La particolare tenuità del fatto non si applica nei procedimenti pendenti innanzi al giudice di pace(?).

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Nota a Cass. pen., sez. feriale, sentenza ud. 20 agosto 2015 (dep. 24 settembre 2015), n. 38876, Pres. F. Fiandanese, Giud. estens. V. Di Nicola.

Nella sentenza n. 38876 emessa dalla sezione feriale della Suprema Corte di Cassazione in data 20 agosto 2015, il Supremo Consesso ha affermato che «l’art. 131-bis cod. pen. non può essere applicato nell’ambito del procedimento per reati di competenza del Giudice di pace, nei quali prevale la disciplina speciale della tenuità prevista dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34 essendo il procedimento dinanzi al giudice di pace disciplinato secondo criteri di “ius singulare” rispetto al procedimento ordinario».

La Corte è addivenuta a siffatta conclusione giuridica sulla scorta delle seguenti argomentazioni: a) le «analogie e le differenze esistenti tra il procedimento penale presso il giudice di pace ed il procedimento penale ordinario portano (…) a ritenere che tra di essi esiste un rapporto di specialità reciproca perchè, intorno ad un nucleo fondamentale comune, ruotano una serie di istituti e riti speciali, funzionali alle esigenze proprie di ciascun procedimento»; b) dal momento che il legislatore non ha «seguito l’invito rivolto dalla Commissione Giustizia della Camera a valutare “l’opportunità di coordinare la disciplina della particolare tenuità del fatto prevista del D.Lgs. 28 ottobre 2000, n. 274, art. 34 in riferimento ai reati del giudice di pace, con la disciplina prevista dal provvedimento in esame introduzione nell’art. 131-bis c.p. n.d.r.”», «durante la fase di progettazione dell’art. 131-bis cod. pen., è apparso ben chiaro, essendo stato anche disatteso il suggerimento avanzato da talune precedenti Commissioni ministeriali di abrogare espressamente il D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34 (abrogazione che, tuttavia, non è stata prevista dal D.Lgs. n. 28 del 2015, art. 34 e, come si è detto, neppure dalla Legge Delega 28 aprile 2014 n. 67), come il risultato dell’inerzia si sarebbe risolto nel tollerare la coesistenza di due modelli M (invero tre modelli, se si ha riguardo anche alla disposizione ex art. 27 dettata per il procedimento penale minorile, che qui ovviamente non rileva) profondamente diversi di irrilevanza penale per tenuità del fatto»; c) «la Corte costituzionale (sentenza n. 25 del 28/01/2015, dep. 03/03/2015) – nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 529 c.p.p., sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui non prevede(va) una formula di proscioglimento per la “particolare tenuità del fatto”, “simmetrica ed analoga” a quella prevista, per i soli procedimenti penali di competenza del giudice di pace, dal D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 34 – ha precisato, proprio tenendo presente in parte qua il testo della Legge Delega n. 67 del 2014, che il legislatore ben può introdurre una causa di proscioglimento per la “particolare tenuità del fatto” strutturata diversamente e senza richiedere tutte le condizioni previste dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34 con ciò confermando che nulla impedisce a due diverse fattispecie di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto di coesistere nel medesimo ordinamento».

Orbene, tale approdo ermeneutico, ad avviso di chi scrive, si palesa non condivisibile per le seguenti ragioni.

Una prima considerazione è di ordine procedurale.

Come è noto, l’art. 530 c.p.p., ossia la norma processuale deputata a regolare le forme in cui può essere emessa una pronuncia assolutoria, è applicabile anche nei procedimenti pendenti innanzi al giudice di pace in ossequio a quanto stabilito dall’art. 2 del decreto legislativo, 28 agosto 2000, n. 274.

Ciò posto, l’art. 530, comma 3, c.p.p., come è altrettanto noto, prevede che il giudice possa pronunciare una sentenza di assoluzione nel caso in cui il fatto è stato commesso in presenza di una causa personale di non punibilità.

Ebbene, dal momento che la stessa Cassazione, nella decisione in commento, ha qualificato la particolare tenuità del fatto come una causa di non punibilità, delimitare il margine operativo dell’art. 530, co. III, c.p.p. escludendone l’applicabilità nei procedimenti pendenti innanzi al giudice di pace determinerebbe, a opinione dello scrivente, una interpretazione irragionevole e arbitraria di questa norma procedurale che, come tale, sarebbe incostituzionale.

