L’applicazione del Codice dei contratti pubblici alle Federazioni Sportive

Mario Piroli 23/09/22
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Il presente approfondimento, dopo dei cenni introduttivi sul Codice dei contratti pubblici ed il suo relativo campo di applicazione soggettivo ed oggettivo, mira in primo luogo a far chiarezza circa la qualificazione giuridica delle Federazioni Sportive, le quali, come si vedrà, non sono né enti pubblici non economici né rivestono la qualifica di pubblica amministrazione, ma rientrano nella categoria degli organismi di diritto pubblico. In secondo luogo, si osserverà se tali Federazioni siano soggette, o meno, alla luce della loro qualificazione giuridica, alle norme in materia di appalti contenute nel Codice dei contratti pubblici, coadiuvandosi con la più recente giurisprudenza in materia.

    Indice

  1. Il Codice dei contratti pubblici: inquadramento generale
  2. L’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione del Codice dei contratti pubblici
  3. Le Federazioni Sportive quali organismi di diritto pubblico
  4. Il rapporto tra Federazioni Sportive e Codice dei contratti pubblici alla luce della più recente giurisprudenza
  5. Riflessioni conclusive

1. Il Codice dei contratti pubblici: inquadramento generale

Le pubbliche amministrazioni, come noto, dispongono di una capacità generale di diritto privato che permette alle medesime di stipulare dei contratti per l’acquisto di beni e servizi, nonché per l’esecuzione di lavori strumentali all’attività amministrativa e necessari per il perseguimento delle finalità di interesse pubblico. Tali contratti — i quali vengono definiti come contratti pubblici [1] — sono soggetti a norme di natura pubblicistica volte a tutelare sia gli interessi delle pubbliche amministrazioni, sia a tutelare i potenziali contraenti, garantendo la par condicio tra quest’ultimi.

Le suddette norme sono contenute nel Codice dei contratti pubblici (d’ora in avanti Codice), approvato con il d.lgs n. 50 del 18 aprile 2016; tale Codice ha sostituito il precedente approvato dal d.lgs n. 163 del 12 aprile 2006 ed ha recepito le direttive comunitarie in materia di appalti, di disciplina dei settori speciali e di disciplina organica dei contratti di concessione di lavori e di servizi [2].

La stipulazione dei contratti in parola deve avvenire attraverso un procedimento amministrativo ad evidenza pubblica di tipo competitivo, integrando le regole del diritto privato riguardanti lo schema proposta-accettazione ex art. 1326 c.c. Nello specifico, la formazione del vincolo contrattuale tra pubblico e privato è retta per un verso da regole di natura pubblicistica e si sviluppa in una sequenza procedimentale normativamente predefinita, la quale culmina nell’emanazione di un provvedimento di aggiudicazione; per altro verso, la fase relativa all’esecuzione del contratto poggia invece sulle regole del diritto privato. Il Codice assorbe tale impostazione, stabilendo che alla fase di formazione del vincolo contrattuale si applicano, per quanto non espressamente previsto dal Codice, le disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 7 agosto 1990, mentre, sempre per quanto non espressamente previsto dal Codice, alla fase di esecuzione del contratto si applicano le disposizioni del c.c. [3].

Il Codice sposa una visione proconcorrenziale della regolazione del mercato dei contratti pubblici e ciò emerge dai principi generali enunciati dallo stesso Codice. Anzitutto, l’art. 30, comma 1, prevede che l’affidamento dei contratti pubblici deve garantire la qualità delle prestazioni e deve svolgersi nel rispetto dei “principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza[4], nonché “dei principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità[5]. Il Codice indica inoltre, al comma 3 dello stesso art., che nell’esecuzione di appalti pubblici e concessioni, gli operatori economici rispettino gli “obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale”. Allo stesso modo, in ossequio al principio di non discriminazione, il comma 2 dell’art. 30 stabilisce che i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le microimprese, le piccole e le medie imprese, prevedendo l’uso di alcuni istituti come i consorzi stabili, i raggruppamenti temporanei di imprese e l’avvalimento [6].

