La donazione indiretta: un’ordinanza della Cassazione

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Nota ad una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 23036 del 28 luglio 2023) la quale ha chiarito maggiormente le caratteristiche della donazione indiretta.

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Indice

Corte di Cassazione – Sez. II Civ. – Ordinanza n. 23036 del 28/07/2023

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1. Inquadramento della tematica

È ben possibile che, durante il corso della vita, un soggetto possa decidere d’arricchire un altro attribuendogli un diritto o assumendo nei suoi confronti un obbligo.
L’ordinamento giuridico consente di raggiungere tal obiettivo mediante un istituto giuridico, di diritto sostanziale, che va sotto il nome di donazione.
Possiamo rilevare che, per quello che potremmo definire il nostro “traffico giuridico”, vale a dire la necessità di disporre dei beni e dei relativi diritti in essi incorporati, l’ordinamento predispone degli appositi strumenti giuridici.
In un certo qual modo, l’interesse concreto che il consociato tende a perseguire modella l’operazione negoziale che, indi, vien, poi, regolamentata, positivamente, in un archetipo normativo.
Cosicché, quanto appena descritto accade anche per quanto concerne la donazione, un istituto giuridico che consente, per l’appunto, ad un soggetto, il donante, di disporre uno spostamento della propria ricchezza in favore d’un altro soggetto beneficiario, detto donatario.
L’archetipo della donazione è, dunque, basato sullo spirito di liberalità, che contraddistingue il negozio in scrutinio rispetto agli atti a titolo gratuito.
Appare, indi, opportuno, fare cenno, anche soltanto per un momento, alla distinzione che dovrebbe intercorrere tra le liberalità ed gli atti a titolo gratuito.
Gli atti a titolo di liberalità si contrappongono agli atti a titolo oneroso. La contrattualistica è orientata alla causalità, nel senso che ogni operazione negoziale si suppone che sia assistita da un interesse concreto che le parti tramite l’archetipo negoziale prescelto tendono a perseguire.
Ogni spostamento patrimoniale deve esser, cioè, ancorato ad un interesse concreto che quella operazione giustifichi.
La causa, nella visione d’un interesse concreto perseguito dalle parti, sorregge l’atto negoziale, giustificando, indi, lo spostamento di ricchezza da un soggetto ad un altro e viceversa.
E ciò caratterizza i negozi giuridici a titolo oneroso, ove la prestazione d’una parte, equivalente al concetto vantaggio e sacrificio economico, trova la propria remunerazione nell’esecuzione della prestazione della controparte.
Quivi, ove le parti, in un rapporto commutativo, dalla nascita del rapporto obbligatorio, son coscienti dell’entità dei rispettivi sacrifici e vantaggi economici, le rispettive prestazioni sono legate da un vincolo d’interdipendenza, sinallagmatico, ragion per cui l’esecuzione d’una prestazione trova la propria remunerazione nell’esecuzione dell’altra.
Nella vendita la remunerazione della prestazione dell’acquirente, consistente nel versamento del prezzo, trova la propria remunerazione nell’esecuzione della controprestazione dell’alienante, consistente nella consegna della res acquistata.
Quello, sin qui tratteggiato, manca nelle liberalità, ove il sacrificio d’una parte non trova la propria remunerazione nell’esecuzione della prestazione della controparte. E ciò in quanto nelle liberalità lo spostamento di ricchezza avviene soltanto da un lato, e, cioè, quello del donante, in favore del donatario, il quale ultimo riceve una prestazione dal valore economico ovvero l’impegno ad eseguirla, espresso anche nei termini d’assunzione d’un’obbligazione, senza nulla corrispondere in cambio per il beneficio acquisito.
Intanto si può predicare la liberalità d’un atto, in quanto tramite esso si ha un immediato e concreto depauperamento patrimoniale con conseguente spostamento della ricchezza del donante in favore del donatario.
Potremmo cogliere la differenza concettuale che intercorre tra l’onerosità e la gratuità, sicché, se nella prima assistiamo ad una sorta d’equivalenza del valore economico delle contrapposte prestazioni, incentrata sul concetto sacrifico e vantaggio patrimoniale, nella seconda, invece, una parte esegue una prestazione il cui contenuto non assume la consistenza d’un interesse patrimoniale diretto ed immediato, ma, semmai, d’un interesse patrimoniale indirettamente collegato alla prestazione eseguita.
Il carattere della gratuità emerge ove il soggetto è chiamato ad eseguire una prestazione al cui sacrificio, tenendo presente il concetto sacrifico e vantaggio economico, giammai corrisponde un immediato vantaggio patrimoniale, bensì Indiretto. Il disponente esegue la prestazione senza ricevere, nell’immediatezza, quale controprestazione, alcun bene o servizio.
Nella liberalità, invece, la disposizione patrimoniale è, come sopra evidenziato, caratterizzato dall’immediato ed attuale depauperamento del disponente col l’intento d’arricchire la sfera patrimoniale del beneficiario.

