La Corte cost. n. 201/2025 elimina lo “specifico interesse” nell’istanza di liberazione anticipata ex art. 69-bis o.p. per la rieducazione della pena. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
Indice
- 1. I casi di Spoleto e Napoli dopo la riforma 2024: istanze “inammissibili”
- 2. Le censure dei rimettenti: artt. 3, 27 e 111 Cost. e crisi della funzione rieducativa
- 3. La decisione della Corte: illegittimità della clausola sullo “specifico interesse”
- 4. Effetti pratici della sentenza: ritorno all’istanza libera e coordinamento con l’officiosità
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1. I casi di Spoleto e Napoli dopo la riforma 2024: istanze “inammissibili”
Il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto era chiamato a valutare due istanze di liberazione anticipata.
Ordunque, tenuto conto che l’art. 5 del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, ha modificato il procedimento per la concessione della liberazione anticipata, stabilendo, da un lato, che l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della detrazione di pena sia di regola effettuato d’ufficio dal magistrato di sorveglianza, nei casi previsti dai commi 1 e 2 del novellato art. 69-bis ordin. penit., e dall’altro, che il condannato possa formulare istanza di liberazione anticipata solo quando vi abbia uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, da indicare, a pena di inammissibilità, nell’istanza medesima (comma 3) e considerato che, alla luce della novella legislativa – applicabile nel caso in esame, in forza del principio tempus regit actum che governa le modifiche normative di natura processuale –, le istanze summenzionate avrebbero dovuto essere considerate ambedue inammissibili posto che l’interessato non si trovava nelle situazioni previste dai commi 1 e 2 dell’art. 69-bis, né costui aveva indicato lo «specifico interesse» ora richiesto dal comma 3 di tale articolo.
Dal canto suo, il Magistrato di Sorveglianza di Napoli era anch’esso investito di un’istanza di liberazione anticipata e, in tale caso, l’interessato non si trovava in alcuna delle condizioni previste dal novellato art. 69-bis ordin. penit., perché non poteva avere accesso, nei novanta giorni, a misure alternative alla detenzione o alla scarcerazione (essendo il termine finale di espiazione della pena fissato al 24 ottobre 2040), né aveva allegato un interesse specifico a sostegno della propria istanza di liberazione anticipata che, pertanto, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, «con grave pregiudizio per il trattamento rieducativo del detenuto». Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
2. Le censure dei rimettenti: artt. 3, 27 e 111 Cost. e crisi della funzione rieducativa
Alla luce della situazione giudiziaria suesposta, il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall’art. 5, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92 (Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2024, n. 112, censurandolo «nella parte in cui prevede che il condannato possa formulare istanza di liberazione anticipata soltanto quando abbia espressamente indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza relativa, di avere all’ottenimento del beneficio uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2» del medesimo articolo.
In particolare, fermo restando che soltanto l’accoglimento di siffatte questioni di legittimità costituzionale avrebbe consentito a siffatto giudice a quo di valutare il merito delle istanze, valorizzando le relazioni acquisite, che attesterebbero il percorso trattamentale positivo dell’istante, in ragione della condotta corretta serbata, della partecipazione a corsi scolastici e dell’attività lavorativa intramuraria, e da qui la rilevanza delle questioni de quibus, invece, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente dubitava della compatibilità della nuova disciplina con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. osservandosi anzitutto che la riforma operata dal d.l. n. 92 del 2024, come convertito, «vira da un regime di concessione della liberazione anticipata in cui l’istanza di parte costituiva la regola, ad una residualità di tale opzione», atteso che la valutazione sulla computabilità delle detrazioni di pena avviene ex officio e solo in occasione del vaglio di un’istanza di misura alternativa o di altro beneficio penitenziario per i quali la liberazione anticipata incida sul quantum di pena già espiata, e pertanto sulla concedibilità del beneficio richiesto, oppure in prossimità del fine pena.
In effetti, ad avviso del giudice rimettente, poiché soltanto in tali occasioni il magistrato di sorveglianza sarebbe chiamato, d’ufficio, a valutare se l’interessato abbia partecipato al percorso rieducativo, questi, non potendo più chiedere periodicamente un riscontro circa la correttezza della propria condotta al fine della liberazione anticipata, resterebbe per lunghi periodi in una «condizione di attesa», perdendo «quella relazione dialogica […] con il magistrato di sorveglianza, in grado sia di fargli percepire immediatamente il premio di una condotta partecipativa rispetto alle regole del trattamento, sia l’eventuale gravità, al contrario, di comportamenti involutivi intervenuti, mediante la sanzione del rigetto dell’istanza» di liberazione anticipata, tenuto conto altresì del fatto che la possibilità per il condannato di sollecitare il vaglio giudiziale sulla propria condotta, in momenti diversi da quelli in cui interviene la valutazione officiosa, resterebbe «confinata in un perimetro assai ristretto», poiché presidiata dalla necessità di indicare un interesse specifico; interesse che, alla stregua della relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del d.l. n. 92 del 2024, si identificherebbe essenzialmente in quello a ottenere lo “scioglimento” del cumulo delle pene, il che comporterebbe una netta discontinuità rispetto al sistema precedente, in cui il condannato era titolare del «diritto a richiedere la liberazione anticipata non appena avesse maturato un semestre di pena eseguito, senza dover esplicitare alcun interesse diverso da quello in re ipsa a conoscere la valutazione relativa al comportamento tenuto e ad apprendere, in via definitiva, quale riduzione di pena ciò gli avesse garantito».
