Legittimo il licenziamento del dirigente depresso

Redazione 12/03/12
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Anna Costagliola

Per la Cassazione è legittimo il licenziamento del dirigente depresso, in quanto lo stato di malattia in cui versa lo pone in condizione di non poter svolgere adeguatamente il proprio lavoro. E’ quanto sostenuto nella sentenza n. 3547 del 7 marzo 2012 in relazione ad una vicenda che ha visto coinvolto un dirigente licenziato dall’azienda in seguito ad un consistente processo di riorganizzazione interna. Il percorso giudiziario intrapreso dal dirigente medesimo mirava a far dichiarare la nullità del licenziamento intimato in costanza del suo stato di malattia psichica, e pertanto da intendersi discriminatorio e di carattere ritorsivo e non già sorretto da un’ adeguata giustificazione correlata all’esigenza di una riorganizzazione interna.

Già la Corte d’appello, nell’escludere ogni carattere ritorsivo del provvedimento di licenziamento, in quanto correlato ad un effettivo processo di riorganizzazione del settore e pertanto sorretto da adeguata giustificatezza, aveva richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui «può considerarsi licenziamento ingiustificato del dirigente…solo quello non sorretto da alcun motivo (e che quindi sia meramente arbitrario) ovvero sorretto da un motivo che si dimostri pretestuoso e quindi non corrispondente alla realtà, di talché la sua ragione debba essere rinvenuta unicamente nell’intento di liberarsi della persona del dirigente e non in quello di perseguire il legittimo esercizio del potere riservato all’imprenditore (Cass. n. 21748/2010; Cass. n. 17013/2006). Con la conseguenza che il licenziamento del dirigente, quando è motivato e la sua motivazione, oltre ad essere lecita, è anche obiettivamente verificabile non è arbitrario e, di conseguenza, è giustificato ai sensi del contratto collettivo».

A ciò gli Ermellini aggiungono che il licenziamento del dirigente che versi, come nella fattispecie de qua, in uno stato ansioso depressivo reattivo medicalmente accertato e che abbisogni di una terapia a base di riposo e cure trova in ogni caso adeguata giustificazione proprio nello stato di malattia. Si legge, infatti, in sentenza che «la incapacità/capacità a rendere la prestazione deve essere valutata, siccome ad esso funzionalmente connessa, al grado di impegno decisionale richiesto ad un dirigente per le specifiche elevate responsabilità che gli competono e, perciò, alla compatibilità del riposo psichico prescritto con quel grado di impegno». Nella fattispecie concreta, lo stato ansioso depressivo diagnosticato al lavoratore lo poneva effettivamente in condizione di non poter rendere le prestazioni a lui richieste e di non poter sostenere il grado di responsabilità ad esse connesso, attesa la incompatibilità di queste con la terapia di riposo psichico prescritta dai medici per la specifica affezione.

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