L’erronea applicazione della diminuente integra una violazione di legge

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L’erronea applicazione della diminuente prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato integra una violazione di legge che deve essere dedotta, a pena di inammissibilità, in sede di appello

Indice

1. Il fatto

La Corte di Appello di Milano confermava una pronuncia emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare della medesima città nei confronti di una persona ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. b) e comma 2-sexies, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, perché il 21 dicembre 2018 aveva circolato alla guida di un’autovettura in stato di ebbrezza alcolica, commettendo il fatto durante le ore notturne.
In particolare, la Corte di appello aveva rigettato l’unico motivo proposto con il quale l’imputato si doleva del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure la difesa dell’imputato, per il tramite del sostituto processuale, proponeva ricorso per la cassazione della sentenza articolando un unico motivo con il quale si denunciava la violazione della legge processuale, e segnatamente dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., perché, ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello, nel confermare integralmente la sentenza impugnata, aveva mantenuto ferma anche la riduzione di un terzo della pena applicata dal Giudice per le indagini preliminari in ragione del rito prescelto, così ponendosi in contrasto con la menzionata disposizione che, a seguito della modifica introdotta dalla legge n. 103/2017, stabilisce che la pena è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione.
Orbene, sempre secondo il legale, ciò tanto aveva determinato l’illegalità della pena, in quanto conseguenza di un “palese errore materiale di calcolo”, come tale rilevabile anche dopo la formazione del giudicato con incidente di esecuzione, senza che sarebbe stato necessario che la difesa avesse presentato, nei precedenti gradi di giudizio, specifico motivo di appello sul punto, tenuto conto altresì del fatto che, ritenuta la violazione censurata, la Corte di Cassazione può rideterminare la pena senza necessità di rinvio al giudice del merito.
L’esponente, quindi, richiamava, a conferma del proprio assunto, le pronunce Sez. 3, n. 38474 del 31/05/2019, e Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012.

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

La Quarta Sezione della Cassazione, cui il ricorso era stato assegnato, riteneva di dover registrare un contrasto di giurisprudenza sul tema della rilevabilità da parte della Corte di Cassazione della erroneità della riduzione della pena prevista per il rito abbreviato, operata dal giudice di primo grado per un reato contravvenzionale nella misura di un terzo invece che in quella della metà prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., nel testo modificato dall’art. 1, comma 44, legge 23 giugno 2017, n. 103, anche quando la questione, non prospettata con l’atto di appello, sia stata proposta solo con il ricorso per Cassazione; pertanto, il ricorso proposto veniva rimesso alle Sezioni unite.
In particolare, l’ordinanza de qua rilevava che, secondo una prima soluzione interpretativa, «in tema di giudizio abbreviato, l’applicazione della più favorevole riduzione per il rito nella misura della metà, anziché di un terzo, introdotta per le contravvenzioni dalla legge 103/2017, pur essendo applicabile anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore, non può essere fatta valere con il ricorso per cassazione, ove non sia stata richiesta nel giudizio d’appello celebrato nella vigenza della nuova legge, non vertendosi in un’ipotesi di pena illegale, bensì di errata applicazione di una legge processuale, per cui il vizio è denunciabile solo con gli ordinari mezzi di gravame (Sez. 2, n. 28306 del 25/06/2021, in tema di impugnazione di sentenza di applicazione di pena ex art. 599-bis cod. proc. pen.; Sez. 3, n. 34077 del 31/03/2021; Sez. 4, n. 6510 del 27/01/2021; Sez. 1, n. 22313 del 08/07/2020, che ha precisato che non sono esperibili neanche i rimedi dell’incidente di esecuzione e della correzione dell’errore materiale)».
Ebbene, ad avviso della Sezione rimettente, tale linea ermeneutica si basa su una nozione restrittiva di «pena illegale», per tale dovendosi intendere la sanzione non prevista dalla legge per specie o quantità o esito di errore nel computo aritmetico mentre, in ipotesi come quella in considerazione, la quantificazione sarebbe stata operata in violazione del criterio di riduzione stabilito dalla legge processuale, trattandosi, pertanto, di mera ipotesi di pena «illegittima», emendabile esclusivamente mediante gli ordinari mezzi di impugnazione, coi quali l’imputato avrebbe dovuto chiederne l’esatta commisurazione (Sez. 1, n. 28252 del 11/06/2014).
Invece, l’opposto orientamento – secondo quanto rilevato nell’ordinanza della Quarta Sezione – reputa che, in tema di giudizio abbreviato celebrato dopo le modifiche introdotte all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. dalla legge n. 103 del 2017, nel caso di omessa riduzione della metà della pena inflitta con sentenza di condanna per contravvenzione, sia ammissibile il ricorso per Cassazione volto a far valere, per i fatti pregressi, l’erronea applicazione, per le contravvenzioni, della diminuente per il rito abbreviato nella misura di un terzo anziché della metà, non dedotta in precedenza con i motivi di appello (Sez. 4, n. 37820 del 12/10/2021; Sez. 4, n. 38633 del 05/10/2021; Sez. 4, n. 24897 del 18/05/2021).
In relazione a tale approdo ermeneutico, inoltre, il Collegio rimettente rilevava come tale soluzione interpretativa sia fondata sulla natura sostanziale degli effetti della riduzione in parola, per cui l’applicabilità del trattamento sanzionatorio più favorevole sarebbe rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen., disposizione ormai divenuta strumento interno di attuazione del principio sovranazionale della retroattività della lex mitior.
Invero, sebbene l’art. 442 cod. proc. pen. si inserisca nell’ambito della disciplina processuale e non di quella sostanziale, la diminuzione o sostituzione della pena costituirebbe un aspetto sostanziale nel senso che l’intima ed inscindibile connessione tra profili processuali ed effetti sostanziali comporterebbe l’applicazione dell’art. 25, comma 2, Cost. (Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017).

