La nuova frontiera del lavoro flessibile: i vizi del contratto di lavoro a tempo determinato e la regolarita’ di quello commerciale in somministrazione

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Con sentenza n. 5 del 12 gennaio 2012, che qui si commenta, il Tribunale di Lanciano, in funzione di Giudice del Lavoro nella persona della dott.ssa Flavia Grilli, ha affrontato sia il tema del contratto di lavoro in somministrazione (ex Dlgs n. 276/03) che di quello tipicamente a tempo determinato (Dlgs. N. 368/01).

Il caso riguardava una lavoratrice che a far data dall’anno 2006 e sino a tutto il 2008 ebbe a prestare la propria prestazione lavorativa nell’interesse e sotto la direzione di una nota società automobilistica italiana, dapprima per il tramite di una serie di contratti di somministrazione (e successive proroghe) e in seguito con la sottoscrizione di un tipico contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.

Per quanto concerne la prima fattispecie contrattuale, con la domanda azionata la dipendente eccepiva la nullità sia del contratto di lavoro in somministrazione che di quello commerciale in somministrazione per l’estrema genericità delle ragioni che ne avevano giustificato l’apposizione del termine, risolvendosi, dette motivazioni, in un mero e tautologico richiamo delle causali previste ex lege.

La tesi di parte ricorrente si fondava sulle seguenti argomentazioni: 1) nel contratto individuale stipulato direttamente con l’Agenzia di Lavoro non vi era indicazione alcuna e/o era riportata in via estremamente generica la ragione che aveva giustificato l’utilizzo temporaneo della singola risorsa umana; 2) anche al momento dell’invio presso l’utilizzatore, alcuna informazione veniva a lei fornita sulle ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo e sostitutivo che ebbero verosimilmente a giustificare il ricorso alla somministrazione; 3) non avendo mai avuto una copia del contratto commerciale stipulato tra somministratore ed utilizzatore, con ogni probabilità anche quest’ultimo non conteneva alcuna specificazione delle ragioni suddette; 4) considerato che il requisito formale è previsto ab substantiam, ossia a pena di nullità (parziale) del contratto, la sua mancanza avrebbe inesorabilmente invalidato, e reso irregolare, anche il contratto commerciale di somministrazione con l’effetto dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente con l’utilizzatore, ovverosia con colui che di fatto aveva sempre beneficiato della prestazione lavorativa della ricorrente.

Compendiando, veniva adito il predetto Tribunale per violazione degli artt. 20 e 21, comma 1 lett. a), b), c), d) ed e), comma 2 del Dlgs n. 276/03, con conseguente applicazione della sanzione prevista dal successivo art. 27 (costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’utilizzatore a dar data dalla costituzione del rapporto). A parere della ricorrente, infatti, la fattispecie in esame rappresentava un esempio, fra i tanti, di ricorso abusivo a forme sistematiche di sostituzione del personale, un fraudolento tentativo di render tipico quel lavoro atipico a forte contenuto di precarietà.

Nel costituirsi regolarmente in giudizio, l’Agenzia per il lavoro chiedeva il rigetto delle richieste attoree in quanto ritenute infondate; in via subordinata, in caso di accoglimento della domanda, chiedeva fosse riconosciuto un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite, con detrazione, però, dell’aliunde perceptum.

Si costituiva in giudizio anche la società utilizzatrice eccependo preliminarmente la nullità del ricorso e delle domande in esso formulate a causa della indeterminatezza ed indeterminabilità del petitum, nonché per l’inammissibilità della stessa domanda la quale, invero, doveva riferirsi unicamente al rapporto di lavoro intercorso tra il somministratore e il proprio dipendente; nel merito, invece, contestava specificamente ogni avversa deduzione rilevando che, da un punto di vista sostanziale, le esigenze che avevano giustificato il ricorso alla somministrazione erano vere ed effettivamente sussistenti.

Disattese e rigettate tutte le eccezioni preliminari, il Tribunale di Lanciano rilevava – in limine – come alcun dubbio potevasi sollevare sull’estrema genericità della motivazione sottesa al contratto di lavoro temporaneo (quello, cioè, sottoscritto dal somministratore e dal lavoratore), in quanto priva di qualsivoglia specificità e risoltasi in un mero richiamo alle ragioni di legge.