Ulteriore aspetto di rilevanza concerne le procedure individuate dal Codice per l’affidamento dei contratti pubblici. Le prime procedure sono quelle aperte, ove ciascun operatore economico interessato può presentare liberamente un’offerta. Alle procedure aperte si contrappongono quelle c.d. ristrette, in tal caso ogni operatore economico può chiedere di partecipare, ma soltanto coloro che vengono invitati dalle stazioni appaltanti possono poi presentare un’offerta. Il Codice individua poi le procedure negoziate, ove — secondo quanto sancito dall’art. 3, comma 1, lett. u) — “… le stazioni appaltanti consultano gli operatori economici da loro scelti e negoziano con uno o più di essi le condizioni dell’appalto[7].

Da ultimo, giova sottolineare come tutto il mercato dei contratti pubblici sia sottoposto alla vigilanza, al controllo ed alla regolazione da parte dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC). L’ANAC nello svolgimento di tali funzioni emana linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo, nonché qualsivoglia strumento di regolazione flessibile. L’Autorità possiede anche delle funzioni ispettive, può infatti richiedere informazioni e documenti, e sanzionatorie. Un potere eccezionale attribuito all’Autorità è quello di impugnare dinanzi al giudice amministrativo — dopo aver inviato alla stazione appaltante un parere motivato indicante le violazioni commesse — gli atti emanati in violazione della normativa in materia di contratti pubblici [8].

2. L’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione del Codice dei contratti pubblici

Il Codice oltre ad una modulazione delle procedure di affidamento dei contratti, definisce l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione delle norme in esso contenute. Orbene, per quanto concerne l’ambito soggettivo, il Codice si applica anzitutto alle amministrazioni aggiudicatrici, tra queste si includono — ex art. 3, comma 1, lett. a) —  le “amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici”. L’applicazione del Codice ricade inoltre sulle imprese pubbliche operanti nei c.d. settori speciali [9]; esse sono quelle sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante [10]. Oltre che sulle imprese pubbliche, alcune disposizioni del Codice si applicano anche a quelle imprese private dotate di diritti speciali o esclusivi concessi per legge o sulla base di un provvedimento amministrativo e che sono incluse nella categoria degli enti aggiudicatori. Infine, il Codice si applica anche agli organismi di diritto pubblico, ossia quei soggetti pubblici o privati che, in ragione del loro scopo e dei collegamenti organizzativi con le pubbliche amministrazioni, possono essere condizionati nella politica degli acquisti da ragioni di natura extraeconomica. Con specifico riferimento a tali organismi, l’attuale contesto normativo, ossia l’art. 3, comma 1, lett. d) del Codice, sancisce che per potersi configurare l’organismo di diritto pubblico debbano sussistere tre requisiti di identificazione: il primo — c.d. requisito teleologico — richiede che il soggetto debba esser stato istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; il secondo — c.d. requisito personalistico — richiede che il soggetto debba essere dotato di una personalità giuridica, pubblica o privata; il terzo — c.d. requisito dell’influenza dominante — richiede che debba trattarsi di un soggetto sottoposto a un’influenza dominante da parte di una pubblica amministrazione o di un ente pubblico [11]. Tra l’altro, l’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico di un ente, secondo l’attuale quadro giurisprudenziale, non può prescindere da un esame in concreto delle sue caratteristiche e peculiarità, volta ad individuare i tre requisiti ut supra esposti, in quanto tali requisiti devono sussistere cumulativamente [12].

Passando ora all’ambito oggettivo di applicazione del Codice, esso disciplina sia i settori ordinari che quelli speciali. Individua poi alcune tipologie di contratti esclusi in tutto o in parte dal suo ambito di applicazione; tra questi, vi figurano i contratti di acquisto e vendita di strumenti finanziari, i contratti di acquisto o locazione di beni immobili, i contratti relativi a produzioni televisive e ai settori delle comunicazioni, nonché i contratti per l’acquisto di acqua [13]. La stipulazione di tali contratti non può, ad ogni modo, prescindere dal rispetto dei principi generali di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica [14]. Accanto ai contratti esclusi si collocano i contratti c.d. estranei, ovverosia quei contratti di origine giurisprudenziale che costituiscono una categoria residuale ed hanno per oggetto attività del tutto al di fuori dai settori di intervento delle direttive europee e ai quali pertanto si applica unicamente la disciplina privatistica del c.c. [15].