Oltre a ciò, era altresì fatto presente che il nuovo assetto procedimentale, non solo sarebbe foriero di difficoltà di ordine pratico, in ragione della concentrazione delle valutazioni sulla liberazione anticipata in momenti prefissati e del conseguente rischio dell’accumularsi di ritardi pregiudizievoli per le persone condannate, al limite costrette a rimanere in carcere «anche ben oltre il “fine pena virtuale”», ma, sempre ad avviso del giudice a quo, risulterebbe altresì in contrasto con la finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., poiché produrrebbe la «sostanziale vanificazione dell’effetto psicologico di rafforzamento dei propositi rieducativi, che le periodiche valutazioni della partecipazione al trattamento hanno sin qui prodotto sulle persone detenute, quale sprone ad una condotta conforme alle regole ed improntata, ben prima e al di là della concedibilità di misure alternative, alla risocializzazione», tenuto conto altresì del fatto che il vigente assetto normativo sarebbe, inoltre, irragionevole e dunque contrario all’art. 3 Cost., nella misura in cui mantiene «un metro di giudizio semestrale delle condotte del condannato» senza però farne più derivare, se non in presenza di uno specifico interesse, il diritto a conoscere, trascorso ciascun semestre, se tali condotte costituiscano «una esecuzione penale partecipativa rispetto al trattamento, o al contrario non meritevole di tale positivo giudizio».
Del resto, sempre secondo questo Magistrato di Sorveglianza, l’irragionevolezza sarebbe ancor più evidente nel caso di specie, in cui il condannato ha già ottenuto in precedenza detrazioni di pena a titolo di liberazione anticipata, sulla base di istanze formulate in termini identici a quelle che invece, ora, dovrebbero ritenersi inammissibili, anche se riferibili a periodi antecedenti l’entrata in vigore del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, facendosene conseguire da ciò come l’interessato, in tal guisa, subirebbe incolpevolmente «una regressione trattamentale, perdendo il diritto, vantato sino all’entrata in vigore del nuovo art. 69-bis ordin. penit., di conoscere con esattezza il proprio fine pena» al compiersi di ciascun semestre di detenzione, al fine di «inizia[re] […] a programmare concretamente il suo rientro in società».
Il disconoscimento del percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che abbia già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio si porrebbe pertanto, per il giudice a quo, in contrasto «– se non con l’art. 25, secondo comma, Cost. – con il principio di eguaglianza e di finalismo rieducativo della pena (artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.)» (è citata la sentenza n. 32 del 2020 di questa Corte), essendo «radicalmente differente poter contare su una valutazione che giunge, a richiesta, semestre dopo semestre, rispetto all’attesa, nell’incertezza della effettiva concessione, rimessa ad una fase posticipata, in ipotesi anche di anni», il che determinerebbe come la novella recata dal d.l. n. 92 del 2024, come convertito, si risolverebbe in «un grave vulnus al senso stesso della liberazione anticipata come cartina di tornasole, non a caso opportunamente semestralizzata dal legislatore, del comportamento tenuto dalla persona condannata nel tempo, vero e proprio congegno dialogico che, mediante le istanze di parte, consente all’interessato di ricevere cadenzate, periodiche, risposte, che siano di orientamento al proprio comportamento, e che permettono al magistrato di sorveglianza di valutare le evoluzioni personologiche del condannato con una periodicità prossima agli accadimenti positivi e negativi che caratterizzano la vita penitenziaria dell’interessato», richiamandosi a tal proposito le considerazioni della sentenza n. 276 del 1990 della Consulta, secondo cui la cadenza semestrale della valutazione per la concessione della liberazione anticipata sarebbe «il punto di forza dello strumento rieducativo», rappresentando «una sollecitazione che impegna le energie volitive del condannato alla prospettiva di un premio da cogliere in breve lasso di tempo, purché in quel tempo egli riesca a dare adesione all’azione rieducativa»; sollecitazione suscettibile di condurre gradualmente allo «sviluppo di un diverso modo di essere, conseguente alla soddisfazione per i risultati raggiunti e alla fiducia acquisita nelle forze del proprio impegno».
Ad avviso del giudice rimettente, oltre tutto, la stringente limitazione alla possibilità di presentare, semestre per semestre, l’istanza di liberazione anticipata comprometterebbe la finalità rieducativa dell’istituto, «inibendo quel percorso di progressiva maturazione personale, che la Corte Costituzionale considerava il cuore stesso del beneficio, postergando fino ad un consuntivo finale, deprivato della sua valenza educativa, ogni confronto con i propri comportamenti, come ad uno studente cui fosse concesso di conoscere l’esito del suo percorso di studio solo alla fine, interdicendogli anche per anni l’accesso ad un confronto con l’istituzione scolastica circa l’adesione mostrata, periodo per periodo, ed impedendogli al contempo anche di riorientare, ove necessario, le sue condotte in termini positivi», tanto più se si considera che tale compromissione sarebbe particolarmente significativa nel contesto attuale, segnato dal diffuso sovraffollamento carcerario e dalla conseguente difficoltà di attivare percorsi risocializzanti individualizzati; contesto in cui «poter scandire mediante le valutazioni periodiche della condotta partecipativa, il tempo immobile della detenzione, costituisce un incentivo, e a volte il solo incentivo, residuo, in grado di rinforzare i propositi del condannato di procedere nel suo cammino rieducativo».
