Le domande più frequenti all’orale di avvocato 2019 sulle impugnazioni nel processo penale

Redazione 08/10/19
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Di seguito le domande più frequenti sulle impugnazioni nel processo penale effettuate nelle sessioni d’esame di avvocato presso le varie corti d’appello.

Per conoscere le domande e le risposte più frequenti all’orale di avvocato su tutti gli altri argomenti leggi il “Compendio di procedura penale” di Giorgio Spangher e Marco Zincani.

Quali sono i termini per impugnare?

I termini per proporre impugnazione sono stabiliti dalla legge a pena di decadenza e conseguente inammissibilità del gravame stesso (art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p.). Nel caso in cui la motivazione sia redatta contestualmente alla lettura del dispositivo della sentenza, il termine per impugnare è di 15 giorni decorrenti dalla lettura del provvedimento in udienza per tutte le parti che sono state o debbano considerarsi presenti alla lettura.

Se la motivazione viene redatta e depositata entro 15 giorni dal termine della pronuncia, l’impugnazione deve essere proposta entro 30 giorni dalla scadenza del termine previsto dalla legge (15 giorni).
Nel caso in cui la motivazione sia redatta e depositata entro il termine indicato dal giudice nel dispositivo della sentenza, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia, l’impugnazione deve essere presentata entro 45 giorni a decorrere dalla scadenza del termine determinato dal giudice per il deposito della sentenza.

Se la motivazione è redatta e depositata dopo il termine indicato dal giudice nel dispositivo della sentenza non eccedente il novantesimo giorno da quello della pronuncia, il termine per impugnare è di 45 giorni dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione o la comunicazione dell’avviso di deposito a norma dell’art. 548, comma 2, c.p.p. Quando la decorrenza del termine per impugnare è diversa per l’imputato e il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo (art. 585, comma 3, c.p.p.).

I provvedimenti emessi a seguito di procedimento in camera di consiglio ex art. 127 c.p.p. possono essere impugnati entro 15 giorni dalla notificazione o dalla comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento stesso.
Le sezioni unite (1992) hanno da tempo ritenuto applicabile la disciplina dei termini prevista per le sentenze emesse a conclusione del dibattimento anche a quelle assunte a chiusura del giudizio abbreviato.

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Quali sono le caratteristiche dell’appello in via incidentale?

L’appello in via incidentale ha subito un’importante modificazione ad opera del d.lgs. n. 11/2018 il quale limita i soggetti legittimati ad esperire tale mezzo di impugnazione al solo imputato, escludendo viceversa le altre parti private ed il pubblico ministero. Quest’ultimo soggetto viene dunque “responsabilizzato” dal legislatore delegato a proporre impugnazione principale allorché non sia soddisfatto degli esiti del giudizio di primo grado. Dunque, attualmente la nuova versione dell’art. 595 c.p.p. prevede che l’imputato che non ha proposto impugnazione principale, pur essendone legittimato ex lege, può proporre appello incidentale entro quindici giorni da quello in cui ha ricevuto la notificazione prevista dall’art. 584 c.p.p.

La precipua funzione di tale istituto è quella di integrare il contraddittorio nel giudizio di appello, permettendo all’appellante incidentale di sottoporre al giudice di secondo grado una tesi alternativa sullo stesso tema oggetto dell’appello principale. Ecco perché le sezioni unite della Corte di Cassazione nel 2006, con un importante arresto giurisprudenziale, ebbero a stabilire e precisare che l’appello incidentale deve limitarsi nel suo contenuto ai capi della decisione già oggetto dell’appello principale e ai punti che hanno connessione essenziale con quelli oggetto di censura nell’appello principale. Ed ecco altresì perché l’appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell’appello principale o di rinuncia allo stesso (art. 595, comma 4, c.p.p.).

L’appello incidentale si propone secondo le norme generali contenute negli artt. da 581 a 584 c.p.p. Inoltre, entro quindici giorni dalla notificazione dell’impugnazione presentata dalle altre parti, l’imputato può presentare al giudice, mediante deposito in cancelleria, memorie o richieste scritte.

Per conoscere le domande e le risposte più frequenti all’orale di avvocato su tutti gli altri argomenti leggi il “Compendio di procedura penale” di Giorgio Spangher e Marco Zincani.

In cosa consiste il concordato in appello?

La legge Orlando n. 103/2017 ha reintrodotto il c.d. concordato in appello: in base al nuovo art. 599 bis c.p.p., la corte provvede in camera di consiglio quando le parti, nelle forme di cui all’art. 589 c.p.p., ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il p.m., l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo.

Il giudice può soltanto accogliere il concordato senza poterlo modificare: se ritiene di non poterlo accogliere allo stato degli atti, ordina la citazione a comparire al dibattimento di appello. In tal caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte nel dibattimento di appello (art. 599 bis, comma 3, c.p.p.). In ogni caso, la richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall’accordo (art. 602, comma 1 bis, c.p.p.). Non si può procedere a concordato in appello negli stessi casi in cui non è consentito il patteggiamento allargato.

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Cosa accade dopo il deposito del ricorso per Cassazione?

