Di indubbio rilievo risulta essere la facoltà riconosciuta agli arbitri rituali di emanare provvedimenti cautelari, prerogativa che, prima della riforma, era riservata esclusivamente al Giudice ordinario. La tradizionale esclusione degli arbitri da tale ambito di competenza ha costituito per lungo tempo un significativo ostacolo allo sviluppo degli arbitrati commerciali internazionali in Italia. Per approfondimenti sul tema, consigliamo il volume Negoziazione assistita, Mediazione civile e Arbitrato dopo la Riforma Cartabia
Indice
1. Competenza cautelare in capo agli arbitri
Con la riforma, si colma finalmente una lacuna rispetto ad altri ordinamenti europei, quali Francia, Svizzera, Germania e Belgio, nonché al regime previsto a livello internazionale, come sancito dall’art. 19 della UNCITRAL Model Law on International Commercial Arbitration, che conferisce ai Tribunali arbitrali la facoltà di adottare misure cautelari. Tale riconoscimento, tuttavia risulta mitigato dall’introduzione di meccanismi di bilanciamento di notevole rilevanza. Infatti, ai sensi del riformato art. 818 c.p.c., gli arbitri possono disporre misure cautelari soltanto qualora sia espressamente previsto dalla volontà delle parti, manifestata attraverso una clausola compromissoria che rimandi ad un regolamento arbitrale che contempli tale facoltà, ovvero mediante una pattuizione separata e successiva, purché anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. Tale previsione, al fine di definire in modo chiaro il perimetro e i limiti dei poteri attribuiti agli arbitri deve risultare per iscritto. Specificamente, il termine ultimo entro cui conferire tale facoltà coinciderebbe non con la costituzione del collegio arbitrale [1], ma con la notificazione della domanda arbitrale. Tali limitazioni, tuttavia, appaiono di dubbia adeguatezza e, anzi, rischiano di costituire un serio freno alla diffusione della competenza cautelare in ambito arbitrale. Sul piano pratico, infatti, è alquanto improbabile che le parti, nella fase di stipula della convenzione arbitrale, si soffermino ad affrontare tale specifica pattuizione. Più opportuno sarebbe stato introdurre un potere cautelare generale in capo agli arbitri, come avviene in numerosi ordinamenti stranieri tra cui la previsione dell’art. 183, comma 1, della legge svizzera di diritto internazionale privato, che attribuisce agli arbitri una competenza cautelare ampia e ben definita; analogamente, il Arbitration Act del 1996 in Inghilterra, attraverso le sezioni 38 e 39, ha introdotto disposizioni che rafforzano l’autorità degli arbitri in materia cautelare- in particolare, la sezione 38, rubricata “General powers exercisable by the tribunal”, conferisce agli arbitri una potestà generica di emettere misure cautelari, garantendo così un’efficace protezione degli interessi delle parti nel contesto del procedimento arbitrale). Al contrario, il sistema introdotto dalla recente riforma italiana introduce non un riconoscimento generalizzato di tale prerogativa in capo agli arbitri, bensì di una facoltà rimessa alla volontà delle parti. In sintesi, la normativa attuale assegna alle parti una posizione di assoluto rilievo, permettendo loro di configurare il perimetro del potere cautelare arbitrale, ma senza garantire un’effettiva omogeneità nell’esercizio di tale funzione, lasciando agli arbitri un ruolo subordinato alla previa pattuizione delle parti stesse. Il nuovo art. 818 c.p.c. specifica, inoltre, che la competenza cautelare conferita agli arbitri assume carattere esclusivo, così da impedire una sovrapposizione di competenze con il Giudice ordinario una volta accettato l’incarico arbitrale o costituito il collegio. Come previsto dall’art. 669 quinquies c.p.c. fino alla costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare deve essere presentata al giudice competente. Tale disposizione risolve, in combinato disposto con il comma 2 dell’art. 818 c.p.c., la questione della tutela cautelare interinale durante il periodo antecedente alla formazione del collegio arbitrale. Affidare tale competenza al giudice ordinario evita, inoltre, il rischio di sovrapposizioni nella valutazione del fumus boni iuris e del periculum in mora, nonché possibili duplicazioni nelle decisioni, soprattutto in caso di reclamo. Gli arbitri possono emettere provvedimenti cautelari anche inaudita altera parte, [2] conformemente a quanto previsto dall’art. 669 sexies c.p.c. [3]. Per approfondimenti sul tema, consigliamo il volume Negoziazione assistita, Mediazione civile e Arbitrato dopo la Riforma Cartabia
Negoziazione assistita, Mediazione civile e Arbitrato dopo la Riforma Cartabia
Il volume esamina le novità introdotte dalla Riforma Cartabia in materia di Negoziazione assistita (D.L. n. 132 del 2014, convertito con Legge n. 162 del 2014), Mediazione civile (D.Lgs. n. 28 del 2010) e Arbitrato (Libro quarto, titolo VIII del Codice di procedura civile).Oltre al raffronto tra il testo previgente e quello novellato, per ogni articolo modificato è riportato un commento su tutte le novità, con spazio dedicato ai relativi riflessi operativi.La Negoziazione assistita ha subìto un restyling estendendone la portata anche alle controversie di lavoro e, in materia di famiglia, alle controversie sullo scioglimento delle unioni civili, sull’affidamento e sul mantenimento dei figli naturali, oltre alle vertenze in materia alimentare. Le convenzioni di negoziazione assistita potranno altresì prevedere il ricorso a strumenti di “istruzione stragiudiziale”, quali l’acquisizione di dichiarazioni di terzi e le dichiarazioni confessorie.Per la Mediazione civile e commerciale, le principali aree di intervento hanno riguardato: la nuova disciplina del procedimento, l’estensione delle materie soggette a obbligatorietà, la formazione dei mediatori e la qualità del servizio fornito sia dagli organismi di mediazione che dagli enti formatori.Con riferimento all’Arbitrato si è puntato soprattutto a fornire un quadro unitario della materia (con riordino dell’impianto sistematico delle disposizioni e introduzione nel codice di rito delle norme dedicate all’arbitrato societario), a disciplinare i poteri cautelari del collegio arbitrale e a rafforzare le garanzie di imparzialità degli arbitri, apportando diverse modifiche alle relative disposizioni contenute nel Codice di procedura civile.È previsto un aggiornamento online del volume per i mesi successivi alla pubblicazione.Elisabetta MazzoliAvvocato, mediatore docente abilitato dal Ministero della giustizia per la formazione di mediatori civili e commerciali. Professore a contratto di Diritto della mediazione presso l’UNICUSANO di Roma per gli a.a. dal 2010/2011 al 2022/2023. Componente della Commissione “ADR, Mediazione, Arbitrato” dell’Ordine degli Avvocati di Spoleto.Daniela SavioAvvocato del foro di Padova, mediatrice civile e commerciale, mediatrice familiare e counselor. Formatrice per mediatori civili e commerciali e autrice di numerose pubblicazioni in materia di ADR.Andrea Sirotti GaudenziAvvocato, docente universitario e arbitro internazionale. Docente accreditato dal Ministero della Giustizia con riferimento alla materia della mediazione e responsabile scientifico di vari enti. Direttore di collane e trattati giuridici, è autore di numerosivolumi. Magistrato sportivo, attualmente è presidente della Corte d’appello federale della Federazione Ginnastica d’Italia.