In aggiunta, il Codice indica anche criteri per l’individuazione della disciplina di volta in volta applicabile: l’importo e l’oggetto del contratto. Relativamente all’importo, sulla scia del diritto europeo, il Codice pone un regime diversificato a seconda della quantità dell’importo, distinguendo tra i contratti sopra soglia, ossia quelli di rilevanza europea, e quelli sotto soglia, ossia quelli che non superano l’importo minimo stabilito dalle direttive europee per i contratti aventi per oggetto forniture, servizi o lavori. Per i contratti sopra soglia le disposizioni del Codice — trasfuse dalle direttive europee — si applicano in toto, mentre ai contratti sotto soglia si applicano delle procedure tipizzate semplificate [16], viene ad es. previsto l’affidamento diretto per contratti di beni e servizi fino alla soglia di 139.000 Euro. Per quanto attiene all’oggetto, i contratti pubblici possono avere per oggetto la realizzazione di lavori, la fornitura di beni o la prestazione di servizi. Il Codice traccia una disciplina essenzialmente unitaria e soltanto per i lavori prevede una disciplina più articolata [17].


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3. Le Federazioni Sportive quali organismi di diritto pubblico

Coerentemente con l’impostazione descritta nel precedente paragrafo, è necessario ora soffermarsi sulla natura giuridica delle Federazioni Sportive. Esse sono delle associazioni con personalità giuridica di diritto privato ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 242/1999, istituzionalmente deputate all’organizzazione, alla promozione ed allo sviluppo dello sport di loro competenza. Le Federazioni Sportive godono di una autonomia normativa, gestionale ed organizzativa, ma sono comunque sottoposte alla vigilanza del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) [18]. L’attività svolta dalle Federazioni Sportive, infatti, costituisce a tutti g id=”1″i effetti l’esplicazione di poteri pubblici e di atti principalmente amministrativi; si consideri che — oltre il potere spettante al CONI di riconoscere le Federazioni Sportive ai fini sportivi — l’art. 23 dello Statuto del CONI elenca le attività federali aventi valenza pubblicistica oltre quelle il cui carattere pubblicistico sia espressamente previsto dalla legge ed inoltre, la medesima norma, al comma 1 bis, sancisce che nello svolgimento di tali attività le Federazioni “… si conformano agli indirizzi e ai controlli del CONI ed operano secondo i principi di imparzialità e trasparenza”. In aggiunta al CONI spetta l’approvazione dei bilanci consuntivi e dei bilanci di previsione annuali delle Federazioni e di stabilire i contributi finanziari destinati alle Federazioni e di determinare specifici vincoli di destinazione di tali contributi. Allo stesso modo il CONI nomina i revisori dei conti in rappresentanza del CONI stesso nelle Federazioni ed ha, in casi di gravi irregolarità nella gestione, di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo, di impossibilità di funzionamento o di problemi di regolarità delle competizioni sportive, perfino il potere di commissariare le Federazioni Sportive. Pertanto, sulla base di quanto detto, le Federazioni Sportive non sono né enti pubblici non economici né rivestono la qualifica di pubblica amministrazione, ma rientrano nella categoria degli organismi di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del Codice e sono assoggettate alle regole di evidenza pubblica contenute nel medesimo.

Tuttavia nel caso in cui non risultasse prevalente il finanziamento pubblico e non risultasse una influenza pubblica dominante esercitata, in tal caso, dal CONI, le Federazioni Sportive non sarebbero assoggettate al Codice nell’utilizzo delle proprie risorse e nell’affidamento di incarichi di appalto o acquisto di beni e di servizi, comportandosi in tal senso come un qualunque ente di diritto privato. Infatti, così come chiarito dalla delibera ANAC n. 367 del 27 luglio del 2022 se le entrate privatistiche delle quote associative delle Federazioni Sportive risultino superiori al 50% rispetto al totale dei ricavi, non può parlarsi di ente pubblico. Pertanto l’utilizzo di tale risorse rientra nella piena autonomia del privato e non risponde a norme pubbliche [19].