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2. La donazione diretta

Cosicché, la liberalità si caratterizza per due elementi, e, cioè, lo spirito di liberalità, vale a dire che l’atto non è sorretto da alcun vantaggio patrimoniale, e l’immediato ed attuale depauperamento della sfera patrimoniale di colui che compie l’atto, che arricchisce, così, quella del beneficiario.
Tratteggiate le differenze salienti tra l’onerosità, la gratuità e la liberalità, possiamo spingerci ad affermare che la natura dell’atto è disegnato dall’interesse concreto perseguito dalle parti.
Ridonda, anche in questa sede, quel concetto della causa vista come l’interesse concreto perseguito dalle parti, la quale assume anche il ruolo qualificante dell’atto negoziale posto in essere dai contraenti, ora sussumibile in un archetipo tipico, ora in uno atipico, per via del disposto del secondo comma dell’art. 1322, C.c.
Nel contratto di vendita l’interesse concreto dalle parti è lo scambio della res contro prezzo, mentre, in un atto a titolo gratuito, v’è l’interesse concreto d’una parte ad eseguire la propria prestazione priva di contenuto patrimoniale senza ricevere un immediato ritorno economico, ed, ancora, nella liberalità, emerge, invece, l’interesse d’una parte d’arricchire la sfera patrimoniale d’un’altra.
Allorché l’atto compiuto non è giustificato dal fine patrimoniale, nel senso, cioè, che il disponente non si aspetta alcun vantaggio patrimoniale dall’esecuzione della sua prestazione, e lo spostamento di ricchezza è immediato e concreto, ecco che potremmo dire che ci troviamo al cospetto d’una liberalità.
La causa concreta qualifica l’atto ed è proprio l’unilaterale spostamento di ricchezza, sicché l’interesse concreto perseguito, che richiama l’interesse dell’ordinamento con l’imporre al disponente, a pena di nullità, la forma scritta dell’atto pubblico, ex art. 782, C.c., quasi a voler significare, a quest’ultimo, di prestar attenzione sul contenuto dell’atto che si accinge a compiere.
Tal spostamento di ricchezza, che può anche esprimersi con l’attribuzione d’un diritto ovvero con l’assunzione d’una obbligazione, può descriversi come un atto di donazione, atto di liberalità tipico, disciplinato dall’art. 769, C.c., a mente del quale “La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione”.