Inoltre, a fronte della limitata possibilità che il magistrato di sorveglianza valuti ex officio la concessione della liberazione anticipata prima dell’approssimarsi del fine pena, la necessità che l’interessato alleghi uno specifico interesse per sollecitare il vaglio giudiziale, per il giudice a quo, esibirebbe «ulteriori profili di contrarietà alla finalità rieducativa della pena e di irragionevolezza» posto che, ai termini dell’art. 69-bis, comma 1, ordin. penit., la valutazione officiosa del magistrato di sorveglianza sulla concessione della liberazione anticipata avverrebbe non in occasione di qualsivoglia istanza di misura alternativa o altro beneficio penitenziario, ma soltanto nella misura in cui la detrazione sia rilevante per determinare il quantum di pena espiata necessario per accedere al beneficio di volta in volta richiesto, il che produrrebbe, come logico corollario, che, in questo modo, se ogni qualvolta tale rilevanza difetti, e non sia mai stata presentata, per mancanza di uno specifico interesse, un’istanza di liberazione anticipata, la magistratura di sorveglianza dovrebbe vagliare la concedibilità della misura alternativa senza che sia mai stata adottata una decisione sulla liberazione anticipata, tuttavia, la misura della pena residua calcolata al netto delle detrazioni a titolo di liberazione anticipata inciderebbe significativamente sulla valutazione giudiziale circa «il significato e la credibilità di un programma di misura alternativa» e sul calcolo dei tempi di osservazione intramuraria aggiuntiva disponibili.
In definitiva, per il giudice rimettente, l’impossibilità di «cumulare semestre dopo semestre» le valutazioni giudiziali sulla concedibilità della liberazione anticipata, «veri e propri mattoni fondativi di un più ampio edificio rieducativo», renderebbe in concreto più difficile per il condannato l’accesso a misure alternative alla pena detentiva, sia perché egli sarebbe privato di un «pregnante strumento pedagogico-propulsivo», sia perché il Tribunale di Sorveglianza potrebbe valutare la concedibilità della misura alternativa sulla base di un quantum di pena ancora da espiare, più alto di quello che risulterebbe se fossero state già concesse periodicamente le detrazioni a titolo di liberazione anticipata, il che comporterebbe come, per effetto di siffatto meccanismo normativo, il condannato si vedrebbe in tal guisa «inibita una ricostruzione certa, e non soltanto sperata, del suo fine pena reale», e non potrebbe dunque «programmare in modo realistico le tappe del suo percorso risocializzante», anche nel predisporre un programma di misura alternativa da sottoporre al vaglio del tribunale di sorveglianza.
Tra l’altro, sempre per tale organo giudicante, la pur comprensibile finalità deflattiva sottesa al d.l. n. 92 del 2024, come convertito, inciderebbe gravemente pure sulla costruzione del percorso rieducativo del condannato, aggiungendo «elementi di incertezza alla quotidianità della detenzione, che si traducono in un surplus di afflittività», contrario all’art. 27, terzo comma, Cost. anche sotto il profilo dell’umanità della pena, poiché, irragionevolmente, la liberazione anticipata si trasformerebbe in «un esibito (ma solo sperato) premio per la condotta partecipativa, che […] matura semestre dopo semestre, ma che l’interessato non può esigere a domanda, ma solo in particolari circostanze e dopo lunghe attese».
Ciò posto, dal canto suo, il Magistrato di Sorveglianza partenopeo sollevava anch’esso, in riferimento agli artt. 3, 27 [terzo comma] e 111, settimo [recte: sesto] comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis della legge n. 354 del 1975, come sostituito dall’art. 5, comma 3, del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, «nella parte in cui si subordina la richiesta del beneficio della liberazione anticipata alla possibilità di rientrare nei limiti di pena per accedere a misure alternative (90 giorni anteriori) o di ottenere nello stesso termine la scarcerazione ovvero nella parte in cui si impone al detenuto, per la valutazione della richiesta, di indicare le ragioni specifiche per le quali si richieda il beneficio stesso».
In particolare, se, in punto di rilevanza, la situazione in cui versava l’istante (e già menzionata in precedenza) avrebbe comportato, in caso di mancato accoglimento delle suddette questioni di legittimità costituzionale, l’inammissibilità della sua richiesta, per quel che invece riguarda la non manifesta infondatezza, tale giudice a quo rammentava prima di tutto che, nel vigente ordinamento costituzionale, la pena ha assunto una precipua connotazione di recupero sociale, secondo l’imperativo espresso dall’art. 27, terzo comma, Cost. (è citata la sentenza n. 313 del 1990 della Corte costituzionale) fermo restando che, dal canto suo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha valorizzato la rieducazione come fondamentale funzione della pena negli Stati europei e il diritto del detenuto alla risocializzazione, quale aspetto della tutela della dignità umana (sono richiamate le sentenze della grande camera 9 luglio 2013, Vinters e altri contro Regno Unito e 26 aprile 2016, Murray contro Paesi Bassi). La liberazione anticipata parteciperebbe a tale obiettivo e costituirebbe «un istituto tipicamente volto alla progressione trattamentale, in funzione della rieducazione del detenuto».