In definitiva, escludendo il caso sopraesposto, sembrerebbe possibile affermare come le Federazioni Sportive, in ragione della valenza pubblicistica dell’attività da loro svolta, siano soggette all’applicazione di norme di diritto amministrativo. Va però considerato che alla luce delle peculiarità che tali organismi possiedono, trattandosi infatti di organismi che rientrano nel c.d. “parametro mobile” dell’amministrazione pubblica, ovverosia a metà tra diritto privato e diritto pubblico, l’elaborazione di un criterio che disciplini esattamente quando sia applicabile il diritto comune e quando sia applicabile il diritto amministrativo non è di facile origine. Ciò in quanto si scorge la necessità di bilanciare due esigenze tra loro contrapposte: da un lato è necessario non prevedere una disciplina eccessivamente invasiva rispetto all’autonomia privata delle Federazioni; dall’altro è necessario però che l’attività federale, quando ha valenza pubblicistica, ovvero quando risponde a finalità d’interesse pubblico, non sia sottratta dai principi e dalle norme del diritto amministrativo [20].

4. Il rapporto tra Federazioni Sportive e Codice dei contratti pubblici alla luce della più recente giurisprudenza

Il tema della sussistenza in capo alle Federazioni Sportive dei caratteri propri dell’organismo di diritto pubblico non era stato mai oggetto di trattazione da parte della giurisprudenza nazionale. Ciò quantomeno sino al 2021, anno in cui si è originata una vicenda processuale che ha coinvolto la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC); vicenda ove, oltre al giudice amministrativo, è stata adita anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

La suddetta vicenda trae origine da una procedura negoziata per l’affidamento di servizi di facchinaggio al seguito della squadra nazionale di calcio e presso il magazzino della FIGC per una durata di tre anni. Al termine di tale procedura, una delle imprese offerenti, risultata non aggiudicataria dell’appalto, ha adito il TAR Lazio, contestando le modalità con la quale è stata condotta la procedura da parte della FIGC; nello specifico, la ricorrente ha lamentato, in un unico articolato motivo di gravame, la violazione degli artt. 1 e 3 del Codice, dell’art. 97 della Costituzione nonché dei principi e delle norme in materia di evidenza pubblica. Il giudice di prime cure ha accolto il ricorso ed annullato l’affidamento dell’appalto, in quanto la FIGC, essendo un organismo di diritto pubblico, avrebbe dovuto necessariamente applicare — in relazione alle gare d’appalto da essa poste in essere — le norme di cui al Codice [21].

Avverso tale pronuncia la FIGC ha proposto appello, censurando la sua configurabilità quale organismo di diritto pubblico, dinanzi al Consiglio di Stato, il quale ha rimesso preliminarmente alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una serie di questioni pregiudiziali ex art. 267 del TFUE [22] così riassunte: “… se sulla base dei rapporti giuridici tra il C.O.N.I. e la F.I.G.C. – Federazione Italiana Giuoco Calcio il primo disponga nei confronti della seconda di uninfluenza dominante alla luce dei poteri legali di riconoscimento ai fini sportivi della società, di approvazione dei bilanci annuali e di vigilanza sulla gestione e il corretto funzionamento degli organi e di commissariamento dellente; – se per contro tali poteri non siano sufficienti a configurare il requisito dellinfluenza pubblica dominante propria dellorganismo di diritto pubblico, in ragione della qualificata partecipazione dei presidenti e dei rappresentanti delle Federazioni sportive negli organi fondamentali del Comitato olimpico[23].

Il giudice eurounitario, nella pronuncia del 3 febbraio 2021 (cause riunite C-155/19 e C-156/19) rispondeva a tali quesiti ribadendo, anzitutto, che la nozione di “controllo sulla gestione” sia da ricondursi ad un controllo attivo sulla gestione dell’organismo vigilato, tale da creare una dipendenza di quest’ultimo dai poteri pubblici, equivalente a quella che sussisterebbe ove fosse soddisfatto uno degli altri due criteri alternativi, ossia il finanziamento pubblico maggioritario o la nomina pubblica di più della metà dei membri dell’organo di amministrazione di direzione o di vigilanza, e tale da poter consentire ai poteri pubblici di influire sulle decisioni del suddetto organismo in materia di appalti pubblici. Nel rappresentare, poi, il sistema delineato dalla vigente normativa italiana, la CGUE ha evidenziato che ad un primo esame — si legge nella pronuncia — il CONI non esercita “… sulle Federazioni sportive nazionali (segnatamente, sulla F.I.G.C.) quel controllo e quellinfluenza richiesti ai fini della qualificazione di questultime quali organismo di diritto pubblico” ai sensi della normativa nazionale e comunitaria …[24]. La stessa CGUE ha, tuttavia, rimesso al giudice nazionale la concreta verifica dei poteri spettanti al CONI nei confronti della FIGC, in particolare osservando se tali poteri abbiano l’effetto di creare una dipendenza di tale Federazione, tale per cui il CONI possa influire sulle decisioni della Federazione in materia di appalti pubblici.