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2. Il reclamo contro i provvedimenti cautelari
L’art. 818 bis c.p.c. introduce il reclamo contro i provvedimenti cautelari emanati dagli arbitri, disponendo che tale mezzo di impugnazione venga proposto alla Corte d’Appello del distretto in cui ha sede l’arbitrato. Il termine per proporre reclamo è di quindici giorni, decorrenti dalla pronuncia del provvedimento se avvenuta in udienza, oppure dalla sua comunicazione, qualora l’ordinanza, sia essa di accoglimento o di rigetto, venga emessa a seguito dello scioglimento di una riserva [4]. I motivi del reclamo sono limitati agli errori procedurali ai sensi dell’art. 829, comma 1, c.p.c. [5], nonché alla contrarietà all’ordine pubblico, escludendo così ogni valutazione nel merito della controversia. Tale impostazione legislativa, benché finalizzata a circoscrivere il controllo giurisdizionale, si rivela eccessivamente restrittiva, non consentendo una contestazione sul requisito del periculum in mora.
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3. Esecuzione delle misure cautelari
Infine, l’esecuzione delle misure cautelari adottate dagli arbitri è devoluta al tribunale del luogo ove ha sede l’arbitrato, ai sensi dell’art. 818 ter c.p.c. Anche per i provvedimenti cautelari resi nell’ambito di arbitrati con sede all’estero, la competenza per l’attuazione è attribuita al Tribunale del luogo in cui il provvedimento deve essere eseguito, senza necessità di un procedimento volto all’exequatur [6]. Tale previsione solleva alcune perplessità, in quanto potrebbe risultare più coerente attribuire agli arbitri una competenza che si estenda alle modalità di attuazione dei propri provvedimenti, lasciando ai giudici ordinari esclusivamente l’attività coercitiva. In definitiva, nonostante i significativi passi avanti compiuti dalla riforma, la tutela cautelare in sede arbitrale rimane subordinata al ricorso al Giudice ordinario per l’esecuzione coercitiva delle misure. Attribuire agli arbitri una competenza più ampia in materia di attuazione avrebbe senz’altro rafforzato l’efficacia delle misure cautelari emesse nell’ambito del procedimento arbitrale.
Note
[1] Cfr. La riforma dell’arbitrato, in G. It, 2023, p. 8, secondo cui il limite ultimo per concedere tale potere agli arbitri corrisponde alla loro prima riunione (che in certi casi può coincidere col momento delle accettazioni).
[2] Luiso, Il nuovo processo civile: commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Milano, 2023, p. 347
[3] L’art. 669 sexties c.p.c. dispone che: “Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili (2) (3) in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda. Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto. Nel caso in cui la notificazione debba effettuarsi all’estero, i termini di cui al comma precedente sono triplicati”
[4] Secondo quanto disposto dall’ art. 818 bis c.p.c. contro il provvedimento degli arbitri che concede o nega una misura cautelare è ammesso reclamo a norma dell’art. 669 terdecies c.p.c. comma 1, che prevede espressamente: “Contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore”.
[5] L’art. 829 comma 1 c.p.c. prevede espressamente che: “L’impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque preventiva rinuncia, nei casi seguenti :1) se la convenzione d’arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell’articolo 817, terzo comma; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del presente titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’articolo 812; 4) se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d’arbitrato, ferma la disposizione dell’articolo 817; 5) se il lodo non contiene i requisiti indicati nei numeri 5), 6) e 7) dell’articolo 823; 6) se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine stabilito, salvo il disposto dell’articolo 821; 7) se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte dalle parti sotto espressa sanzione di nullità e la nullità non è stata sanata; 8) se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti, purché tale lodo o tale sentenza sia stata prodotta nel procedimento; 9) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio; 10) se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri; 11) se il lodo contiene disposizioni contraddittorie;12) se il lodo non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato”.
[6] Francesco Tedioli, Studium iuris, La disciplina dell’arbitrato dopo la Riforma Cartabia, 2 /2024 p. 153 ss.
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