La previsione di un termine nel contratto di lavoro impedisce la recedibilità ad nutum

Redazione 06/06/13
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Lucia Nacciarone

Con la sentenza n. 14016 del 4 giugno 2013 la Cassazione, uniformandosi ad un proprio precedente reso a Sezioni Unite ha confermato che, nel contratto di lavoro, è possibile derogare pattiziamente alla previsione di legge per la quale il lavoratore può recedere ad nutum con preavviso dal rapporto.

I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso e bocciato la tesi del giudice del merito per la quale, trattandosi nel caso di specie di un rapporto tipicamente fiduciario, ci sarebbe stata incompatibilità fra la natura stessa del rapporto e la pattuizione di una durata (un termine di durata) dello stesso; tesi, questa, che aveva portato ad affermare che al ricorrente non spettassero i reclamati compensi successivi alla risoluzione del rapporto nonché l’indennità sostitutiva del preavviso.

La Cassazione ribalta il verdetto, precisando che «l’apposizione di un termine al rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, senza che a tal fine sia necessario un patto specifico ed espresso (…).

Dopo un iniziale contrasto degli anni ottanta, si è ormai definitivamente consolidato il principio secondo il quale la previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, quale contemplata dall’art. 2337, comma 1, c.c., non ha carattere inderogabile e, quindi, è possibile che per particolari esigenze delle parti sia esclusa una tale facoltà di recesso fino al termine del rapporto».

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