Il Consiglio di Stato, in qualità di giudice del rinvio, nell’accogliere il gravame circa il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo proposto dalla FIGC, ha concluso tale verifica con esito negativo. Ebbene, secondo i giudici di Palazzo Spada — è pur vero che è indubitabile, per espressa previsione legislativa, che la FIGC sia un soggetto dotato di personalità giuridica al quale sono assegnate funzioni di rilievo pubblicistico aventi carattere non industriale o commerciale — ma, nel complesso dei poteri esercitati dal CONI nei confronti della FIGC non si riscontra un controllo così penetrante, né nel potere di riconoscimenti a fini sportivi, né nel potere di adottare indicazioni e istruzioni riguardanti l’esercizio delle singole attività sportive, in quanto tale potere si esplica nell’imposizione di regole generali ed astratte relative all’organizzazione sportiva nella sua dimensione pubblica ma non consente un intervento diretto ed attività nell’attività di gestione così da poter influire sulle decisioni della Federazione in materia di appalti. Non sono stati ritenuti rilevanti in questo senso neppure il potere di approvare, limitatamente ai fini sportivi, gli statuti delle Federazioni Nazionali, in quanto tale potere è circoscritto al riscontro di conformità degli stessi alla legge, allo Statuto del CONI e ai principi fondamentali stabiliti dal CONI stesso, né il potere di approvazione del bilancio, poiché limitato ad una mera verifica contabile del bilancio consuntivo e dell’equilibrio del bilancio di previsione e inidoneo a determinare un vero e proprio veto sull’approvazione del bilancio stesso che, nel caso di mancata approvazione da parte della Giunta, è approvato dall’Assemblea. Inoltre, il controllo indiretto esercitato sulla attività economiche delle Federazioni è limitato al rispetto del vincolo di destinazione della contribuzione pubblica, consistente nella promozione dello sport giovanile, nella preparazione olimpica e nello svolgimento di attività di alto livello. Allo stesso modo, non sono stati ritenuti significativi il potere di controllo delle attività a valenza pubblicistica, trattandosi di attività circoscritte alla organizzazione e gestione della pratica sportiva, e neppure il potere di disporre ispezioni per verifiche riguardanti l’utilizzazione dei finanziamenti, trattandosi di controlli che non sono estesi alla gestione in corso. Da ultimo, ininfluenti ai fini dell’integrazione di un controllo attivo sulla gestione delle Federazioni sono stati valutati anche il potere del CONI di nomina di due revisori dei conti in propria rappresentanza, poiché è da escludere che i revisori, a cui non è consentito determinare la politica generale o il programma delle Federazioni, possano influire sulla politica di gestione delle Federazioni, in particolare in materia di appalti, e il potere di commissariare le Federazioni in caso di gravi irregolarità della gestione, di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo, di impossibilità di funzionamento o di problemi di regolarità delle competizioni sportive, in assenza di elementi da cui desumere che tale potere implichi un controllo permanente sulla gestione delle stesse Federazioni. Al lume di tali considerazioni, il Consiglio di Stato ha concluso statuendo che “… la Federazione Italiana Giuoco Calcio non è riconducibile al novero degli organismi di diritto pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui allart. 3, lett. d), del d.lgs. n. 50 del 2016 ed allart. 2, comma primo, p.to 4 della direttiva UE n. 24 del 2014” con conseguente sussistenza, nella vicenda processuale de qua, del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quello civile [25].

