La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere non vale se il sospetto narcotrafficante appartiene ad un clan in disarmo

Redazione 16/11/11
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È quanto affermato dalla Corte di cassazione con una sentenza depositata l’11 novembre 2011.

Il principio espresso dai giudici di legittimità costituisce il riflesso della precedente sentenza della Corte costituzionale (n. 231/2011) che aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 272, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevedeva la custodia cautelare in carcere per i reati di spaccio, oltre che per altri reati, salva l’acquisizione di ulteriori elementi dai quali non risultassero esigenze cautelari.

L’effetto della sentenza della Consulta è consistito principalmente nel fatto che la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia carceraria deve essere trasformata, con riferimento ai reati indicati nella norma, in presunzione relativa: deve, cioè, essere ordinata tale misura solo se, all’esito di una valutazione in concreto operata dal giudice, risulti impossibile soddisfare le esigenze cautelari con altre misure.

La cassazione ha fornito una applicazione della riscrittura della norma, stabilendo che l’indagato di appartenere ad una associazione finalizzata al narcotraffico, ritenuto parte integrante della cosca mafiosa, non è necessariamente destinatario della misura più grave della custodia cautelare in carcere, soprattutto se il clan di appartenenza risulta in una stato in cui la potenzialità offensiva è inadeguata. Invero, nel caso di specie, l’associazione criminale era ormai sgominata ed in disarmo, e in più occorreva valutare, prima di ordinare la misura, l’incidenza del decorso del tempo che può avere rilievo soprattutto se, ad esempio, l’associazione risultava già sciolta all’epoca dei fatti sospettati o se questi era molto risalenti.

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