La revisione del processo penale

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La revisione, nel processo penale italiano, è un mezzo di impugnazione straordinario esperibile contro i provvedimenti di condanna passati in giudicato.

La collocazione dell’istituto

È questione di ampio dibattito, specialmente nel ramo penale, di quale sia l’esatta o più opportuna collocazione di questo istituto.

Il codice di procedura penale lo pone nel titolo IX relativo alle impugnazioni.

Anche vari autori manualistici, ritengono la revisione come un’impugnazione straordinaria.

Non è di questo avviso un’altra dottrina, che non condivide la collocazione adottata dal legislatore e ritiene la revisione una tipica azione di annullamento strettamente relativa al giudicato e ai suoi effetti, più che un’effettiva impugnazione, sostenendo che la stessa svolge la sua attività nella parte endoprocessuale di una determinata questione entro determinati limiti di tempo e di prescrizione, mentre la revisione ha in oggetto una cosa giudicata e non impugnabile.

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Il diritto processuale penale

Nel ramo penalistico la revisione è prevista dall’articolo 629 del codice di procedura penale e seguenti:

È ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna o delle sentenze emesse ai sensi dell’articolo 444, comma 2, o dei decreti penali di condanna, diventati irrevocabili, anche se la pena è stata eseguita o è estinta.

(art. 629 c.p.p.)

Tra le motivazioni che possono portare a una revisione ci sono i motivi elencati dall’articolo 630 del codice di procedura penale.

L’organo competente è la Corte d’Appello.

Che si voglia considerare la revisione un’impugnazione oppure non lo si voglia, è di fatto uno strumento offerto dall’ordinamento al condannato per potere fare fronte a sentenze ingiuste passate in giudicato.

L’unico che può proporre una domanda di revisione è il condannato o chi agisce nel suo interesse, come i congiunti o il Procuratore.

L’unica domanda che si può chiedere è il proscioglimento, non si posso chiedere diminuzioni di pena o sconti, perché questo istituto mira a correggere decisioni vistosamente errate.

L’Organo competente per la revisione è la Corte d’Appello, (ex art.633 c.p.p.).

Se è considerata impugnazione, non è né devolutiva, perché non rimette il giudizio davanti a un organo superiore, ma a uno bene individuato, la Corte d’Appello, né sospensiva, perché il giudicante non è tenuto a disporre la sospensione dell’esecuzione della pena, potendolo fare, se lo ritine opportuno, a sua discrezione, in qualsiasi momento.

La revisione può essere richiesta per motivi tassativamente previsti dalla legge e in relazione ad elementi evidenti che abbiano la capacità di fare prosciogliere chi ne fa richiesta.

Questo aspetto distacca la revisione dalla possibilità che si possa considerare una sorta di bis in idem, vietato dallo stesso ordinamento.

In realtà il bis in idem è vietato per evitare la reiterata persecuzione penale di un soggetto giudicato, specialmente se assolto.

In questo caso la situazione viene ribaltata.

È lo stesso soggetto a chiedere, non un altro giudizio, che sarebbe impossibile, oppure una reiterata persecuzione, ma lo stravolgimento della sentenza di condanna compromessa da un errore nei precedenti giudizi.

Un peggioramento è previsto per una causa eccezionale, quando, ai sensi della legge 15 marzo 1991 n.82, un soggetto abbia ottenuto attenuanti o agevolazioni per collaborazioni con la Giustizia per questioni di terrorismo o criminalità organizzata, mentendo o rendendo dichiarazioni reticenti, nonché quando sia stato ritenuto autore di un reato entro i dieci anni successivi per i quali è previsto l’arresto in flagranza obbligatorio.

I motivi della richiesta di revisione

I motivi per richiedere la revisione sono elencati dall’articolo 630 del codice di procedura penale.

La revisione può essere richiesta:

a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale;

b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall’articolo 479

c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’articolo 631

d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.

La sentenza

Il giudice di revisione è molto limitato nel provvedimento, deve dichiarare la richiesta inammissibile oppure la deve accogliere.

Non può accogliere valutando esclusivamente le prove acquisite nel giudizio precedente.

In caso di accoglimento, annulla la sentenza in questione e fissa una riparazione a norma dell’articolo 643 del codice di procedura penale per il mal giudicato.

In caso di rigetto, conferma la sentenza e condanna il richiedente alle spese processuali.

La revisione dopo una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 19 gennaio 2000 emanò la raccomandazione n. R (2000) 2 sul riesame o la riapertura di determinati casi a livello nazionale a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.

In molte circostanze (Risoluzione Interinale (99) 258 del 15 aprile 1999, Risoluzione Interinale ResDH (2002) 30 del 19 febbraio 2002 e Risoluzione Interinale ResDH(2004) 13 del 10 febbraio 2004) il Comitato lamentò l’impossibilità che in Italia non fosse possibile la riapertura di procedimenti giudiziari a seguito di violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a fronte di almeno due accertamenti di violazioni procedurali della Convenzione, compiuti dalla stessa Corte europea nei casi Dorigo e F.C.B.).

In seguito all’inerzia del legislatore di accogliere questi solleciti del Consiglio d’Europa, la Corte costituzionale, con sentenza n. 113 del 7 aprile 2011, ha dichiarato incostituzionale “la mancanza un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando sia necessario, ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti umani, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti umani”.

Ci sono state proposte di aggiunte e accoglimenti di revisione in seguito a pronuncia della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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