3. La donazione indiretta

La forma solenne dell’atto non è richiesta ove lo spirito di liberalità ed il depauperamento si palesano attenuati, dando luogo alle c.d. donazioni indirette ovvero liberalità non donative, regolamentate dall’art. 809, C.c., il quale stabilisce che “Le liberalità, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall’articolo 769, sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari…”.
Ci chiediamo, quindi, che cosa sono le donazioni indirette evocate dalla norma da ultimo citata.
Ebbene, tramite esse il donante persegue l’interesse concreto d’arricchire il donatario, ma non direttamente, tramite il contratto donativo, sibbene indirettamente. Per conseguire tal scopo, il donante utilizza l’archetipo d’uno schema negoziale, tipico, in quanto disciplinato dalla legge, onde conseguire lo scopo pratico avuto di mira, vale a dire l’arricchimento del donatario.
Il donante utilizza, indi, lo schema del contratto di vendita per arricchire il beneficiario, e la misura dell’arricchimento, in tal caso, sarà espressa dalla differenza tra il prezzo corrisposto ed il minore reale valore del bene.
La Suprema Corte rammenta che”…nel negotium mixtum cum donatione, la causa del contratto è onerosa, ma il negozio commutativo adottato, viene dai contraenti posto in essere p e r raggiungere in via indiretta, attraverso la voluta sproporzione delle prestazioni corrispettive, una finalità diversa ed ulteriore, rispetto a q u e l l a di scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello del contraente che riceve la prestazione di maggior valore, con ciò venendo il negozio posto i n essere a realizzare u n a donazione indiretta…”. (Cass. civ., Sez. II, Sent. n. 10614 del 23 maggio 2016).
L’acquisto d’un immobile con denaro corrisposto dal padre, delinea una donazione indiretta, ove è l’immobile intestato al figlio a rappresentare il bene oggetto d’una donazione indiretta, come tale soggetta a collazione ed all’azione di riduzione.
La Suprema Corte stabilisce che “…si ha donazione indiretta non già del denaro, ma dell’immobile, poiché, secondo la volontà del disponente, alla quale aderisce il donatario, di quest’ultimo bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario…”. (Cass. Civ., Sez. Un., N. 9282 del 5 agosto 1982; Idem, Sez. Un., N. 18725 del 27 luglio 2017).
Della materia in scrutinio, torna ad occuparsene la Suprema Corte con l’Ordinanza in rassegna n. 23036 del 2023, ove si risponde ad un interrogativo, e, cioè, se anche la rinuncia all’azione di riduzione, da parte d’un legittimario pretermesso, possa configurarsi come una donazione indiretta.
Al quesito posto, i Supremi Giudici rispondono positivamente, rettificando, così, la decisione dei precedenti giudizi.
Nel percorso motivazionale, la Corte dei Diritti evidenzia l’errore nel quale è incorso il giudice d’appello, il quale ha scrutinato la rinuncia all’azione di riduzione basandosi sui parametri della donazione diretta, la cui consumazione richiama la sacralità dell’atto formale a pena di nullità.
Di contro, gli Ermellini giungono ad affermare che anche la rinuncia all’esercizio dell’azione di riduzione, ex art. 554, C.c., può qualificarsi come donazione indiretta, se l’effetto sia quello di consolidare, in capo al beneficiario, in tal caso, la figlia, la proprietà del bene immobile donatogli in vita dal coniuge defunto del de cuius leso della sua quota legittima.
Sicché “…l’impoverimento non può essere inteso nella specie come trasferimento di un bene già facente parte del patrimonio del (…) dalla sua sfera patrimoniale a quella della di lui figlia, ma va considerato quale mancato consapevole esercizio – sorretto da intento liberale – della possibilità di arricchire il proprio patrimonio, in favore della parte che da tale azione ne sarebbe risultata impoverita…”. (Cass. civ., Sez. II, Ord. n. 23036 del 28 luglio 2023).
Rammentano, i Supremi Giudici, come l’effetto d’una donazione indiretta possa esser ben rappresentato dalla rinuncia d’un ereditando all’usufrutto, sicché prima della sua estinzione naturale, col l’effetto di consolidare, per l’appunto, in capo all’erede dell’immobile, la piena anticipata disponibilità dell’immobile donatogli.
Cosicché, “…la rinuncia all’usufrutto se ispirata da << animus donandi>>, è ben suscettibile di integrare una donazione indiretta a favore del nudo proprietario dei beni gravati dal diritto reale parziario rinunciato (…) che gli sarebbe stato sottratto se l’usufrutto fosse durato fino alla sua naturale scadenza…”. (Cass. civ., Sez. II, Sent. n. 13117 del 30 dicembre 1997).

4. Conclusioni

Tirando le file di questa breve riflessione, possiamo affermare come ormai sia pacifico in senso alla giurisprudenza di legittimità, discorrere di donazioni indirette ovvero liberalità atipiche.
E, tra esse, può ben ricomprendersi non soltanto la rinuncia espressa in vita dell’usufruttario, in favole del nudo proprietario, bensì anche la rinuncia all’azione di riduzione, ove l’effetto conseguente sia quello di arricchire, mediante il consolidamento, la sfera patrimoniale del donatario dell’acquisto della proprietà dell’immobile pervenutogli tramite un atto di donazione da parte del de cuius.

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Giovanni Stampone

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