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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite

Le Sezioni unite, dopo avere individuato la questione sottoposta al loro vaglio giudiziale (ossia se, in tema di reati contravvenzionali, la Corte di Cassazione possa applicare la corretta riduzione della metà prevista per un reato contravvenzionale, giudicato con rito abbreviato, non disposta dal giudice di merito, pur se la questione non sia stata prospettata con l’atto di appello, ma unicamente con il ricorso per Cassazione), prima di entrare nel merito del tema in questione, procedeva ad un lungo e articolato ragionamento giuridico attraverso il quale si giungeva: 1) alla definizione del concetto di pena illegale ab origine; 2)a determinare una linea di demarcazione rispetto a quello di pena illegittima; 3) a dimostrare la irrilevanza di criteri euristici incentrati sulla evidenza dell’errore rinvenibile nella decisione.
Premesso ciò, la Suprema Corte, prima di decidere in merito alla risoluzione del contrasto in questione (vale a dire, come appena esposto, se la diminuente prevista per il rito abbreviato reagisca o meno sulla legalità della pena), evidenziava prima di tutto che, per le scelte operate dal legislatore del 1988, aspetti sostanziali e aspetti procedurali possono intersecarsi con la commisurazione della pena, reputandosi all’uopo sufficiente considerare che l’aver assegnato il legislatore alla celebrazione del rito abbreviato la idoneità a concorrere alla quantificazione della pena da infliggere ha condotto la giurisprudenza, innanzitutto quella costituzionale, a porre in evidenza gli effetti anche sostanziali del rito, oltre che facendosi presente che, sin dalla sentenza n. 23 del 1992, la Corte costituzionale ha osservato che sottrarre al giudice del dibattimento l’allora previsto controllo sulla definibilità del processo allo stato degli atti significa limitare «in modo irragionevole il diritto di difesa dell’imputato, nell’ulteriore svolgimento del processo, su di un aspetto che ha conseguenze sul piano sostanziale» fermo restando che, concordando con l’avviso espresso dalla Grande Camera della Corte EDU nella sentenza del 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, per la quale l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., ancorché contenuto in una legge processuale, costituisce «una disposizione di diritto penale materiale riguardante la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato», la Corte costituzionale, nella pronuncia n. 210 del 2013, ha rilevato che la natura sostanziale della disposizione era stata già chiaramente affermata dalle Sez. U, nella pronuncia n. 2977 del 06/03/1992, ritenendosi ciò preminente rispetto al tema della natura della diminuzione o della sostituzione della pena, perché quel che rileva è che essa si risolve indiscutibilmente in un trattamento penale di favore, trattandosi di una ricostruzione mai posta in discussione ed anzi ribadita ancora con la sentenza n. 260 del 18 novembre 2020, nella quale la Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della Spezia in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., che preclude l’applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo, ha precisato che «la disciplina censurata, pur incidendo su disposizioni concernenti il rito, ha un’immediata ricaduta sulla tipologia e sulla durata delle pene applicabili in caso di condanna, e non può pertanto che soggiacere ai principi di garanzia che vigono in materia di diritto penale sostanziale, tra cui segnatamente il divieto di applicare una pena più grave di quella prevista al momento del fatto, come affermato anche dalla giurisprudenza EDU».
Ciò posto, gli Ermellini prendevano altresì atto di come anche la giurisprudenza di legittimità abbia nel tempo consolidato l’avviso espresso dalla sentenza n. 2977/1992 («… nella specie gli aspetti processuali sono strettamente collegati con aspetti sostanziali, perché tali certamente sono quelli relativi alla diminuzione o sostituzione della pena…»), stimandosi sufficiente rammentare quanto affermato dalle Sez. U, nella decisione n. 18821 del 24/10/2013, a riguardo dell’applicabilità della disciplina in materia di successione nel tempo di leggi penali sostanziali alla sopraggiunta modifica delle condizioni di accesso al rito abbreviato e alcune delle numerose consonanti pronunce delle Sezioni semplici, ossia: Sez. 2, n. 14068 del 27/02/2019; Sez. 4, n. 5034 del 15/01/2019; Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017.
Ebbene, a fronte di tale quadro ermeneutico, per le Sezioni unite, la ricognizione delle decisioni pertinenti evidenzia che, sinora, il rilievo del profilo sostanziale del rito abbreviato è stato esaltato essenzialmente nella prospettiva della applicazione della legge più favorevole al reo, e ciò non è senza significato, perché pone in luce che occorre cautela nel ricavarne automatismi o implicazioni su un piano più generale; in altri termini, per la Corte di legittimità, non sarebbe corretto affermare che, in quanto incidente sulla pena, la diminuzione per l’abbreviato afferisce al piano della determinazione legale posto che la previsione processuale non è ispirata alla necessità di ridefinire il valore del tipo.