Infatti, ove la particolare tenuità del fatto dovesse emergere in sede dibattimentale, l’imputato si troverebbe nella condizione di non potere beneficiare di questa causa di non punibilità  e pertanto dovrebbe essere condannato anche ove ricorressero le condizioni previste dall’art. 131-bis c.p. qualora la parte offesa si opponga a norma dell’art. 34, co. III, decreto legislativo n. 274 del 2000.

Al riguardo, giova osservare che la Consulta, nel trattare un istituto molto simile a quello in commento (vale a dire l’irrilevanza del fatto nel processo minorile), nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 4, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 nella parte in cui prevede che la sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto possa essere pronunciata solo nell’udienza preliminare, nel giudizio immediato e nel giudizio direttissimo, ha evidenziato come tale norma giuridica fosse censurabile in sede costituzionale rilevando per un verso che, «se gli elementi di fatto e le circostanze idonei a dimostrare la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento emergono solo in dibattimento, o se l’imputato non ha potuto beneficiare del proscioglimento per irrilevanza del fatto nell’udienza preliminare, l’unica alternativa alla pronuncia di una sentenza di condanna è, come emblematicamente dimostrato dalla vicenda oggetto del giudizio a quo, il proscioglimento dibattimentale per concessione del perdono giudiziale»[1], per altro verso che «tale esito, che presuppone un’affermazione di colpevolezza, realizza un livello di tutela dell’imputato minorenne certamente inferiore rispetto a quello assicurato dal proscioglimento per irrilevanza del fatto, i cui effetti processuali e sostanziali sono di gran lunga più favorevoli»[2].

Ed allora, anche in questo caso, l’imputato, trovandosi in una condizione di gran lunga peggiore rispetto a quella appena evidenziata dalla Consulta non potendo nemmeno usufruire del perdono giudiziale, andrebbe incontro ad un’affermazione di colpevolezza pur in presenza di una norma procedurale ossia l’art. 530 c.p.p. citato in precedenza che dovrebbe conferirgli un grado di tutela di gran lunga superiore rispetto a quello previsto per la particolare tenuità del fatto così come prevista dall’art. 34 del decreto legislativo n. 274 del 2000.

Infatti, se in questo secondo caso, come appena visto, è necessario che la persona offesa non si opponga, a norma dell’art. 530 c.p.p. ciò non è richiesto.

Da ciò dovrebbe conseguire come l’art. 530 c.p.p., così interpretato, introducendo un fatto preclusivo non previsto da esso (vale a dire il consenso della persona offesa) potrebbe ritenersi lesivo dell’art. 3 della Cost. in quanto diversamente considerato a seconda del giudice chiamato a decidere.

Difatti, si configurerebbe nella sua piena portata applicativa, laddove debba giudicare il Tribunale in composizione monocratica mentre si andrebbe ad escluderne la sua attuabilità, se il giudice, chiamato a decidere, sia all’opposto il giudice di pace.

Del resto, sempre i giudici di legittimità costituzionale hanno rilevato, pur trattando una fattispecie diversa da quella in argomento[3], che è irragionevole un trattamento normativo diverso in presenza di presupposti processuali eguali (nel caso di specie: i presupposti per poter emettere una pronuncia assolutoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto a norma dell’art. 530, co. III, c.p.p.) e comportamenti materiali identici(nel caso di specie: un fatto particolarmente tenue a norma dell’art. 131-bis c.p.).

Quindi, anche qui si dovrebbe pervenire a conclusioni non dissimili se, come nella fattispecie in oggetto, una norma procedurale venisse diversamente considerata a seconda del giudice chiamato a giudicare.

Inoltre, l’inibire al giudicante, in assenza di una norma che preveda espressamente ciò, di potere verificare la sussistenza della causa di non punibilità dell’art. 131-bis c.p., potrebbe comportare altresì la violazione dell’art. 25 Cost. dato che, come affermato dalla stessa Corte costituzionale nella decisione appena menzionata, al giudice del dibattimento, in quanto «giudice naturale cui è demandato l’accertamento dei fatti con pienezza di poteri»[4], gli deve spettare il «potere di prosciogliere per irrilevanza del fatto»[5](in quel caso a norma dell’art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1998, in questo, a norma del combinato disposto artt. 530 c.p.p. – 131 bis c.p.).