Da tale premessa, quindi, occorreva esaminare la fondamentale questione relativa all’ambito di operatività della sanzione prevista dall’art. 27, co. 1, Dlgs n. 276/03; in sostanza, risultava doveroso verificare, a detta del Giudice adito, «se la sanzione ivi prevista (costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con il soggetto utilizzatore) possa colpire anche la mancata specificazione in forma scritta nel contratto di lavoro delle ragioni giustificative del ricorso alla somministrazione».

Sul punto è di certo noto il consolidato orientamento della giurisprudenza di merito che ha ritenuto imprescindibile, ai fini della regolarità della somministrazione, l’indicazione specifica ed esaustiva delle ragioni giustificatrici del termine sia nel contratto di somministrazione che nel contratto individuale di lavoro1.

SI è costantemente ritenuto, infatti, che:

  • nel contratto di lavoro a termine alle dipendenze del somministratore occorre necessariamente specificare in forma scritta gli elementi indicati nel comma 1 dell’art. 21, tra cui “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, in quanto ciò è espressamente previsto e disciplinato dal disposto normativo ex art. 21, comma 3 (“le informazioni di cui al comma 1, nonché la data di inizio e la durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore, devono essere comunicate per iscritto al prestatore di lavoro da parte del somministratore all’atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio presso l’utilizzatore);

  • l’art. 22, comma 2, Dlgs. n. 276/03 richiama espressamente la disciplina di cui all’art. 1, comma 2, Dlgs. n. 368/01;

  • da ciò ne deriva che è proprio il citato art. 1, comma 2, Dlgs. n. 368/01 a determinare poi l’effetto della caduta del termine per la sua nullità, nel caso appunto di mancata specificazione per iscritto dei casi e della ragioni di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 20, con conseguente costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore.

In conclusione, la norma dell’art. 27 andrebbe letta congiuntamente a quella dell’art. 22, comma 2, che a sua volta richiama la disciplina del contratto a termine, in quanto compatibile.

Da tale ricostruzione deriva, tra l’altro, che in giudizio l’utilizzatore non può dare ingresso e fornire prova sulla concreta esistenza delle ragioni giustificative qualora nel testo negoziale (del contratto di lavoro a termine alle dipendenze del somministratore) manchi l’elemento formale proprio della fattispecie e/o sia del tutto generico e privo, quindi, della specificazione richiesta.

A tale orientamento giurisprudenziale, però, se ne contrappone un altro cui lo stesso Tribunale di Lanciano, nella sentenza in commento, ha inteso aderire condividendone le motivazioni.

E’ stato ribadito, infatti, che «il vizio formale della insufficiente specificazione scritta delle ragioni che giustificano l’apposizione del termine nel contratto di assunzione può essere fatto valere dal lavoratore solo nei confronti del somministratore»2.

Si è aggiunto, inoltre, che «la sanzione stabilita dall’art. 27 non può ritenersi operante in detti casi sia perché l’utilizzatore è estraneo al contratto di lavoro stipulato inter alios, sia perché l’estensione dell’art. 27 comporterebbe una sorta di responsabilità per fatto altrui, difficilmente compatibile con le regole proprie della responsabilità contrattuale».

In conclusione, a parere del giudicante «la costituzione di un rapporto di lavoro direttamente con l’utilizzatore può verificarsi solo se un vizio di forma riguardi il contratto commerciale di somministrazione e non anche se vi siano vizi formali riguardanti il contratto di assunzione stipulato tra somministratore e lavoratore, vizi che non potranno ricadere sull’utilizzatore».

Nella fattispecie in esame, quindi, appariva irrilevante accertare se la clausola che esplicitava le ragioni dell’assunzione temporanea nel contratto di lavoro fosse o meno dotata di specificità, avendo la ricorrente chiesto l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato unicamente in capo alla società utilizzatrice.

Semmai, rilevava il Giudice del Lavoro di Lanciano, era importante verificare giudizialmente – anche in ragione delle richieste formulate dalla lavoratrice, nonché, e soprattutto, alla luce della recente sentenza n. 15610/2011 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione – l’effettiva esistenza di dette ragioni.