5. Riflessioni conclusive

Seppur con la sentenza ut supra esaminata il Consiglio di Stato ha escluso, in maniera definitiva, la FIGC dal novero degli organismi di diritto pubblico e pertanto dai soggetti obbligati all’applicazione delle norme contenute nel Codice ed allo stesso modo l’intervento dell’ANAC — con la delibera citata nel paragrafo 3 — che ha invece escluso che la Federazione Italiana Sport Equestri (FISE) sia qualificabile quale organismo di diritto pubblico ai fini della soggezione al Codice, si sia giunti ad una trattazione della questione oggetto del presente approfondimento, tali esclusioni non possono certamente sussistere de plano per tutte le altre Federazioni Sportive (ben 45) operanti nel nostro ordinamento giuridico sportivo.

Ciò che appare congruo osservare, infatti, è che la valutazione circa la rientranza di una Federazione Sportiva nella categoria degli organismi di diritto pubblico debba essere oggetto di una analisi caso per caso, non essendo, tra l’altro, certamente equiparabili tra loro le varie Federazioni.

L’assenza poi di una definizione generale di pubblica amministrazione, sia sul piano nazionale che europeo, nonché la duplice natura, tra diritto privato e diritto pubblico, delle Federazioni Sportive sono due fattori che certamente continuano a creare dibattiti relativi all’applicazione, o meno, di normative settoriali, quali per l’appunto le norme in materia di appalti pubblici, alle Federazioni Sportive.

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Note

[1] Tali contratti rappresentano una delle principali voci della spesa pubblica. Secondo una stima della Commissione Europea, ogni anno le autorità pubbliche dei paesi dell’UE spendono in appalti pubblici circa il 14% del PIL, percentuale che corrisponde ad un valore di 1,900 miliardi di Euro (Si veda a tal proposito la seguente pagina web: https://ec.europa.eu/info/sites/default/files/file_import/european-semester_thematic-factsheet_public-procurement_it.pdf). Allo stesso modo i contratti pubblici costituiscono per numerose imprese una larga parte del loro fatturato annuale.

[2] Tali direttive sono rispettivamente la 24/2014, la 25/2014 e la 23/2014.

[3] Ciò viene sancito dall’art. 30, comma 8, del Codice: “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonchè di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”.

[4] Un caso di temperamento del principio di economicità è rappresentato dai c.d. appalti verdi. Le stazioni appaltanti possono infatti individuare nel bando di gara dei criteri tecnici che siano volti a favorire le offerte di beni e servizi che presentino soluzioni eco-compatibili. Più specificatamente, il Codice annovera tra i possibili criteri di valutazione dell’offerta e di conseguente attribuzione dei punteggi “le caratteristiche ambientali e il contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali” (art. 95, comma 6, lett. a)), in CLARICH M., Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2022, p. 426.

[5] Relativamente ai principi di libera concorrenza è inoltre necessario osservare come gli operatori economici che operano nel settore pubblico — ed in particolare quegli operatori economici che sono incaricati della gestione di servizi pubblici — debbano, a norma dell’art. 106, comma 2 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, rispettare le norme dei Trattati “… e in particolare le regole di concorrenza nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”.

[6] A norma dell’art. 45, comma 2, lett. c) del Codice i consorzi stabili devono essere formati da almeno tre imprese che si impegnino a operare in maniera congiunta nel settore dei contratti pubblici per un lasso di tempo di almeno cinque anni; i raggruppamenti temporanei, che possono essere verticali o orizzontali, sono invece istituti che si riferiscono ad una singola procedura di gara, non richiedendo la costituzione di un’entità giuridica separata; da ultimo, per il tramite dell’avvalimento, un’impresa priva dei requisiti indicati dal bando di gara può avvalersi a un’impresa ausiliaria che si impegna contrattualmente a metterli a disposizione dell’impresa interessata alla partecipazione alla gara.

[7] Si tenga in considerazione che, oltre le tre procedure descritte, il Codice individua poi anche delle c.d. procedure flessibili. Tra queste si collocano il dialogo competitivo, il partenariato per l’innovazione, le aste elettroniche e gli accordi quadro. Per un approfondimento circa tali procedure si rimanda a LIPARI M., La regolazione flessibile dei contratti pubblici e le linee guide dell’ANAC nei settori speciali, in Riv. della Regolazione dei Mercati, Fasc. 1 – 2018.