Una volta depositato il ricorso, la cancelleria del giudice a quo trasmette senza ritardo il fascicolo processuale. Il presidente deve verificare se sussiste o meno una causa formale di inammissibilità: in caso positivo, assegna il ricorso ad apposita sezione (la settima) che è competente a dichiarare l’inammissibilità. Il presidente della sezione fissa la data per la decisione in camera di consiglio e la cancelleria comunica tale data, unitamente alla causa di inammissibilità rilevata con riferimento al contenuto dei motivi di ricorso (modifica introdotta all’art. 610 c.p.p. dalla legge Orlando), al procuratore generale e ai difensori.

Il contraddittorio è meramente cartolare. La legge Orlando n. 103/2017 ha introdotto al comma 5 bis dell’art. 610 c.p.p. casi in cui la Suprema Corte dichiara senza formalità l’inammissibilità del ricorso: a) nei casi di cui all’art. 591 lett. a (limitatamente alla mancanza di legittimazione), b, c (esclusa l’inosservanza delle disposizioni dell’art. 581 c.p.p.) e d; b) quando è stato presentato ricorso contro la sentenza di patteggiamento o contro la sentenza che ha accolto il concordato in appello.

Contro la decisione che dichiara l’inammissibilità si può proporre ricorso straordinario.
Nel caso in cui non ravvisi cause di inammissibilità, assegna il ricorso ad una singola sezione. Il presidente di sezione fissa poi la data per la trattazione in udienza, di regola pubblica, ovvero in camera di consiglio secondo i casi previsti dall’art. 611 c.p.p. (ad esempio quando deve decidere su ricorsi contro provvedimenti non emessi nel dibattimento).

Almeno 30 giorni prima dell’udienza la cancelleria ne dà comunicazione/avviso al procuratore generale e ai difensori, indicando se il ricorso verrà deciso a seguito di udienza pubblica o in camera di consiglio.
Qualora il presidente abbia assegnato il ricorso alla settima sezione, l’avviso deve contenere l’enunciazione della causa di inammissibilità rilevata con riferimento al contenuto dei motivi di ricorso (art. 610, comma 1, c.p.p., modificato dalla legge Orlando). Nell’udienza il presidente procede alla verifica della regolare costituzione delle parti e della regolarità degli avvisi dandone atto a verbale; quindi, il presidente o un consigliere da lui delegato fa la relazione della causa. Dopo la requisitoria del p.m. i difensori delle parti private espongono le loro difese. Non sono ammesse repliche.

Il Collegio, conclusa la discussione, si ritira in camera di consiglio e, successivamente, dà pubblica lettura del dispositivo; la motivazione verrà depositata entro il trentesimo giorno dalla deliberazione (art. 617, comma 2, c.p.p.). Si osservano in quanto compatibili le norme di cui agli artt. 527 e 546 c.p.p.

Per conoscere le domande e le risposte più frequenti all’orale di avvocato su tutti gli altri argomenti leggi il “Compendio di procedura penale” di Giorgio Spangher e Marco Zincani.

In caso di ribaltamento della assoluzione in primo grado, il giudice di appello ha l’obbligo di rinnovare le dichiarazioni rese dai periti e dai consulenti tecnici, avvicinandole in questo modo a quelle rese dai testimoni? (ordinanza di rimessione n. 41737 del 2018)

L’orientamento adottato dalle sezioni unite ritiene che se il giudice di appello intenda sconfessare l’assoluzione di primo grado, non solo deve confutare in maniera puntuale i più rilevanti argomenti sui quali si fondava il precedente giudizio, ma deve anche provvedere, in coerenza con quanto affermato dalla CEDU (sentenza del 5.7.2011 Dan c. Moldavia) a rinnovare l’assunzione delle prove orali, quando la condanna è basata su una differente valutazione delle fonti dichiarative.

È ammissibile l’stanza di revisione proposta dall’imputato nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione e declaratoria di conferma della condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile, al fine di veder eliminate le statuizioni civili?

Sull’argomento di registravano due orientamenti giurisprudenziali. Secondo un primo orientamento maggioritario, la revisione in questi casi non sarebbe ammissibile in quanto tale istituto è configurato dal codice di rito come un mezzo di impugnazione straordinario preordinato al proscioglimento della persona già condannata in via definitiva. Il presupposto per esperire il rimedio straordinario sarebbe l’esistenza di una sentenza di condanna, di un decreto penale di condanna ovvero di una sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. e non, quindi, di una sentenza di proscioglimento (anche se accompagnata dalla condanna al risarcimento del danno). Secondo un orientamento minoritario (sostenuto dalla sola sentenza del 3 ottobre 2016 n. 46707), la revisione sarebbe invece ammissibile in quanto nella locuzione “condannato” dovrebbe rientrare anche chi sia stato destinatario di una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione accompagnata dalla conferma della condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile. Le sezioni unite, afferendo all’orientamento minoritario, adottavano la seguente soluzione con sentenza n. 6141 del 2019: «è ammissibile, sia agli effetti civili che agli effetti penali, la revisione, richiesta ai sensi dell’art. 630 comma 1 lett. c) c.p.p., della sentenza del giudice di appello che, decidendo anche sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, in applicazione della disciplina dettata dall’art. 578 c.p.p., abbia prosciolto l’imputato per l’intervenuta prescrizione del reato e contestualmente confermato la sua condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile».

Il presente contributo è tratto dal “Compendio di procedura penale” di Giorgio Spangher e Marco Zincani.

 

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