

I casi di “ne bis in idem” sono rilevabili durante il processo.

In presenza di simili circostanze il giudice estingue subito il processo.

Se questo erroneamente non avvenga, si hanno dei “plura in idem”, risolti in sede esecutiva con procedimento camerale su richiesta della persona plurigiudicata, del suo difensore o del pubblico ministero.

I casi previsti sono quattro, elencati dall’articolo 669 del codice di procedura penale:

Condanne sullo stesso fatto a carico della stessa persona.

Il pluri-condannato decide quale condanna preferisce da scontare, facendo decadere gli altri titoli concorrenti.

In mancanza decide il giudice secondo metodi legali, di solito la pena minore, pena pecuniaria anziché detentiva.

Se risulta impossibile decidere secondo questi metodi, va eseguita la prima sentenza.

Soggetto ripetutamente prosciolto.

Come sopra.

Se non decide l’imputato, viene applicata la clausola più favorevole.

Esistono sentenze di condanna e di proscioglimento.

È valido il proscioglimento, purché non sia dipeso dall’estinzione del reato successivamente alla condanna irrevocabile.

Non luogo a procedere e proscioglimento.

Il non luogo a procedere si ha sia davanti a una condanna sia a un proscioglimento, perché il non luogo a procedere non è dichiarato in fase processuale ma procedimentale ed è revocabile in ogni momento.

Individuate come sopra, le sentenze da revocare sono materia dell’incidente esecutivo, radicato nell’esecuzione.

Provvede il giudice con un’ordinanza rescindente, figura eccezionale e atipica perché di solito le ordinanze hanno carattere preventivo o provvisorio rispetto alle sentenze.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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