[8] Si richiama a tal proposito l’art. 211, comma 1 ter, del Codice: “L’ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice, emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati. Il parere è trasmesso alla stazione appaltante; se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni dalla trasmissione, l’ANAC può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo …”.

[9] Per settori speciali si intendono quei settori che sono riconducibili alla nozione di servizio pubblico e si caratterizzano per essere privi di una concorrenza piena. Possono definirsi come speciali quei settori indicati dagli artt. 114 ss. del Codice, ossia gas ed energia termica, elettricità, acqua, servizi di trasporto, porti e aeroporti, servizi postali e l’estrazione di gas, di carbone o di altri combustibili solidi.

[10] A tali imprese, tuttavia, si applicano regole meno stringenti in quanto si assume che esse, rispetto alle amministrazioni aggiudicatrici, ispirino la loro azione a una logica essenzialmente economica, in CLARICH M., Op. cit., p. 427.

[11] Tale ultimo requisito può manifestarsi in base a differenti parametri: a) finanziamento maggioritario dell’attività da parte di un soggetto pubblico, senza che a tale finanziamento risponda una controprestazione; b) controllo sulla gestione, inteso come titolarità della maggioranza delle azioni o quote della società; c) designazione da parte di un soggetto pubblico della maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione, direzione o vigilanza, in CLARICH M., Op. cit., p. 427.

[12] PICARDI I., TEODOSIO V., La nozione di “organismo pubblico” alla luce della più recente giurisprudenza amministrativa, in Appalti & Contratti, 2021.

[13] Per una elencazione completa dei contratti esclusi si rimanda agli artt. 5 ss. del Codice.

[14] Così come previsto dall’art. 4 del Codice: “L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”.

[15] In tal senso si veda Consiglio di Stato, Ad. Ple., sentenza n. 16 del 1 agosto 2011, secondo cui i contratti esclusi sono una “… categoria residuale, che comprende qualsiasi tipo di appalto estraneo al settore speciale. Non si tratta pertanto di appalti semplicemente esclusi”, ossia rientranti in astratto nellambito di applicazione delle direttive ma specificatamente esentati”, bensì di appalti del tutto estranei” allambito di azione della direttiva 2004/17/CE”.

[16] Per una trattazione approfondita circa i contratti sopra e sotto soglia si rimanda a FACONDINI L., Gli affidamenti sopra e sotto le soglie comunitarie, in Diritto.it, 2019.

[17] Per i lavori il Codice contiene infatti molte disposizioni speciali — agli artt. 126 ss. — riferite soprattutto alla programmazione, progettazione ed esecuzione dei lavori, nonché al coordinamento tra amministrazioni nell’ambito di conferenze di servizi, in. CLARICH M., Op. cit., p. 429.

[18] A titolo esemplificativo, nell’ordinamento sportivo alla Giunta Nazionale del CONI spetta il potere di approvare, ai fini sportivi, gli Statuti federali, i regolamenti federali di giustizia sportiva e quelli antidoping e di valutarne la conformità alla legge ed allo Statuto del CONI, in LIOTTA G., SANTORO L., Lezioni di Diritto Sportivo, Milano, 2018, p. 57.

[19] Per consultare integralmente il contenuto della delibera si veda la seguente pagina web: https://www.anticorruzione.it/-/le-federazioni-sportive-sono-enti-privati-se-il-contributo-pubblico-non-è-dominante.

[20] Si esprime in tali termini, del tutto condivisibili, PROVVISIERO G., Federazioni sportive nazionali: la natura ibrida, in Altalex.com, 2021.

[21] TAR Lazio, Sez. I, sentenza n. 4101/2018.

[22] L’art. 267 del TFUE permette agli organi giurisdizionali degli Stati membri di effettuare un rinvio pregiudiziale alla CGUE. Tale rinvio consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la CGUE in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. Tuttavia, la CGUE non risolve direttamente la controversia nazionale, in quanto spetterà comunque al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della CGUE.

[23] Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza n. 1007 del 12 febbraio 2019, p. 18.

[24] Corte di Giustizia UE, Sez. IV, decisione sulle cause C-155/19 e C-156/19, consultabile alla seguente pagina web: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:62019CJ0155.

[25] Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 5348 del 15 luglio 2021.

Mario Piroli

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