Locazione: risoluzione consensuale valida solo se per iscritto

Contratto di locazione e contrarius actus: la forma scritta come requisito di validità della risoluzione consensuale. Commento a sentenza

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riferimenti normativi: art. 2 L. n. 431/1998
precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., sez. III, Sentenza del 09/01/2025, n. 494

Tribunale di Bergamo – sentenza n. 985 del 26-06-2025

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Indice

1. La vicenda: lo sfratto per la scadenza della locazione


Una società chiedeva la convalida dello sfratto sostenendo che il contratto di locazione, stipulato il 1° febbraio 2020 con il precedente proprietario, fosse scaduto il 30 gennaio 2024 e che, nonostante i ripetuti solleciti, il conduttore continuasse a occupare l’immobile senza titolo.
Nel corso dell’udienza del 10 dicembre 2024, la stessa società dichiarava però che l’immobile attualmente occupato dal conduttore non corrispondeva a quello indicato nel contratto di locazione allegato all’atto di intimazione. A sostegno di tale affermazione, evidenziava una discrepanza tra i dati catastali: il mappale indicato nel contratto non coincideva con quello dell’immobile effettivamente occupato. Il Tribunale riteneva che non vi fossero i presupposti né giuridici né probatori per convalidare lo sfratto e, pertanto, rigettava la domanda.
Il Tribunale notava che il contratto di locazione stipulato il 1° febbraio 2020 non era ancora scaduto, in quanto, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 431/1998, la durata minima della locazione abitativa è di quattro anni, rinnovabili per altri quattro. Non essendo decorso il termine complessivo di otto anni, il conduttore risultava ancora legittimato a occupare l’immobile.
Dall’altro lato, nel corso del procedimento, la stessa società aveva eccepito che l’immobile attualmente occupato dal conduttore non coincideva con quello indicato nel contratto di locazione allegato all’atto di intimazione. Secondo il Tribunale, però, la società locatrice non aveva fornito alcuna prova né allegato documentazione idonea a dimostrare la propria legittimazione ad agire per ottenere il rilascio di un immobile diverso da quello contrattualmente indicato. In ragione del contegno processuale dell’intimato, qualificato quale opposizione alla convalida, ai sensi degli artt. 667 e 426 c.p.c., è stato disposto il mutamento del rito.
La società ricorrente chiedeva al Tribunale di dichiarare la risoluzione del contratto di locazione stipulato dal precedente proprietario con il conduttore, sostenendo che tale risoluzione era avvenuta per mutuo consenso il 31 luglio 2020 e regolarmente comunicata all’Agenzia delle Entrate. La società, che aveva acquistato l’immobile nel maggio 2024, riteneva che il contratto fosse ormai cessato e che il conduttore occupasse l’immobile senza titolo, chiedendo quindi il rilascio del bene e il pagamento dell’indennità di occupazione.
Secondo la ricorrente, la risoluzione del contratto trovava conferma sia nelle dichiarazioni rese dai venditori in sede di compravendita, sia nella registrazione telematica presso l’Agenzia delle Entrate. Inoltre, sosteneva che le variazioni catastali intervenute nel luglio 2020 avessero modificato l’identificazione dell’immobile, rendendo necessario stipulare un nuovo contratto di locazione, cosa che non era mai avvenuta.
Il conduttore si costituiva in giudizio, eccependo che il contratto di locazione, stipulato il 1° febbraio 2020, era regolato dalla legge n. 431/1998, con durata minima di quattro anni prorogabili automaticamente di altri quattro. Inoltre, il locatore aveva rinunciato alla facoltà di disdetta alla prima scadenza e non aveva mai esercitato tale diritto. Il “Formulario commentato del nuovo processo civile – Aggiornato ai correttivi Cartabia e mediazione” di Lucilla Nigro offre un supporto pratico e operativo per affrontare ogni fase del contenzioso civile, acquistabile su Shop Maggioli e su Amazon.

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2. La questione


La registrazione presso l’Agenzia delle Entrate è sufficiente come prova della risoluzione consensuale di un contratto di locazione?

3. La soluzione


Il Tribunale ha rigettato la domanda della società, ritenendo che il contratto fosse ancora in corso e destinato a rinnovarsi fino al 31 gennaio 2028. Il giudice lombardo ha ritenuto che le variazioni catastali non abbiano inciso sull’esistenza dell’immobile né sull’efficacia del contratto, ma abbiano modificato soltanto alcuni dati identificativi. Inoltre lo stesso giudice ha considerato insufficiente la registrazione presso l’Agenzia delle Entrate come prova della risoluzione consensuale. Secondo il Tribunale, trattandosi di contratto ad uso abitativo, la risoluzione deve essere formalizzata per iscritto, secondo il principio del contrarius actus.
La società non ha prodotto alcun documento scritto attestante la risoluzione, né ha fornito una spiegazione convincente circa l’impossibilità di reperirlo. Di conseguenza, il Tribunale ha applicato l’art. 1602 c.c., stabilendo che la società acquirente dell’immobile sia tenuta a rispettare il contratto di locazione in essere, subentrando nei diritti e negli obblighi del precedente locatore.

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4. Le riflessioni conclusive


La Corte ha affermato che, per i contratti di locazione ad uso abitativo soggetti a forma scritta per legge (art. 1, comma 4, L. n. 431/1998), anche la risoluzione consensuale deve avvenire per iscritto. Non è ammessa la risoluzione tacita né quella fondata su comportamenti concludenti. La forma scritta è richiesta non solo per la stipula, ma anche per lo scioglimento del vincolo contrattuale (Cass. civ., sez. VI, 27 settembre 2017, n. 22647). In quest’ottica si è affermato che, quando la legge impone la forma scritta ad substantiam per la validità del contratto, anche il mutuo dissenso deve rivestire la medesima forma. La risoluzione consensuale è valida solo se contenuta in un documento che riporti in modo espresso e specifico la volontà negoziale di entrambe le parti (Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2016, n. 7638). Si noti che la comunicazione della risoluzione del contratto di locazione all’Agenzia delle Entrate ha una funzione fiscale, cioè serve a informare il fisco che il contratto è stato sciolto, così da interrompere l’obbligo di pagare le imposte sui canoni di locazione che si percepivano fino a quel momento (Cass. civ., sez. III, 09/01/2025, n. 494).
Il giudice lombardo ha sottolineato che la semplice registrazione presso l’Agenzia delle Entrate della risoluzione del contratto di locazione non è sufficiente a dimostrare, in sede giudiziaria, che le parti abbiano effettivamente concordato per iscritto lo scioglimento del contratto. Per provare la risoluzione per mutuo consenso è necessario un documento scritto firmato da entrambe le parti che attesti chiaramente la volontà comune di porre fine al contratto.

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

Giuseppe Bordolli, Consulente legale, esperto di diritto immobiliare. Svolge attività di consulenza per amministrazioni condominiali e società di intermediazione immobiliare. E’ coordinatore della nuova collana “Condominio” del Gruppo Maggioli.
E’ collaboratore di…Continua a leggere

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