La famiglia monogenitoriale o monoparentale per la legge

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Secondo le ultime rivelazioni dell’Istat, nel nostro Paese, su 25,6 milioni di famiglie, il 12% è costituito da nuclei monoparentali.
I genitori unici sono quasi sempre donne, 2,4 milioni di madri con figli contro 565 mila padri.

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Indice

1. Che cosa significa famiglia monogenitoriale o monoparentale


Con famiglia a genitore unico o anche educatore unico si definisce la situazione nella quale un unico genitore si prende carico dell’educazione dei figli minorenni.
Sono padri e madri divorziati, celibi, vedovi, separati da molto tempo e che non vivono insieme a un altro adulto in una comunità domestica comune.
Il bambino ha come unica persona alla quale rivolgersi il genitore che vive con lui, mentre con l’altro genitore spesso ci sono esclusivamente contatti di visita sporadici che, in caso di contenzioso,  possono essere chiariti dal Tribunale di famiglia.
Nonostante entrambi i genitori abbiano il diritto di sostegno (sostegno genitoriale) in senso giuridico, non il diritto di regolamento di soggiorno, che dall’ 1 luglio 1998 nella Repubblica Federale di Germania anche dopo un divorzio costituisce il caso più normale, il bambino vive di solito presso uno dei due genitori, che ne esercita di fatto l’unica funzione di “allevarli”.
Gli educatori unici hanno, se l’altro genitore non adempia al suo obbligo di alimenti anche irregolarmente, per bambini sotto i 12 anni il diritto all’acconto sul sostentamento.
La situazione tributaria degli educatori unici  è diventata meno a buon mercato dopo una decisione del Tribunale Costituzionale Federale.
Gli educatori unici sono genitori nel quale nucleo familiare vivono ancora altre persone maggiorenni, ad esempio, nonni del figlio o della figlia, coniugi non sposati, o altri.
In questi contesti uno dei genitori ha il diritto di sostentamento giuridico e l’obbligo di allevare i figli, mentre le altre persone di una famiglia plurigenerazionale, o del tipo patchwork, sono impegnate regolarmente alle misure di allevamento.
Gli educatori unici vivono più spesso come genitori sposati al di sotto della soglia di povertà, perché non ci sono entrate del coniuge.
In Italia, l’assegno è di solito erogato da Comuni o Province, secondo regolamenti decisi dai singoli enti locali, senza nessuna uniformità di regole a livello nazionale.
La legge prevede che a ogni madre sia dovuto un contributo una tantum alla nascita del figlio di circa 1.500 euro.
In merito ai contributi per le ragazze madri, secondo la legge italiana a una donna non è dovuto niente, neanche se è minorenne e non dispone di un reddito adeguato al mantenimento del figlio, lo stesso vale per il padre in difficoltà economiche, se la madre dà il figlio in affido e padre che accetta di riconoscerlo, né nel caso di sopraggiunta morte di uno dei genitori biologici.
I contributi erano previsti dall’articolo 4 lettera c) del R.D.L. n.798/1927, abrogato con il “Taglialeggi”, con competenza conferita prima alle Province dalla Legge n. 67 del 18/03/1993, e poi ai Comuni con l’articolo 56 commi 1 e 2 della Legge 11 del 23/10/2007, sempre in assenza di un quadro normativo armonico dei requisiti e dei benefici.
Tra i requisiti non necessariamente è previsto il mancato riconoscimento paterno, la richiesta giudiziale di un accertamento di paternità verso i padri presunti, oppure il risarcimento da parte del padre biologico del contributo per una ragazza madre in caso di successivo riconoscimento del figlio naturale.
I regolamenti degli enti locali prendono in considerazione requisiti come l’età e il reddito del genitore, cumulati con il reddito eventuale del figlio.
In molti casi il diritto al sussidio viene esteso alle donne in difficoltà economiche senza un preciso requisito di età, oppure anche ai padri biologici a patto che l’altro partner non abbia riconosciuto legalmente il figlio all’atto della nascita.
Per prevenire gli abusi, il sussidio è limitato ai figli riconosciuti legalmente esclusivamente da uno dei genitori biologici, che in genere è la madre, escludendo in questo modo dal contributo quelle coppie che convivono e che in passato evitavano di sposarsi, per non cumulare i redditi e rientrare nelle fasce degli aventi diritto.    


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2. Che cosa prevede il codice civile   


Il codice civile prevede che il giudice del Tribunale per i Minorenni possa dichiarare lo stato di adottabilità, nel caso nel quale il genitore o la coppia non dispongano di un adeguato  reddito al mantenimento del figlio, anche quando il minorenne sia stato riconosciuto da entrambi i genitori biologici.
Si configurano il reato di falso in atto pubblico eil reato truffa, quando il padre biologico non riconosce il minorenne e la coppia convive.
Sono elementi di prova rilevanti il cognome del minore e gli appellativi con i quali si rivolge ai famigliari, la residenza e coabitazione, il conferimento di beni o denaro alla madre e al figlio disconosciuto.
Nei casi più difficili, il giudice può disporre esami genetici ed ematici obbligatori per accertare la reale paternità.
La giurisprudenza ha rilevato diverse volte l’iniquità della norma che non considera l’interesse legittimo e il grave trauma psicologico del minorenne che viene sottratto alla sua famiglia di origine, e non prevede che il contributo erogato dallo Stato agli istituti affidatari, religiosi o pubblici, possa essere destinato direttamente ai genitori biologici prima di dichiarare l’adottabilità, oppure, a parità o con minori oneri per lo Stato, a integrazione del reddito di coppie disponibili e idonee all’adozione, sino al raggiungimento della soglia di reddito minimo ritenuta inderogabile.
Sembra discriminatoria e illegittima, in primo luogo neo confronti del minorenne, e poi verso il genitore escluso, una disciplina che riservi un sussidio esclusivamente alle madri, alle famiglie monogenitoriali, oppure interponga un requisito di età anagrafica.
Non esistono motivi per escludere a priori dal sostegno economico minori appartenenti a famiglie dove sono presenti entrambi i genitori biologici, oppure nelle quali il genitore affidatario del minore convive con un altro partner senza superare il requisito di reddito.
Il contributo per ragazze madri e per la maternità confluiscono in un unico sostegno e disciplina comuni per i minorenni, che appartengono a famiglie mono o plurigenitoriali in difficoltà economiche.
Con questo tipo di approccio, viene affrontata la tematica del sostegno famigliare in altri Paesi dell’Unione Europea, anche se altre nazioni, come Francia, Regno Unito, Germania e Olanda, riservino un contributo alle madri, indipendentemente dall’età e dal reddito.
La normativa, come accaduto nel Regno Unito e in Sudamerica, si può trasformare in un incentivo economico a una maternità precoce e non responsabile.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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