Chiarito ciò, veniva altresì fatto presente che, per quanto dalla sua introduzione la disciplina del rito abbreviato abbia conosciuto ripetute modifiche, non sempre ispirate dall’intento di conservare il disegno originario, per il Supremo Consesso, non sembra essere mutata la funzione assegnata alla caratteristica riduzione di pena dal momento che, se la Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale le assegna la «finalità pratica di creare un incentivo alla richiesta di giudizi abbreviati» che, al pari degli altri procedimenti speciali, sono stati previsti per ridurre la durata del processo, una rinnovata conferma della funzione deflattiva della diminuzione di pena viene dalla legge 27 settembre 2021, n. 134, con la quale è stata conferita “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”.
Nel dettaglio, se l’art. 1, comma 10, lett. b) n. 2), con riguardo al rito abbreviato, prescrive di «prevedere che la pena inflitta sia ulteriormente ridotta di un sesto nel caso di mancata proposizione di impugnazione da parte dell’imputato, stabilendo che la riduzione sia applicata dal giudice dell’esecuzione», la ratio della previsione, quale esplicitata dalla Relazione della Commissione ministeriale dai cui lavori essa ha tratto origine, è quella di «ridimensionare l’incidenza di appelli finalizzati a censurare unicamente l’entità della pena»; la riduzione si basa «su uno scambio ben noto nel nostro ordinamento tra rinuncia consapevole e volontaria a una garanzia (l’appello quale espressione del diritto di difesa) e uno sconto ragionevole di pena (quale premio per il risparmio di attività processuale) …».
Ciò posto, oltre alla lettura del contesto normativo di riferimento, i giudici di piazza Cavour notavano del resto che, dal canto suo, la giurisprudenza individua la ragione giustificativa della diminuzione prevista per il rito abbreviato nell’intento di accordare un incentivo, o premio, per la scelta del procedimento speciale a prova contratta, o allo stato degli atti (Sez. 1, n. 43024 del 25/09/2003; Sez. 6, n. 58089 del 16/11/2017), trattandosi di una ricostruzione interpretativa che è stata ribadita dalle Sez. U, nella pronuncia n. 35852 del 22/02/2018, che ha rammentato come la Corte costituzionale abbia in più occasioni rimarcato la natura di diminuente processuale (n. 284 del 1990), funzionale ad assicurare la rapida definizione dei procedimenti (n. 277 del 1990), fermo restando che ancor più pregnante in tal senso è quanto affermato dalle Sez. U, nella sentenza n. 7707 del 21/05/1991, la quale ha escluso che la diminuente in parola possa essere assimilata alle circostanze del reato, facendone discendere la non incidenza sulla determinazione della pena rilevante per l’individuazione del tempo necessario alla prescrizione del reato, rilevandosi al contempo che anche la Sez. 2, nella pronuncia n. 18558 del 20/02/2020, in tema di calcolo del termine di durata massima della custodia cautelare nel giudizio abbreviato, ha ritenuto che per tale calcolo non si può tener conto della riduzione di un terzo prevista dall’art. 442 cod. proc. pen., non incidendo questa sulla misura edittale della pena.
Parole nette sulla questione, d’altronde, evidenziavano sempre le Sezioni unite nella decisione qui in commento, si leggono nella sentenza emessa dalle Sez. U, di cui al n. 7578 del 17/12/2020, alla luce del seguente passaggio argomentativo: «… la natura processuale della diminuente per il rito, in quanto non attiene alla valutazione del fatto reato e alla personalità dell’imputato, non contribuisce a determinare in termini di disvalore la quantità e gravità criminosa, consistendo in un abbattimento fisso e predeterminato connotato da automatismo senza alcuna discrezionalità valutativa da parte del giudice». Rilievo che non ha precluso alle Sezioni Unite di ribadire che «le caratteristiche della diminuente si presentano collegate con effetti di sicuro rilievo dal punto di vista sostanziale».
Sicché, sempre in relazione a tale arresto giurisprudenziale, sarebbe errato dedurre una implicita connotazione in termini di illegalità della pena dalla circostanza che nella medesima sentenza si è rimarcata la inderogabilità della riduzione per il rito; del resto ancorata, nel caso di specie, al più generale obbligo del giudice di appello di rispondere specificamente ai motivi proposti con l’impugnazione e sulle questioni con gli stessi devolute nonché alla violazione del principio devolutivo (cfr. p. 8).
