Licenziato per infedeltà all’azienda l’ufficiale di riscossione che dà consigli ai debitori sull’opposizione all’esecuzione

Redazione 13/05/13
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Biancamaria Consales

Così ha deciso la Sezione Lavoro della Corte di cassazione, pronunciandosi, con sentenza n. 10959 del 9 maggio 2013, sul ricorso proposto dal dipendente di una società, con mansioni di ufficiale di riscossione preposto alla notifica delle cartelle esattoriali ed all’attività di recupero delle somme iscritte a ruolo.

Nella fattispecie, il licenziamento era avvenuto per giusta causa in relazione ad una serie di contestazioni disciplinari. Il dipendente, la cui domanda di reintegrazione nel posto di lavoro veniva respinta in primo grado, ma accolta in secondo grado dalla Corte territorialmente competente, presentava ricorso in cassazione non ritenendosi soddisfatto della liquidazione del danno ex art. 18 L. 300/1970 posta a carico della società datrice di lavoro.

I giudici di piazza Cavour, cui la società datrice di lavoro proponeva controricorso, hanno ritenuto fondate le censure formulate dalla società nel ricorso incidentale con le quali si lamenta la carenza della motivazione in relazione alla gravità dei fatti accertati sia in sede penale che in sede civile, con particolare riguardo alla valutazione del comportamento tenuto dal dipendente nel corso delle operazioni di riscossione delle quali era incaricato.

“La Corte d’appello – affermano i giudici di piazza Cavour – nell’esprimere un giudizio di sproporzione della sanzione irrogata rispetto alla condotta contestata ed accertata, ha del tutto omesso, secondo la Suprema Corte, di valutare alcune circostanze di fatto poste in relazione con altre condotte accertate, rivelatrici di un comportamento del dipendente che violava i doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto, così giustificandone la risoluzione. La sentenza ha omesso, in sostanza di rapportare tra loro i comportamenti impropri tenuti dal dipendente. E, nel caso in esame, poiché la prestazione attiene all’esercizio di una funzione delicata, quale quella dell’ufficiale di riscossione di tributi e si svolge in diretto contatto con i soggetti tenuti all’adempimento di obbligazioni connesse ad un pubblico interesse, al lavoratore è richiesto un comportamento improntato ad una particolare correttezza e trasparenza nell’esecuzione della prestazione”.

Dunque, la Corte ha, con la sentenza in esame, ribadito il principio secondo cui è oggetto di licenziamento per giusta causa il dipendente che spezza il rapporto di fiducia che si viene a creare tra dipendente e datore di lavoro. Ma tale principio incontra, tuttavia, una deroga altrettanto generale: il giudizio di proporzionalità della sanzione da irrogare in relazione a comportamenti inadempienti non si può basare sulla valutazione di singoli episodi di comportamenti, ma deve riguardare la condotta tenuta dal lavoratore nel suo complesso, attraverso l’esame dei comportamenti estranei ed eccedenti rispetto ai compiti propri affidati al dipendente (notifica delle cartelle, esecuzione dei pignoramenti ed in generale riscossione dei tributi per conto della banca concessionaria).

Per tale aspetto la sentenza, insufficientemente motivata, deve essere cassata.

Nel caso di specie, infatti, la condotta consistita nel suggerire ai debitori esecutati come opporsi all’esecuzione, affrontando per lo più rischi economici limitati, è stata ritenuta dal giudice di merito un atto negligente, senza che il giudice stesso abbia valutato il suo comportamento incida sul vincolo di fiducia con il datore.

Tale decisione spetta, dunque, al giudice del rinvio, il quale dovrà provvedere alla definitiva reintegra o al definitivo licenziamento.

Redazione

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