Ebbene, sulla base della documentazione prodotta dalle parti e delle risultanze delle prove orali ammesse, veniva accertato in positivo l’esistenza delle causali del ricorso alla somministrazione a far data dal momento della stipula del contratto. La società convenuta in giudizio, quindi, aveva soddisfatto quell’onere probatorio che di fatto le incombeva.

Diversamente, in ordine all’eccepito vizio formale e sostanziale del contratto di lavoro a tempo determinato successivamente stipulato dalla società (ex utilizzatrice) direttamente con la ricorrente, il Tribunale di Lanciano preliminarmente osservava che nella nuova previsione di cui all’art. 1 Dlgs. n. 368/01 «l’ambito delle possibilità di stipulazione a termine si è molto ampliato e ciò appare coerente con il disegno di flessibilità che la legislazione vuole portare a compimento. Ciò non significa, tuttavia, che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro non continui a costituire una possibilità ammessa in via d’eccezione ed in presenza di determinate circostanze, la cui sussistenza deve essere controllabile logicamente; la regola continua dunque ad essere quella che il rapporto di lavoro normalmente deve essere stipulato a tempo indeterminato».

Venendo, quindi, al merito della questione, il Giudice riteneva che nel contratto di lavoro erano state formulate, in modo sufficientemente specifico, le ragioni dell’assunzione a termine.

Pur tuttavia, da un punto di vista sostanziale, l’effettiva esigenza datoriale non risultava essere, “in concreto”, esistente.

Nel premettere, infatti, che «la temporaneità della prestazione deve essere la dimensione in cui deve essere misurata la ragionevolezza delle esigenze (tecniche, organizzative, produttive o sostitutive) poste a fondamento della stipulazione del contratto a termine», si rilevava che nel caso di specie non era stata affatto giustificata né tantomeno resa evidente «la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive della datrice di lavoro».

In definitiva, da una valutazione complessiva degli elementi acquisiti in giudizio si riteneva che la ricorrente fosse stata assunta «per far fronte ad un normale e fisiologico fabbisogno di manodopera e per coprire dunque una carenza di personale divenuta ormai strutturale all’interno dell’azienda».

Alla luce delle considerazioni che precedono, il Tribunale di Lanciano accertava e dichiarava la nullità della clausola appositiva del termine, affermando la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra la lavoratrice e la società resistente con conseguente condanna di quest’ultima al ripristino immediato dell’effettività del rapporto, nonché alla corresponsione di una indennità risarcitoria ex art. 32, comma 5, L. n. 183/2010.

Giusto rilievo merita la pronuncia in commento per aver condiviso un orientamento giurisprudenziale che sembra delineare quella che è la nuova frontiera del lavoro flessibile: contrariamente a quanto previsto dalla norma transitoria di cui al Dlgs. n. 276/03, art. 86, comma 3, irrilevanti, appaiono, la temporaneità e l’eccezionalità delle esigenze organizzative richieste per la somministrazione a termine.

Al fine, infatti, di escludere il perseguimento di finalità elusive delle norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, nonché al fine di mascherare situazioni niente affatto rispondenti a quelle contemplate dalla norma di cui all’art. 20, co. 4, Dlgs. n. 276/03, è necessario un controllo non sul merito delle scelte imprenditoriali, bensì, e più semplicemente, sull’effettiva esistenza delle esigenze alle quali si ricollega l’assunzione del singolo dipendente.

Non è richiesto, come invece previsto e disciplinato per il tipico contratto a tempo determinato, una specificazione ed indicazione esaustiva della causale all’interno del contratto commerciale di somministrazione, bensì, ed unicamente, la reale e “concreta” esistenza della stessa.

L’onere probatorio, quindi, sembra prevalere sul dato formale.

 

1 Trib. Bologna, 8 settembre 2010, in Lav. Giur., 2010, 12, 1241; Tnb. Napoli, 8 giugno 2010, in Guida Lav., 2011, 4, 42; Trib. Padova, I aprile 2010, in Guida Lav., 2010, 35, 55; Trib. Milano, 29 gennaio 2009, in Riv. It. dir lav., 2010, I, II, 23; Appello Milano, 12 gennaio 2009, in Riv. cri. dir. lav., 2009, 145.

2 Ex multis, Trib. Roma 17.6.2010; Trib. Prato 19.5.2010; Trib. Milano 23.12.2010

Passarelli Pierpaolo

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