Premesso ciò, ripercorrendo le motivazioni della sentenza n. 276 del 1990 della Consulta, codesto giudice rimettente osservava in secondo luogo che la liberazione anticipata è stata inserita nell’ordinamento penitenziario con l’intento di sollecitare l’adesione del detenuto al progetto rieducativo e che la parametrazione delle detrazioni di pena su un arco di tempo semestrale è funzionale a tale obiettivo, fornendo un incentivo a breve termine all’adozione di condotte partecipative mentre, al contrario, la prospettiva di ottenere «un beneficio disancorato dalla percezione immediata e posto temporalmente a chiusura del percorso di reclusione, a distanza anche di molti anni dal fatto», disincentiverebbe l’adesione del condannato al percorso trattamentale, «vanificando, nel divenire quotidiano, la rieducazione, costituzionalmente imposta».
La riforma operata con il d.l. n. 92 del 2024, come convertito, del resto, ad avviso del giudice napoletano, spezzerebbe la logica sinallagmatica sottesa alla liberazione anticipata e funzionale alla realizzazione della finalità rieducativa, così «discosta[ndo] la partecipazione quotidiana alle attività carcerarie dal premio che il detenuto aspetta, in immediato, di ricevere per il singolo semestre di riferimento» e creando «uno scarto tra condotta adesiva all’opera di rieducazione e beneficio da riconoscere con imputazione semestralizzata», con pregiudizio alla progressione trattamentale e rischio di «un ridimensionamento importante degli atteggiamenti adesivi dei detenuti», tanto più se si fa presente che, nell’economia del novellato art. 69-bis ordin. penit., l’istanza di liberazione anticipata potrebbe essere proposta solo nei novanta giorni precedenti alla richiesta di una misura alternativa alla detenzione, sicché l’istituto rileverebbe solo «in chiave “algebrica”», ossia in quanto «strumentale ad abbreviare la pena, per ottenere una misura alternativa», facendosene discendere da ciò come la liberazione anticipata assumerebbe, dunque, una «funzione servente» rispetto alle misure alternative alla detenzione, allontanandosi dal suo scopo primario, ossia la rieducazione del detenuto, in attuazione del precetto di cui all’art. 27, terzo comma, Cost..
Pertanto, se, differendo la decisione sulla liberazione anticipata al novantesimo giorno precedente al maturare dei presupposti per l’accesso a una misura alternativa alla detenzione, o alla scarcerazione, la disposizione censurata inciderebbe irrimediabilmente sulla finalità rieducativa dell’istituto, precludendo al detenuto di avere contezza, nel corso dell’esecuzione della pena, della valutazione del magistrato di sorveglianza circa l’effettività dell’adesione al percorso di recupero e risocializzazione, d’altro canto, postergare il momento del vaglio giudiziale sulla liberazione anticipata creerebbe «una oggettiva difficoltà, a distanza di tempo, di riuscire a disporre di elementi concreti che possano ancorare i fatti e i comportamenti tenuti all’atteggiarsi della specifica congiuntura temporale in cui essi si sono concretizzati», rendendo così «difficile o impossibile un giudizio realistico ed effettivo sulla piena adesione al trattamento proposto, in ragione della collocazione temporale di semestri, ormai lontani nel tempo».
In definitiva, per il giudice a quo, la novella recata dal d.l. n. 92 del 2024, come convertito, si porrebbe «in aperto contrasto con l’intento di incentivare una condotta partecipativa», così violando l’art. 27, terzo comma, Cost., e misconoscendo il diritto del detenuto di «scegliere il momento» in cui chiedere al magistrato un vaglio sulla condotta tenuta nel semestre di riferimento, in modo da instaurare «un rapporto valutativo diretto sul suo agire intramurario», utile ad orientare il proprio comportamento, così come la disciplina censurata nel caso di specie sarebbe altresì contraria al canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., poiché, istituendo un «collegamento strutturale» tra la liberazione anticipata e la possibilità di fruire di misure alternative alla detenzione, comprimerebbe la funzione rieducativa dell’istituto e priverebbe il detenuto della possibilità di fruire di uno stimolo – quello a vedersi la pena ridotta a fronte della partecipazione all’opera di rieducazione – che costituisce «il vero motore esecutivo della rieducazione quotidiana», tenuto conto altresì del fatto che
tale irragionevolezza non sarebbe d’altro canto elisa dalla possibilità di presentare istanza di liberazione anticipata indicando uno «specifico interesse», ai sensi del comma 3 del censurato art. 69-bis, poiché tale ipotesi si ridurrebbe al caso in cui il detenuto richieda lo «scioglimento del cumulo» delle pene, e dunque presupporrebbe l’avvenuta espiazione della frazione di pena inerente al delitto cosiddetto ostativo risultando, ancora una volta, semplicemente funzionale all’accesso a una misura alternativa alla detenzione o alla scarcerazione nei novanta giorni successivi; anzi, in realtà, sussisterebbe un «collegamento forte» tra il diritto al reinserimento sociale e il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost., essendo compito della Repubblica configurare l’esecuzione della pena in modo idoneo alla rieducazione – e, dunque al reinserimento sociale – di coloro che pongano in essere condotte criminose in condizioni di disagio economico e sociale.
