La semplice difficoltà della Qualità Totale

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“Il maestro Yagyù disse una volta: Non ho imparato la Via per vincere gli altri, ma per vincere me stesso” ( Hagakure, Polia- L’etica del bushido, 54)

 

Si parla di qualità in termini tecnici, come conformità a specifiche o normative, ma anche come ricerca della soddisfazione del cliente, quello che risulta più problematico è il raggiungimento della qualità totale quale terzo  ed ultimo livello nel percorso della qualità.

Masaaki Imai suggerisce di non concentrarsi su singoli aspetti, quali i circoli qualità, ma di pensare alla qualità come qualcosa di unitario e complesso, la cui filosofia risiede nell’azione quotidiana e nella convinzione diffusa presso tutto il personale della necessità di un   miglioramento costante che si risolva anche e innanzitutto nel miglioramento del singolo.

Il Kaizen nasce dal singolo e si diffonde nell’organizzazione quale attività quotidiana di miglioramento, attraverso modesti investimenti, risulta pertanto una lenta attività endogena alla organizzazione, che presuppone una responsabilità sociale sia verso gli altri che verso se stessi (Kysei), si tratta di lavorare e vivere insieme per il bene comune con una netta contrapposizione alla competizione spinta e senza regole di una certa interpretazione neoliberale dell’economia che si riflette all’interno delle organizzazioni stesse.

Il Kaizen è complementare al miglioramento improvviso basato sull’innovazione e il salto tecnologico (Kairyro), il quale si presenta in determinati momenti del ciclo economico e non dipende molte volte dall’organizzazione né tanto meno dalla volontà del singolo.

Come è stato più volte enfatizzato dagli specialisti della qualità, la leadership deve risultare completamente coinvolta in un processo continuo e possedere la credibilità necessaria, con l’esempio e le decisioni, per coinvolgere emotivamente e razionalmente il personale nonché tutti coloro che verranno a contatto con l’organizzazione, circostanza che comporta un contenimento dei costi nell’attività di miglioramento continuo dei processi.

Si è fornito un elenco relativo ai presupposti necessari per il successo della Qualità Totale:

 

  • Sviluppare leadership informali tra i dipendenti che affianchino la leadership formale;
  • Formare piccoli gruppi nell’attività di miglioramento;
  • Sostenere e riconoscere gli sforzi compiuti;
  • Attendere all’addestramento e all’educazione non solo tecnica ma anche umana;
  • Migliorare la comunicazione e le relazioni industriali;
  • Sostenere uno sforzo consapevole al miglioramento sociale dell’ambiente lavorativo, al fine di coinvolgere anche emotivamente il personale nella ricerca di una qualità totale, sia tecnica che di rapporti;
  • Addestrare dei supervisori atti a facilitare la comunicazione e l’azione nei gruppi;
  • Creare una coscienza e una coerenza nelle procedure da seguire nell’ambiente di lavoro;
  • Eliminare la valutazione solo in termini numerici, secondo obiettivi puramente quantitativi.

 

Se consideriamo che l’organizzazione vive in un cotesto sociale il quale ne influenza profondamente il funzionamento secondo la “open system theory”, per cui vi è un complesso rapporto  fra struttura, funzione, differenziazione e integrazione in una varietà di “sottosistemi interrelati”, emerge chiaramente l’influenza che il contesto sociale esercita anche attraverso il condizionamento dei singoli membri sull’organizzazione stessa. Vi è, infatti, una “ecologia delle popolazioni” o selezione naturale delle organizzazioni per cui una mortalità organizzativa favorisce la riproduzione dei modelli più adatti all’ambiente, da questo emerge che è più facile la sostituzione di una organizzazione ad opera di un’altra organizzazione piuttosto che l’adattamento di una organizzazione già esistente.

L’eventuale mutazione non avviene comunque in termini lineari ma irregolari di adattamento all’ambiente con una variabilità delle singole parti essendo ciascuna di esse portatrici di una parziale autonomia d’azione, sì da dovere spostare l’attenzione dalla struttura al processo e quindi più sull’organizzare che sull’organizzazione, con un mutamento irregolare e frammentato dell’organizzazione stessa nelle sue varie parti.

La Qualità Totale impone quindi una differente apertura dell’organizzazione a seconda se il contesto sociale è più o meno confacente alla Teoria, questo tanto in una prospettiva di “sistema razionale” che in uno di  “sistema aperto”. Valori quali collaborazione/competizione, lealtà/opportunismo possono entrare in conflitto si che una volta assorbiti dall’esterno verranno riportati all’interno dell’organizzazione, questa sarà quindi indotta a reinquadrare culturalmente il personale secondo valori che possano indurre a fare squadra, evitando il più possibile che margini di libertà vengano utilizzati in modo strategico al fine di acquisire potere mediante la mediazione a spese dell’insieme (Croizier- Friedberg).

In un contesto sfavorevole maggiore dovrà essere l’addestramento e la disciplina imposti preliminarmente e durante l’applicazione dei metodi di qualità, d’altronde in un contesto culturale sfavorevole la diffusione del metodo viene di fatto ostacolata considerando le difficoltà culturali ed emotive, nonché i costi economici ulteriori che una tale modifica comporta per l’organizzazione, tutte circostanze che di fatto limitano una estensione del metodo dovendo esservi alla base la convinzione della necessità e il piacere della ricerca del miglioramento non solo dell’organizzazione ma anche del singolo.

 

Bibliografia:

  • Imai Masaaki, Kaizen. Lo spirito giapponese del miglioramento, Ed. Il Sole 24Ore;
  • Ishakawa Kaoru, Che cos’ è la qualità totale, Ed. Il Sole 24Ore;
  • H. Mintzberg, La progettazione dell’organizzazione aziendale, Il Mulino;
  • M. Polia, L’etica del Bushido, Il Cerchio Iniziative editoriali.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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