Oltre a ciò, era oltre tutto messo in risalto il fatto come la non incidenza della diminuente processuale sulla legalità della pena inflitta sia presente anche nelle argomentazioni espresse dalle Sez. U, nella sentenza n. 44711 del 27/10/2004, che hanno sancito il dovere di applicare la riduzione per il rito abbreviato da parte del giudice del dibattimento che, all’esito del giudizio, reputi illegittimo il rigetto dell’istanza di rito abbreviato condizionato avanzata dinanzi al giudice per le indagini preliminari o al giudice dell’udienza preliminare e tempestivamente rinnovata in dibattimento, rilevandosi al contempo che in tale decisione viene più volte rimarcato che la legittimità del provvedimento reiettivo della richiesta di rito abbreviato (condizionato) è presupposto che condiziona «la legalità della pena inflitta con la condanna» fermo restando che, per le Sezioni unite, tale affermazione è fatta nel contesto di una argomentazione che non aveva la necessità di distinguere tra pena illegale e pena illegittima, tanto è vero che in essa si scrive che l’eventuale rinnovato rigetto del rito abbreviato condizionato da parte del giudice del dibattimento può essere appellato con specifico motivo di gravame che denunci «l’eventuale profilo di ‘illegalità’ della pena inflitta»; in altri termini, per la Suprema Corte, non si è in presenza di una decisione che coglie (né doveva cogliere) il discrimine tra pena illegale e pena illegittima; la sentenza individua correttamente un profilo di illegittimità del procedimento (il rigetto viziato) che rifluisce sulla legittimità della pena in concreto inflitta, né si traggono argomenti critici da Sez. U, n. 20214 del 27/03/2014, che ha stabilito il diritto dell’imputato al recupero della riduzione premiale nel caso in cui il rigetto o la dichiarazione d’inammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato non subordinata a integrazioni istruttorie siano illegittimi.
Nel complesso, pertanto, le Sezioni unite evidenziavano come la quasi unanime giurisprudenza di legittimità non affermi che la riduzione premiale prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. attiene alla determinazione legale della pena e, dunque, in ragione della estraneità della diminuente processuale all’ambito della determinazione legale della pena, la violazione dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., per la Corte, non importa la illegalità della pena.
Detto questo, venendo a trattare il contrasto in questione, con particolar riguardo agli orientamenti nomofilattici summenzionati, i giudici di legittimità ordinaria ritenevano che le sentenze, che fanno leva sulla macroscopicità dell’errore (Sez. 3, n. 38474 del 31/05/2019, e Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012), utilizzano un criterio (stimato) eccentrico rispetto ai termini del problema e, pertanto, (reputato) non idoneo ad identificare la pena illegale e a distinguerla dalla pena illegittima, così come non era considerato condivisibile nemmeno quanto enunciato dalla Sez. 6, nella decisione n. 32243 del 15/07/2014, la quale non ricava dalla natura processuale della diminuente motivo per distinguere l’ipotesi della erronea applicazione dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. dai casi di illegalità della pena mentre tale distinguo si coglie, al contrario, per la Cassazione in Sez. 4, n. 6510 del 27/01/2021, e in Sez. 1, n. 22313 del 08/07/2020, le quali, pur senza esplicitare le premesse interpretative adottate, formulano un enunciato che, per le Sezione unite, coglie esattamente il punto, vale a dire che, in linea generale, la determinazione della pena operata non applicando o erroneamente applicando il criterio di riduzione previsto dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. integra una violazione della legge processuale, sicché la pena risulta illegittima, ma non illegale.
E’ ritenuta quindi meritevole di condivisione la sentenza emessa dalla Sez. 1, di cui al n. 28252 del 11/06/2014, che, con riguardo ad un’ipotesi di omessa applicazione della riduzione prevista per il rito abbreviato, ha affermato che «… non di pena illegale può correttamente discettarsi, di pena cioè non prevista dall’ordinamento, ma di pena illegittima e cioè determinata in contrasto con i principi di legge per la sua quantificazione».
Orbene, pervenuti alla conclusione che la pena determinata dal giudice in violazione dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. è illegittima e non illegale, per la Suprema Corte, risulta superfluo l’esame di quello che si è definito, in principio di trattazione, come il primo polo del contrasto segnalato dalla Quarta Sezione, ovvero la rilevabilità della illegalità della pena ad opera del giudice dell’impugnazione inammissibile.
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulavano il seguente principio: “Qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di violazione di legge che, ove non dedotta nell’appello, resta preclusa dalla inammissibilità del ricorso”.