Del resto, le strutture di esecuzione della pena costituirebbero d’altra parte formazioni sociali ai sensi dell’art. 2 Cost., all’interno delle quali la garanzia dei diritti inviolabili dovrebbe essere funzionale a consentire «forme di realizzazione della personalità “paritarie” rispetto alle persone libere», senza che la detenzione si carichi di un surplus afflittivo non necessario rispetto all’esecuzione della pena visto che la rieducazione – come prescritto dall’art. 1 ordin. penit. e dall’art. 1 del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) – dovrebbe tendere al reinserimento sociale del detenuto, attraverso un processo da avviare fin dalle fasi iniziali dell’esecuzione penale, e non soltanto immediatamente prima del “fine pena”, così che l’interessato possa gradualmente assumere consapevolezza dei valori fondamentali della convivenza sociale.
La nuova formulazione dell’art. 69-bis o.p., sempre per codesto giudice rimettente, sarebbe, infine, problematica anche «alla luce […] di quanto indicato dall’art. 111 [sesto comma] Cost.», che stabilisce l’obbligo di motivazione di ogni provvedimento giurisdizionale posto che, essendo la motivazione «la cartina di tornasole della concreta conoscenza giudiziaria», non sarebbe possibile motivare correttamente il provvedimento sulla liberazione anticipata, che intervenga all’approssimarsi del termine per la richiesta di misure alternative alla detenzione o della scarcerazione, essendo difficile raccogliere dati e informazioni attendibili a distanza di anni dai periodi oggetto di valutazione; con pregiudizio sulla qualità della decisione giurisdizionale.
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3. La decisione della Corte: illegittimità della clausola sullo “specifico interesse”
La Corte costituzionale – dopo avere ripercorso le argomentazioni sostenute nelle ordinanze di rimessione succitate (reputando come esse andassero circoscritte al testo oggi vigente dell’art. 69-bis, comma 3, ordin. penit.), compiuta una sintetica ricostruzione del quadro normativo in cui la disciplina censurata si inserisce, e stimate infondate le eccezioni prospettate da parte dell’Avvocatura dello Stato – reputava le questioni sollevate dai rimettenti fondate in riferimento a tutti i parametri evocati.
In particolare, il Giudice delle leggi osservava a tal proposito innanzitutto che la pur ampia discrezionalità del legislatore nella configurazione delle regole processuali, anche nella materia penitenziaria, non può autorizzare un vulnus al principio della finalità rieducativa delle pene – l’unica finalità espressamente menzionata dalla Costituzione, ancorché non in funzione escludente le altre cui le pene assolvono.
In effetti, per la Consulta, la tensione delle pene verso l’obiettivo della rieducazione del condannato è oggetto di un preciso dovere («[l]e pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato»), che l’art. 27, terzo comma, Cost. pone a carico di tutte le istituzioni e i poteri che esercitano la potestà punitiva nell’ordinamento italiano, a cominciare dal legislatore, nel senso che la rieducazione – che la sentenza n. 179 del 2017 ha definito come espressione di sintesi che include gli obiettivi di «recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale» (punto 4.4. del Considerato in diritto) – indica «una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (sentenza n. 313 del 1990, punto 8 del Considerato in diritto), la cui finalità non può essere sacrificata a vantaggio di alcun’altra, seppur legittima, finalità della pena (sentenza n. 139 del 2025, punto 9.1. del Considerato in diritto, nonché, in precedenza, sentenza n. 149 del 2018, punto 7 del Considerato in diritto, e ivi ulteriori riferimenti).
Orbene, per la Corte, la liberazione anticipata è istituto chiave nel perseguimento di tale finalità, costituzionalmente necessaria, della pena.
Invero, già con la sentenza n. 274 del 1983, nel dichiarare costituzionalmente illegittima l’esclusione dei condannati all’ergastolo dalla liberazione anticipata (ai fini, quanto meno, dell’anticipato accesso alla liberazione condizionale), la Consulta ha posto in luce la funzionalità dell’istituto a promuovere la finalità rieducativa della pena (punto 4 del Considerato in diritto), mentre la successiva sentenza n. 276 del 1990 ha ulteriormente rimarcato che la liberazione anticipata è finalizzata a «sollecitare l’adesione e la partecipazione all’azione di rieducazione dei soggetti sottoposti a trattamento», attraverso il riconoscimento del diritto alla detrazione di una quota di pena per ogni semestre espiato, «durante il quale il detenuto abbia dato prova di volere concretamente partecipare all’opera di rieducazione», tenuto conto che la logica di quel meccanismo implica – proseguiva siffatta sentenza – la «prospettiva di un premio da cogliere in [un] breve lasso di tempo, purché in quel tempo egli riesca a dare adesione all’azione rieducativa» (punto 3 del Considerato in diritto).
Ancora, proseguiva il Giudice delle leggi nel suo ragionamento decisorio, la sentenza n. 17 del 2021 ha posto in luce «l’importanza d’una tempestiva valutazione del comportamento tenuto dal condannato, fin dai periodi iniziali della sua detenzione, affinché si consolidino stabili atteggiamenti di partecipazione all’offerta rieducativa, in termini di vera e propria abitudine, immediatamente produttiva di effetti favorevoli» (punto 2 del Considerato in diritto; sul «potente stimolo» all’opera rieducativa rappresentato dalle riduzioni di pena semestrali a titolo di liberazione anticipata, si veda anche, di nuovo, la sentenza n. 149 del 2018, punto 6 del Considerato in diritto).
