Il fatto
La Prima Sezione penale della Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso avanzato dall’imputato avverso una sentenza emessa dalla Corte di assise di appello di Brescia con cui veniva condannato costui al pagamento delle spese processuali, al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili.
L’istanza proposta dalle parti civili
Con apposita istanza le parti civili, rappresentate da loro rispettivi difensori, invocavano la correzione dell’errore materiale in cui la Cassazione sarebbe incorsa nella citata pronuncia, per avere omesso di estendere, in via solidale, al responsabile civile, la condanna alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione dalle stesse parti sopportate.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
L’istanza era ritenuta infondata e, quindi, veniva rigettata.
In particolare, dopo essersi fatto presente che la condanna alle spese, relative all’azione civile, è regolata dall’art. 541 cod. proc. pen. il quale pone l’obbligo del corrispondente pagamento, all’esito del giudizio di primo grado, in capo all’imputato dichiarato colpevole, e tenuto alle restituzioni o al risarcimento del danno; nonché, in solido con lui, in capo al responsabile civile, ritualmente citato, o volontariamente intervenuto nel processo, si notava che tale obbligo di pagamento consegue di diritto alla condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno sicché all’eventuale omissione della statuizione si può ovviare, anche rispetto al responsabile civile, con la procedura di correzione di errore materiale, ad opera del giudice che ha pronunciato la condanna stessa, ovvero, in caso d’impugnazione, ad opera del giudice competente a conoscere di quest’ultima (Sez. 4, n. 31353 del 27/06/2013; Sez. 5, n. 6524 del 10/05/1993; Sez. 5, n. 4380 del 14/03/1986).
Precisato ciò, gli Ermellini facevano inoltre presente che l’art. 541 cod. proc. pen., che riflette la naturale accessorietà della pronuncia sulle spese rispetto a quella di merito, e costituisce attuazione del generale principio processuale di soccombenza, si applica, per quanto di ragione, anche nei giudizi d’impugnazione stante altresì il fatto che, se l’imputato e il responsabile civile sono già stati condannati alle restituzioni, o al risarcimento del danno, e impugnano la decisione nell’ambito delle rispettive sfere di legittimazione, ha dunque diritto alla rifusione delle spese, in proprio favore, la parte civile che a tali impugnazioni resista vittoriosamente (circostanza che si verifica allorché la responsabilità, ai fini civili, venga confermata, pur in presenza di statuizioni all’impugnante favorevoli sotto altri profili: Sez. 4, n. 25846 del 15/03/2018; Sez. 5, n. 6419 del 19/11/2014; Sez. 4, n. 44777 del 02/10/2007).
Orbene, in questo contesto, ad avviso della Suprema Corte, l’eventuale impugnazione del responsabile civile si ricollega a un titolo di legittimazione autonomo e distinto da quello dell’imputato, sebbene possa dirigersi anche contro l’affermazione di penale responsabilità di quest’ultimo, da cui l’obbligo civilistico del garante dipende. In virtù di tale ontologica dipendenza, l’art. 587, comma 3, cod. proc. pen. stabilisce che l’impugnazione dell’imputato giovi anche al responsabile civile, che è citato e può sempre partecipare al relativo giudizio mentre, fuori dei casi in cui si realizzi in tal modo l’intervento ad adiuvandum del responsabile civile, l’acquiescenza che questi presti alla sentenza pronunciata a suo carico, manifestata attraverso il mancato esercizio della distinta facoltà d’impugnazione, esclude che nel relativo giudizio possa configurarsi una situazione di soccombenza di tale soggetto processuale e, in tale ipotesi, le spese di parte civile graveranno sul solo imputato, che l’impugnazione, anche rispetto agli interessi civilistici in gioco, abbia infruttuosamente esperito.
A fronte di quanto sin qui esposto, i giudici di legittimità ordinaria osservavano come nel processo in questione, definito mediante la sentenza impugnata, la Compagnia assicuratrice, responsabile civile, non aveva proposta impugnazione autonoma, né era intervenuta a sostegno delle ragioni dell’imputato sicché legittimamente se ne era esclusa la condanna solidale al ristoro delle spese di parte civile.
Questa, dunque, era la ragione per cui l’istanza proposta era stata rigettata.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante specialmente nella parte in cui, citandosi giurisprudenza conforme, si asserisce che all’eventuale omissione della statuizione inerente il pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall’art. 541, c. 1, c.p.p., si può ovviare, anche rispetto al responsabile civile, con la procedura di correzione di errore materiale, ad opera del giudice che ha pronunciato la condanna stessa, ovvero, in caso d’impugnazione, ad opera del giudice competente a conoscere di quest’ultima.
Dunque, tale pronuncia deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta il giudice ometta di condannare in solido l’imputato e il responsabile civile al pagamento delle spese processuali ben potendosi rimediare a tale errore mediamente la procedura di correzione di errore materiale nei limiti precisati in questo stesso provvedimento.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta ordinanza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, quindi, non può che essere positivo.
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