La riforma Cartabia e il nuovo diritto all’oblio rafforzato

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La riforma della Giustizia Cartabia è in vigore dal primo gennaio 2023 e tra le grandi novità che ha portato con sé alcuni aspetti importanti riguardano la normativa sulla protezione dei dati ed in particolare il diritto all’oblio, sancito dall’art. 17 del Regolamento Europeo per la Protezione dei Dati personali 679/2016 (GDPR) come diritto alla cancellazione.
Secondo la norma in vigore, l’interessato ha il diritto di chiedere ed ottenere dal Titolare del Trattamento la rimozione e la cancellazione dei propri dati, qualora i dati stessi non siano più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati, o se sia intervenuta revoca del consenso (nei casi in cui il consenso fosse la base giuridica su cui si basava il trattamento), o vi sia opposizione al trattamento o trattamento illecito.
L’interpretazione della norma, di per sé, non è complessa e anzi la giurisprudenza è piuttosto consolidata sul punto, tuttavia le cose si complicano quando la cancellazione dei dati venga chiesta non da archivi, CRM o data base aziendali, facilmente raggiungibili, ma presso Titolari che abbiano diffuso i dati pubblicandoli in rete, nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca, ed in particolare, per il caso che qui ci occupa, di cronaca giudiziaria.
Si parla, in questo caso, per l’appunto non già di diritto alla cancellazione, ma di diritto all’oblio, il diritto ad essere dimenticati: la ratio è intuitiva. Quando il caso giudiziario che ha reso legittima la pubblicazione dei dati di un soggetto cessa di diventare attuale e di interesse per la collettività, l’interessato coinvolto ha il diritto ad essere dimenticato. L’interesse ed il diritto del singolo interessato si contrappongono all’interesse collettivo di conoscere questa o quella vicenda, ed è proprio operando un delicato bilanciamento con il diritto di cronaca (esercitato sempre nei limiti previsti di interesse e rilevanza della notizia, verità e continenza nell’esposizione).

Indice

1. L’applicazione in pratica del diritto all’oblio

Cancellare un dato da internet è sostanzialmente impossibile. Internet non dimentica, è quanto spesso si dice, anche per scoraggiare l’improvvida pubblicazione o condivisione di contenuti che non si è sicuri di voler consegnare per sempre ai posteri. E non solo, ma imporre alle testate giornalistiche la cancellazione e la rimozione dei propri articoli di cronaca legati ad un singolo nome o ai dati di questo o quell’interessato, oltre a non essere strada oggettivamente perseguibile, potrebbe non risolvere il problema, visto che una volta in rete, dei dati si perde sostanzialmente il controllo.
Per questo motivo, negli anni, ed a partire dalla “famosa” sentenza Google Spain del 2015 (Corte di giustizia dell’Unione europea (CGCE), Causa C-131/12 – Google Spain SL, Google Inc./ Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja Gonzále) il diritto alla cancellazione su internet, declinato come diritto all’oblio, si attua con la deindicizzazione della notizia in cui compaiono i dati personali dell’interessato dai motori di ricerca.
Ironizzando, gli addetti al marketing online sostengono che il miglior posto al mondo per nascondere qualcosa è nella seconda pagina di Google, per significare che quando un utente effettua una ricerca online, difficilmente va oltre i risultati che compaiono in prima pagina. Da qui il principio secondo cui una notizia, e quindi i dati che ad essa sono collegati, più che cancellati devono essere deindicizzati, cioè gli utenti non devono (a certe condizioni) poter trovare quella notizia, con quei dati, se effettuano una ricerca online.
Negli anni la giurisprudenza (europea e anche della nostra Cassazione) è tornata più volte su questo concetto, stabilendo che comunque il diritto all’oblio non è un diritto assoluto, ma che deve essere bilanciato e contemperato con altri diritti, primo tra tutti quello di cronaca. Il risultato è stato un percorso spesso a ostacoli per ottenere la deindicizzazione dei dati, possibile solo a seguito di un provvedimento del giudice civile o dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, soluzioni lunghe, costose e certamente non alla portata di tutti.

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2. La riforma Cartabia sul diritto all’oblio

In questo percorso a ostacoli è intervenuta la riforma della Giustizia, che con un emendamento all’articolo 1, comma 25, della legge 134/2021 che, a sua volta, ha portato al testo dell’articolo 64 ter delle Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, ha disposto quello che oggi viene definito come diritto all’oblio rafforzato.
Nel dettaglio oggi la norma prevede quanto segue:

  • La persona nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere oppure un provvedimento di archiviazione può richiedere che sia disposta la deindicizzazione in rete dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento che la riguardano;
  • La deindicizzazione può essere anche preventiva, nel senso che si può chiedere che venga preclusa l’indicizzazione di tutti gli articoli che verranno scritti dal momento della sentenza in avanti contenenti i dati della persona interessata;
  • Sarà la cancelleria del Giudice che ha emesso il provvedimento ad apporre e sottoscrivere la nota in calce, facendo riferimento all’art. 17 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, sia in caso di deindicizzazione successiva, sia preventiva;
  • Non sembrano previsti mezzi di impugnazione per il provvedimento della Cancelleria (pur se la Federazione Nazionale Stampa Italiana si è già dichiarata contraria a questa norma;
  • A fronte di inottemperanza da parte della cancelleria del Giudice sembrerebbe ipotizzabile un ricorso al Tar, mentre in caso di mancata ottemperanza da parte dei motori di ricerca, sono a disposizione degli interessati tutti i consueti strumenti di tutela giudiziaria, anche di natura risarcitoria.  

Il fatto che il provvedimento sia del cancelliere e non del Giudice dovrebbe garantirne la celerità e tempestività; successivamente, la procedura dovrebbe prevedere la notifica del provvedimento ai Titolari ed ai motori di ricerca.
La riforma Cartabia sul diritto all’oblio ha reso attuabile un diritto previsto da una norma europea che finora era rimasta se non proprio sulla carta, sicuramente di difficilissima attuazione in concreto.
Tuttavia, il provvedimento riguarda solo i processi con esito favorevole per l’imputato o indagato, mentre nulla viene disposto per i casi diversi, in cui la persona sottoposta alle indagini venga effettivamente rinviata a giudizio e successivamente condannata.
In tutti questi casi vale il diritto all’oblio “ordinario”, dunque, più complesso da ottenere, con possibili applicazioni pratiche che potrebbero sfociare in sostanziali disparità, soprattutto quando il caso sia molto risalente nel tempo e il soggetto abbia concluso di scontare la propria condanna: se è vero che la pena deve avere una finalità anche rieducativa, oltre che afflittiva, non può essere accettabile che, anche a distanza di molti anni, la notizia di una condanna molto risalente nel tempo e integralmente scontata posa portare conseguenze pregiudizievoli, ad esempio in termini di ricerca di un lavoro o anche solo reputazionali.
Un altro tema da tenere in considerazione sarà vedere come questo diritto introdotto dalla riforma Cartabia verrà applicato in caso di personaggi “famosi”, personalità pubbliche per le quali la rilevanza del fatto e della sua pubblicazione è oggettiva (o per lo meno più oggettiva che in caso di persone “comuni”).
Per il momento, il passo avanti nell’applicazione effettiva dell’art. 17 del GDPR sembra rilevante, non resta che aspettare per verificare come verrà declinato nella pratica.

Volume per l’approfondimento

Avv. Luisa Di Giacomo

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