Ebbene, alla luce di tali precedenti, si osservava che l’attuale meccanismo di valutazione globale dei presupposti della liberazione anticipata relativi a ciascun semestre in una fase avanzata dell’espiazione della pena, in prossimità del momento in cui il condannato può immediatamente fruire delle riduzioni di pena (rispetto all’anticipazione del fine pena o dell’accesso a misure alternative e benefici), fa venir meno il riscontro periodico sulla qualità del concreto percorso trattamentale individuale, che era stato sin qui assicurato dalla possibilità di una valutazione frazionata dei presupposti della liberazione anticipata, semestre per semestre, sollecitata da una istanza del detenuto. Nel dettaglio, tale riscontro, se positivo, assicurava immediatamente a quest’ultimo il diritto alla riduzione di pena: una riduzione, invero, di cui avrebbe usufruito soltanto in futuro, ma sulla quale sin da subito poteva fare affidamento certo (salva soltanto l’eccezionale possibilità di una revoca, alle stringenti condizioni previste dall’art. 54, comma 3, ordin. penit., come inciso dalla sentenza n. 186 del 1995).
D’altronde, il riconoscimento della detrazione per ciascun semestre da parte del magistrato di sorveglianza «rassicura il detenuto perché gli fornisce una prospettiva concreta e periodicamente aggiornata rispetto al suo fine pena, e, in tal modo aiuta a stemperare le tensioni che la carcerazione produce; ciò che giova anche alla sicurezza ed alla qualità della vita all’interno degli istituti di pena» (testo della relazione presentata dalla Presidente del Tribunale di sorveglianza di Cagliari alla Commissione giustizia del Senato nella seduta del 10 luglio 2024).
In effetti, il meccanismo di riscontro frazionato circa l’esito positivo delle istanze di liberazione anticipata ha, sino al recente passato, costituito per il detenuto uno stimolo importante a proseguire sul cammino di cambiamento intrapreso, attraverso la progressiva anticipazione, che in tal modo gli si prospettava, del fine pena e del termine per l’accesso ai benefici, essendo ciò in piena consonanza con quei caratteri di progressività e flessibilità della pena che derivano dallo stesso principio rieducativo, e che si declinano in una duplice speculare responsabilità: quella del condannato, chiamato a «intraprendere un cammino di revisione critica del proprio passato e di ricostruzione della propria personalità, in linea con le esigenze minime di rispetto dei valori fondamentali su cui si fonda la convivenza civile»; e quella correlativa del sistema penale nello stimolare il condannato a intraprendere e proseguire tale cammino, avvicinandolo gradualmente ai benefici finalizzati a promuovere il suo progressivo reinserimento nella società (sentenza n. 149 del 2018, punti 5 e 7 del Considerato in diritto, e ivi per ulteriori riferimenti).
D’altra parte, come sottolineavano anche i rimettenti, anche l’eventuale diniego della liberazione anticipata con riferimento a un singolo semestre non segnava un irreparabile fallimento del percorso trattamentale, ma costituiva esso stesso stimolo per il condannato a modificare al più presto il proprio comportamento, sì da ottenere la riduzione di pena alla successiva scadenza semestrale, e ciò nell’ambito di un cammino in cui il condannato dovrebbe idealmente essere aiutato – attraverso un costante dialogo con il magistrato di sorveglianza e il personale dell’amministrazione penitenziaria, nonché con i volontari che quotidianamente dedicano il loro impegno alle carceri italiane – a ritrovare in se stesso le risorse personali indispensabili per realizzare quel processo di cambiamento cui mira, in definitiva, l’art. 27, terzo comma, Cost..
Al contrario, per il Giudice delle leggi, la disciplina censurata nella fattispecie in esame ha cancellato tutti questi riscontri periodici, lasciando il condannato nell’incertezza circa la meritevolezza del percorso nel frattempo compiuto, o viceversa la sua inadeguatezza rispetto alle aspettative dell’ordinamento, e ciò sino al momento in cui i potenziali premi diventino in concreto fruibili in termini di riduzioni della pena da espiare: un momento – però – in cui il condannato non è più in grado di correggere efficacemente il proprio comportamento visto che, se lo scopo perseguito dal legislatore di alleggerire il carico di lavoro della magistratura di sorveglianza è apprezzabile, stanti i noti gravissimi ritardi nella definizione delle cause pendenti, e ciò a cominciare da quelle concernenti l’enorme numero dei cosiddetti “liberi sospesi” – e cioè condannati a pene detentive non superiori a quattro anni, che restano anche per anni in attesa delle determinazioni del tribunale di sorveglianza sulla propria istanza di misura alternativa alla detenzione –, su cui la Corte costituzionale ha già avuto modo di richiamare l’urgente attenzione del legislatore (sentenza n. 84 del 2024, punto 3.3.2. del Considerato in diritto), tuttavia, un tale interesse alla sollecita definizione dei giudizi pendenti, esso stesso di rilievo costituzionale (art. 111, secondo comma, Cost.), non può essere perseguito con modalità che determinano – come nel caso oggi all’esame – grave pregiudizio alla finalità rieducativa della pena.