Ebbene, la limitazione del range valutativo imposto al giudice di pace, così come ritenuto dalla Cassazione nella decisione in commento, comporterebbe una diminuzione dei poteri ad esso riconosciuti in assenza di una legislazione che stabilisca espressamente siffatta deminuitio.

Una seconda considerazione è di ordine sostanziale.

Invero, dal momento che è pacifico che l’istituto in argomento deve essere qualificato come causa di non punibilità, non applicarlo, solo perché si è in presenza di un dato procedimento penale, potrebbe determinare un altro profilo di criticità costituzionale.

Infatti, si verrebbe a determinare un irragionevole disparità di trattamento tra questa causa di non punibilità e le altre(esempio: quella prevista dall’art. 599 c.p.) nonché a stabilire, per giurisprudenza ma non per dettato legislativo, che una norma penale non può essere applicata in un processo penale.

Tal che, anche sotto tale versante giuridico, un costrutto ermeneutico di questo tipo potrebbe determinare, ad avviso di chi scrive, l’illegittimità costituzionale  (in questo caso) dell’art. 131-bis c.p. per violazione dell’art. 3, co. I, Cost., nella parte in cui se ne esclude la sua applicabilità nei processi innanzi al giudice di pace.

Per di più, una valutazione ermeneutica di questo genere sembra collidere anche con la voluntas legislatoris.

Di fatto, come emerge dai lavori preparatori da cui è sfociato l’istituto della particolare tenuità del fatto, si evince come la ratio dell’art. 131-bis c.p. sia stata quella di delegare «il Governo a prevedere l’esclusione della punibilità per quelle condotte attualmente punite con pena pecuniaria o pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, i cosiddetti reati bagatellari o, comunque, dove è tenue l’offesa e l’abitudinarietà del comportamento»[6] giacchè, come evidenziato nella relazione di accompagnamento al decreto delegato, l’irrilevanza del fatto, da un lato, «contribuisce chiaramente a realizzare il sovraordinato principio dell’ultima ratio»[7], dall’altro, nel permettere «la definizione anticipata per irrilevanza del fatto, oltre a soddisfare esigenze di deflazione processuale, risulta del tutto consentanea anche al principio di proporzione, essendo il dispendio di energie processuali per fatti bagatellari sproporzionato sia per l’ordinamento sia per l’autore, costretto a sopportare il peso anche psicologico del processo a suo carico»[8].

Ed allora, non avrebbe senso una limitazione di questo genere perché  è proprio il giudice di pace quello competente a trattare la maggior parte dei reati definibili come di natura bagatellare.

Di conseguenza, non ammettere la competenza di quest’autorità giudiziaria in relazione a tale causa di non punibilità vorrebbe escludere di fatto la possibilità di riconoscere la particolare tenuità del fatto proprio in riferimento a quegli illeciti penali per i quali il legislatore ha voluto concepire ed ideare un istituto di questo genere.

L’interpretazione così operata, dunque, potrebbe rappresentare sostanzialmente una sorta di abrogazione quanto meno parziale dell’art. 131- bis c.p..

Una terza considerazione riguarda le altre valutazioni compiute nella pronuncia in commento.

In primo luogo, non si ritiene che l’art. 34 del decreto legislativo n. 274 del 2000 e l’art. 131-bis c.p. possano porsi in un rapporto di specialità proprio perché attengono ad istituti e riti speciali, funzionali alle esigenze proprie di ciascun procedimento.

Ad opinione di chi scrive, infatti, un nucleo comune non può essere ravvisato sotto il profilo fattuale (fatto particolarmente tenue) ma giuridico e qui, nel caso di specie, da una parte, v’è una causa di non procedibilità, dall’altra, una causa di non punibilità e ancora, da una parte, un istituto di natura prettamente procedurale, dall’altra, un istituto di ordine sostanziale.

Non vi dovrebbero essere dunque le condizioni perché si possa parlare di specialità nel caso di specie essendo i due istituti connotati da presupposti giuridici chiaramente diversi l’uno dall’altro.

In secondo luogo, per quanto viceversa attiene la mancata approvazione dell’emendamento inerente il coordinamento della disciplina della particolare tenuità del fatto prevista del D.Lgs. 28 ottobre 2000, n. 274, art. 34 in riferimento ai reati del giudice di pace, con la disciplina prevista dal provvedimento in esame introduzione nell’art. 131-bis c.p., questo difetto di coordinamento non dovrebbe rilevare né a favore, né contro, la tesi sostenuta nella pronuncia in oggetto.