4. Conclusioni

La decisione in esame desta un considerevole interesse dato che con essa le Sezioni unite, componendo un pregresso contrasto giurisprudenziale, hanno chiarito cosa comporta l’erronea applicazione della diminuente prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato e come deve essere dedotta.
Difatti, nella pronuncia qui in commento, come appena visto, si afferma che, qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di violazione di legge che, ove non dedotta nell’appello, resta preclusa dalla inammissibilità del ricorso.
Pertanto, alla stregua di tale arresto giurisprudenziale, ove si verifichi una erroneità di questo tipo, ciò comporta una violazione di legge che, a pena di inammissibilità, deve essere dedotta nei motivi di appello, non potendo invece essere proposta per la prima volta con il ricorso per Cassazione.
Tale decisione, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ove si verifichi una situazione processuale di questo genere.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché fa chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere positivo.

FORMATO CARTACEO

Compendio di Procedura penale

Il presente testo affronta in modo completo e approfondito la disciplina del processo penale, permettendo uno studio organico e sistematico della materia. L’opera è aggiornata alla L. n. 7 del 2020 di riforma della disciplina delle intercettazioni, al D.L. n. 28 del 2020 in tema di processo penale da remoto, ordinamento penitenziario e tracciamento di contatti e contagi da Covid-19 e alla più recente giurisprudenza costituzionale e di legittimità.   Giorgio SpangherProfessore emerito di procedura penale presso l’Università di Roma “La Sapienza”.Marco ZincaniAvvocato patrocinatore in Cassazione, presidente e fondatore di Formazione Giuridica, scuola d’eccellenza nella preparazione all’esame forense presente su tutto il territorio nazionale. Docente e formatore in venti città italiane, Ph.D., autore di oltre quattrocento contributi diretti alla preparazione dell’Esame di Stato. È l’ideatore del sito wikilaw.it e del gestionale Desiderio, il più evoluto sistema di formazione a distanza per esami e concorsi pubblici. È Autore della collana Esame Forense.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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