La Consulta, pertanto, a questo punto della disamina, riteneva pertanto come la disciplina censurata – precludendo al condannato di formulare istanza di liberazione anticipata in assenza di uno «specifico interesse» diverso da quello alla determinazione del fine pena e del termine di accesso a misure alternative o a benefici penitenziari – violi il principio della finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., risultando distonica rispetto alla stessa finalità dell’istituto della liberazione anticipata, pensata dal legislatore dell’ordinamento penitenziario come strumento atto a favorire quella finalità costituzionale, integrandosi altresì con il principio del “minimo sacrificio necessario” della libertà personale, che la costante giurisprudenza di questa Corte deduce dal particolare rilievo costituzionale della libertà personale (sentenza n. 139 del 2025, punto 9.1. del Considerato in diritto, e ivi ulteriori riferimenti), determinando ciò, oltre tutto, un’evidente incongruità della disciplina rispetto alla sua finalità, il che integra un’ipotesi di irrazionalità intra legem, riconducibile al novero dei vizi di irragionevolezza ex art. 3 Cost. (sentenze n. 38 del 2025, punto n. 4.3.1. del Considerato in diritto; n. 95 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto; n. 197 del 2023, punto 5.5.4. del Considerato in diritto; n. 223 del 2022, punto 12 del Considerato in diritto; n. 195 del 2022, punto 8 del Considerato in diritto).
Del resto, per la Corte, la disciplina censurata risultava essere distonica anche rispetto all’art. 111, sesto comma, Cost., rendendo arduo per il giudice l’adempimento del suo dovere costituzionale di motivare il provvedimento che riconosca o neghi le detrazioni di pena a titolo di liberazione anticipata a distanza, in ipotesi, di molti anni dal semestre cui ciascuna di esse si riferisce, sulla base di relazioni rispetto alle quali diviene in pratica assai difficile chiedere chiarimenti alle amministrazioni penitenziarie presso le quali il condannato è stato in carico, essendoci tra l’altro una correlata difficoltà per il condannato stesso di esercitare efficacemente il proprio diritto di difesa, stante la difficoltà di produrre prove della propria partecipazione all’opera di rieducazione a distanza di anni dai semestri in valutazione.
Ciò posto, per la Corte costituzionale, a questo ulteriore punto della disamina, restava da doversi vagliare se, e in che misura, le altre innovazioni normative operate con il d.l. n. 92 del 2024, come convertito, e poi con il d.P.R. n. 176 del 2025, sortiscano l’effetto di elidere i vizi di illegittimità costituzionale sin qui posti in luce.
Ordunque, prendendo le mosse dagli interventi sull’art. 656 cod. proc. pen., se essi sono compendiabili nell’espressa indicazione, nell’ordine di esecuzione della pena, delle detrazioni di pena a titolo di liberazione anticipata di cui il condannato potrà fruire, accompagnata dall’avvertimento che tali detrazioni non saranno riconosciute in caso di mancata partecipazione all’opera di rieducazione, per i giudici di legittimità costituzionale, l’obbligo di fornire sin dall’inizio al condannato queste informazioni, peraltro già desumibili dalla mera lettura del dettato normativo, non valga a compensare il venir meno di quella verifica periodica che era garantita dalla possibilità di ottenere, per l’intero corso dell’esecuzione della pena, un riscontro puntuale sull’andamento del percorso trattamentale, assicurato dalla valutazione idealmente espressa dal magistrato di sorveglianza al termine di ogni semestre dato che, se solo tale valutazione individualizzata è idonea a segnalare le specifiche criticità riscontrate nel semestre, e a consentire allo stesso condannato – anche grazie ai colloqui con il magistrato e con l’amministrazione penitenziaria – di superare tali criticità, necessariamente più articolato è, invece, il discorso concernente l’impatto sulle odierne questioni del novum rappresentato dalle modifiche al regolamento penitenziario, e in particolare dal combinato disposto dei nuovi commi 5-bis dell’art. 26 e 1-ter dell’art. 103.
Invero, per effetto di tali modifiche, al condannato deve essere ora comunicato il giudizio negativo espresso dalla direzione del carcere sulla sua partecipazione all’opera di rieducazione in relazione a ciascun semestre. In tal caso, il condannato si considera titolare di uno «specifico interesse» ai sensi del censurato art. 69-bis, comma 3, ordin. penit., che lo legittima a formulare, nei trenta giorni successivi, istanza di liberazione anticipata in relazione – evidentemente – allo specifico semestre in relazione al quale è stato espresso il giudizio negativo, considerato che, se un tale meccanismo certamente attenua i profili di frizione con la finalità rieducativa della pena, di irragionevolezza intrinseca e di contrasto con i principi del “giusto processo” nella fase esecutiva della pena sin qui evidenziati, consentendo al condannato di sollecitare immediatamente una verifica giurisdizionale, alla luce delle proprie deduzioni difensive, rilevante al fine dell’accertamento dei presupposti della liberazione anticipata in relazione al singolo semestre, tuttavia, un meccanismo così congegnato continua a presentare gravi incongruenze, che finiscono per lasciare il detenuto, il quale non abbia ricevuto una inequivoca valutazione negativa da parte dell’amministrazione, nell’incertezza circa il proprio fine pena reale (e i termini per accedere a misure alternative e benefici) poiché non può al riguardo trascurarsi che la valutazione circa la sussistenza dei presupposti della liberazione anticipata spetta, in base alla legge, al solo magistrato di sorveglianza: il quale, certo, dovrà considerare con attenzione il giudizio comunicatogli dall’amministrazione penitenziaria, nell’ambito però di una valutazione che egli dovrà compiere in autonomia, sulla base di parametri anche ulteriori rispetto alle periodiche relazioni dell’amministrazione penitenziaria giacché la giurisprudenza di legittimità è costante nel sottolineare la necessità di tenere in considerazione, nella valutazione della partecipazione del condannato all’opera di rieducazione, plurimi elementi ulteriori rispetto ai riscontri dell’amministrazione penitenziaria (Corte di Cassazione, Sezione prima penale, sentenza 28 marzo-3 luglio 2025, n. 24506, e ivi ulteriori precedenti, nonché Sezione prima penale, sentenza 12 luglio 2018-22 gennaio 2019, n. 2886), il che potrebbe condurlo a negare le detrazioni di pena anche in presenza di un giudizio non negativo (o non totalmente negativo) dell’amministrazione, e viceversa.