In effetti, il mancato coordinamento di queste disposizioni legislative non dovrebbe provare nulla se non probabilmente l’esigenza di chiarire meglio il rapporto tra queste due norme giuridiche per evitare possibili profili di criticità ermeneutica(come si è verificato nel caso di specie) ma non certo quella di escludere l’applicazione dell’una in presenza dell’altra.

Discorso diverso sarebbe stato (ma comunque avrebbe valso sino a un certo punto trattandosi comunque sempre di lavori preparatori indicativi su come una legge debba essere interpretata ma non certo vincolanti sotto il profilo ermeneutico), laddove non fosse stato approvato un emendamento con il quale si stabiliva che l’art. 131-bis c.p. è applicabile anche nei processi innanzi al giudice di pace.

Invero, un emendamento di questo genere avrebbe fatto denotare come, almeno da parte di taluni parlamentari, il progetto di legge da loro trattato, così come approvato e in assenza di un emendamento di questo genere, avrebbe determinato l’inapplicabilità dell’art. 131-bis c.p. in relazione a processi di questo tipo.

Ciò però non è avvenuto.

In terzo luogo, non pare nemmeno pertinente al caso di specie il richiamo a quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 25 del 2015.

Difatti, in quella occasione, il giudice delle leggi si è limitato a rilevare che «il legislatore ben può introdurre una causa di proscioglimento per la “particolare tenuità del fatto” strutturata diversamente e senza richiedere tutte le condizioni previste dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000»[9] ma non hai mai postulato che l’approvazione di questa nuova ipotesi di tenuità sarebbe stata incompatibile con quella prevista dalla norma appena citata.

In conclusione, lo scrivente non può che ribadire quanto sostenuto nella parte iniziale di questo scritto vale a dire che l’interpretazione operata nella pronuncia in commento non sia condivisibile.

Ove questa pronuncia dovesse essere confermata in sede nomofilattica, sarebbe forse opportuno che la Corte costituzionale venisse investita in ordine a tale questione al fine di verificare la conformità dell’art. 131-bis c.p. al dettato costituzionale così come inteso nella fattispecie in esame nonché l’art. 530 c.p.p. nei termini precisati in precedenza.

 

 


[1]Corte cost., sentenza ud. 5 maggio 2003 (dep. 9 maggio 2003), n. 149, in www.giurcost.org con note di G. DOSI, Minori ed antigiuridicità: l’evoluzione dell’istituto dell’irrilevanza penale del fatto, in DeG – Dir. e giust., fasc.21, 2003, pag. 8; S. LARIZZA, Tutela del minore dal processo o nel processo? La scelta della Corte costituzionale nella sentenza che estende alla fase dibattimentale l’applicabilità della irrilevanza del fatto, in Cass. pen., fasc.12, 2003, pag. 3687.

[2]Ibidem.

[3]Vedasi: Corte cost., sentenza ud. 12 dicembre 1996 (dep. 27 dicembre 1996), n. 416, in Cass. pen., 1997, 954; Dir. pen. e processo, 1997, 27; Giur. it., 1997, I, 362; Giust. pen., 1997, I, 97; Riv. giur. polizia, 1997, 230; Riv. pen., 1997, 19; Riv. pen., 1997, 1092.

[4]Corte cost., sentenza ud. 5 maggio 2003 (dep. 9 maggio 2003), n. 149, in www.giurcost.org con note di G. DOSI, Minori ed antigiuridicità: l’evoluzione dell’istituto dell’irrilevanza penale del fatto, in DeG – Dir. e giust., fasc.21, 2003, pag. 8; S. LARIZZA, Tutela del minore dal processo o nel processo? La scelta della Corte costituzionale nella sentenza che estende alla fase dibattimentale l’applicabilità della irrilevanza del fatto, in Cass. pen., fasc.12, 2003, pag. 3687.

[5]Ibidem.

[6]Intervento dell’On. Dep. D. Ferranti, seduta n. 196, tenutasi presso la Camera dei deputati  il 24/03/2014, in www.camera.it.

[7]Relazione illustrativa di accompagnamento al decreto legislativo, 16 marzo 2015, n. 28, in http://documenti.camera.it/apps/nuovosito/attigoverno/Schedalavori/getTesto.ashx?file=0130_F001.pdf&leg=XVII.

[8]Ibidem.

[9]Corte Cost., sentenza ud. 28 gennaio 2015 (dep. 3 marzo 2015), n. 25, in www.giurcost.org.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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