In altre parole, per la Consulta, ciò che conta per il condannato ai fini del riconoscimento delle detrazioni di pena per ciascun semestre è la valutazione del magistrato di sorveglianza, non quella dell’amministrazione, e da qui il suo persistente interesse, nell’ottica dell’efficacia del complessivo percorso rieducativo, a sollecitare tale valutazione semestre per semestre, anche nell’ipotesi in cui non gli venga comunicato un giudizio negativo da parte dell’amministrazione, donde l’insufficienza dei correttivi al regolamento penitenziario introdotti con il d.P.R. n. 176 del 2025 a sanare i vulnera poc’anzi evidenziati nella disciplina legislativa censurata.
Chiarito anche tale aspetto, restando assorbiti tutti gli ulteriori profili di censura prospettati dalle ordinanze di rimessione, ad avviso del Giudice delle leggi, la reductio ad legitimitatem della disciplina censurata era possibile mediante l’ablazione, nel comma 3 del novellato art. 69-bis ordin. penit., dell’intera seconda parte della disposizione che condiziona la possibilità per il condannato di formulare istanza di liberazione anticipata alla sussistenza di uno specifico interesse («quando vi abbia uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, che deve essere indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza medesima»), dato che la sopravvivenza della proposizione iniziale («Il condannato può formulare istanza di liberazione anticipata»), sempre per la Corte, assicurerà così al condannato la possibilità di formulare in qualsiasi momento l’istanza in relazione al semestre o ai semestri già maturati, restando invece fermo l’obbligo – introdotto dal d.l. n. 92 del 2024, come convertito, – di valutazione ex officio dei presupposti per la concessione della libertà anticipata in relazione a ciascun semestre, ove non già effettuata in risposta a previe istanze del condannato, nelle scansioni temporali previste dai primi due commi dell’art. 69-bis ordin. penit., che non erano state oggetto delle censure dei rimettenti.
I giudici di legittimità costituzionale, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, dichiaravano l’illegittimità costituzionale dell’art. 69-bis, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall’art. 5, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92 (Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2024, n. 112, limitatamente alle parole «quando vi abbia uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, che deve essere indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza medesima».
4. Effetti pratici della sentenza: ritorno all’istanza libera e coordinamento con l’officiosità
Fermo restando che, prima che venisse pronunciata la sentenza qui in commento, l’art. 69-bis, co. 3, legge n. 354 del 1975 stabiliva che il “condannato può formulare istanza di liberazione anticipata quando vi abbia uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, che deve essere indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza medesima”, con siffatta pronuncia, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo siffatto precetto normativo in relazione alle seguenti parole: “quando vi abbia uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, che deve essere indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza medesima”.
Pur tuttavia, come evidenziato sempre in codesto provvedimento (il cui passaggio motivazionale è stato appena richiamato in precedenza), se al condannato rimane consentito di chiedere in qualsiasi momento l’istanza in relazione al semestre o ai semestri già maturati, restando però comunque fermo l’obbligo di valutazione ex officio dei presupposti per la concessione della libertà anticipata in relazione a ciascun semestre, ove non già effettuata in risposta a previe istanze del condannato, nelle scansioni temporali previste dai primi due commi dell’art. 69-bis ordin. penit. i quali, come è risaputo, stabiliscono rispettivamente quanto segue: 1) “In occasione di ogni istanza di accesso alle misure alternative alla detenzione o ad altri benefici analoghi, rispetto ai quali nel computo della misura della pena espiata è rilevante la liberazione anticipata ai sensi dell’articolo 54, comma 4, il magistrato di sorveglianza accerta la sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata in relazione ad ogni semestre precedente. L’istanza di cui al periodo precedente può essere presentata a decorrere dal termine di novanta giorni antecedente al maturare dei presupposti per l’accesso alle misure alternative alla detenzione o agli altri benefici analoghi, come individuato computando le detrazioni previste dall’articolo 54” (comma primo); 2) “Nel termine di novanta giorni antecedente al maturare del termine di conclusione della pena da espiare, come individuato computando le detrazioni previste dall’articolo 54, il magistrato di sorveglianza accerta la sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata in relazione ai semestri che non sono già stati oggetto di valutazione ai sensi del comma 1 e del comma 3” (comma secondo).
Queste sono dunque in sostanza le novità che connotano il provvedimento qui in commento.
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