La rinuncia all’azione di riduzione può diventare donazione indiretta?

Marco Alberi 26/09/23
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Con l’ordinanza 28 luglio 2023, n. 23036 la Corte di Cassazione ha stabilito, in tema di successioni, che la rinuncia del coniuge all’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima può configurare un arricchimento nel patrimonio della figlia beneficiata, nominata erede universale, tale da integrare gli estremi di una donazione indiretta se corra un nesso di causalità diretta tra donazione e arricchimento.
Per approfondimenti si consiglia: La divisione dei beni ereditari -Manuale per la pratica attuazione della normativa

Corte di Cassazione -sez. II civ.- ordinanza n. 23036 del 28 luglio 2023

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Indice

1. Fatti di causa


P.S., figlio naturale di P.B., conveniva avanti il Tribunale di Modica P.I.L., figlia legittima di B., proponendo azione di riduzione dell’atto di donazione del 20 aprile 1963 stipulato dal padre in favore della figlia, ai fini della reintegrazione della propria quota di legittima.
Con sentenza non definitiva n. 222/07 il Tribunale di Modica dichiarava aperta la successione di P.B. alla data del 3 luglio 2001 e dichiarava che andavano imputati alla massa ereditaria i beni oggetto dell’atto di donazione del 20 aprile 1963.
Con sentenza n. 97/11 il medesimo Tribunale dichiarava lesa la quota di riserva del legittimario P.S. per effetto della donazione sopraindicata, che riduceva per integrare la quota di riserva lesa.
Avverso tale sentenza ha proposto appello P.S., chiedendo di comprendere nell’asse ereditario del defunto padre beni ulteriori rispetto a quelli già considerati dal giudice di primo grado e chiedendo inoltre l’assegnazione di una quota pari alla metà dell’asse ereditario anziché quella di un terzo riconosciuta in sentenza.
Si costituiva in giudizio l’appellata, proponendo appello incidentale.
Con il primo motivo di appello P.S. censurava la sentenza gravata per non avere il giudice ritenuto che potesse configurare donazione indiretta in favore di P.I.L. la rinuncia fatta dal de cuius alla richiesta di riduzione delle disposizioni testamentarie della propria moglie in favore dell’appellata, nominata erede universale della propria madre con testamento che aveva totalmente pretermesso il marito.
Con sentenza n. 1088/2017 la Corte di appello di Catania dichiarava infondato tale motivo, per difetto dell’estremo del depauperamento in capo all’asserito donante. Accoglieva comunque parzialmente l’appello principale e quello incidentale, dichiarando lesa la quota di riserva del legittimario P.S., stabiliva il valore della massa ereditaria e il valore della quota spettante al medesimo e attribuiva a P.I.L. la proprietà di un appartamento sito in […], stabilendo i conguagli.
Avverso tale decisione P.S. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a un unico motivo.
Ha resistito con controricorso P.I.L..
La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, cassa con rinvio la sentenza impugnata.


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2. L’ordinanza


Il ricorrente denuncia, ex articolo 360 comma 1, n. 3 c.p.c., la falsa applicazione degli articoli 769 e 809 c.c., che ha indotto la Corte di appello di Catania a disconoscere il valore di donazione indiretta, soggetta alla riduzione per integrare la quota del legittimario, alla espressa rinuncia del de cuius P.B., legittimario pretermesso, alla richiesta di riduzione delle disposizioni testamentarie della propria moglie in favore della figlia nominata erede universale della propria madre.
La Corte distrettuale avrebbe dunque errato, secondo il ricorrente, nell’escludere la sussistenza, nella rinuncia in questione, della causa donandi.

La Suprema Corte ricorda a riguardo che “le donazioni indirette (o liberalità atipiche o non donative, secondo altra nomenclatura) sono contemplate dall’art. 809 c.c. come liberalità risultanti da atti diversi dalla donazione e sono menzionate dall’art. 737 c.c., che impone ai soggetti tenuti alla collazione di conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal de cuius per donazione “direttamente o indirettamente””.
Le donazioni indirette, seppur sottoposte alle norme di carattere sostanziale che regolano le donazioni, come recita l’articolo 809 c.c., si sottraggono al rigido formalismo del tipico atto di liberalità.
Per la loro validità è infatti sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’articolo 809 c.c., nello stabilire le disposizioni sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’articolo 769 c.c., non richiama l’articolo 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (si vedano sul punto Cass. n. 4550/1978; Cass., n. 5333/2004; Cass. n. 14197/2013).
Ricorda la Suprema Corte che “nella ricognizione delle ipotesi più significative che l’esperienza giurisprudenziale ha ricondotto all’ambito delle donazioni indirette operata da Cass. SS. UU. n. 18725/2017 viene annoverata anche la rinuncia ad un diritto”.
Più volte i giudici di legittimità hanno avuto modo di precisare che la rinuncia ad un diritto, se fatta al fine di avvantaggiare un terzo, “può comportare donazione indiretta (Cass. n. 9872/2000; n. 507/1967), purché sussista fra donazione e arricchimento un nesso di causalità diretta (Cass. n. 15666/2019; n. 1545/1974), ossia se l’arricchimento rientri nella normale sequenza causale originata dalla rinuncia.
Nel caso di specie, il de cuius, pretermesso dalla successione della propria moglie, che aveva nominato erede universale la figlia, aveva espressamente rinunciato all’esperimento dell’azione di riduzione per reintegra della propria quota ereditaria, non esercitando, così, un diritto potestativo liberamente disponibile che ha per effetto quello di verificare l’effettiva lesione della quota di legittima e, quindi, in caso di mancato esercizio, di rendere definitive le attribuzioni patrimoniali compiute dal de cuius.
Secondo la Corte di appello, invece, l’effetto diretto della rinuncia all’azione di riduzione “è stato esclusivamente quello di precludersi la possibilità di impugnare il testamento del proprio coniuge, non anche quello di incidere sulla consistenza del proprio patrimonio disponendone in favore della figlia”. Per la Corte territoriale, infatti, doveva escludersi che il de cuius abbia potuto donare alla figlia “beni dei quali non è mai stato proprietario”.
L’assunto, spiega la Suprema Corte, non è corretto, in quanto il giudice a quo ha usato come modello la donazione “diretta” e i suoi elementi costitutivi.
Per la configurazione di una donazione indiretta, con la quale si perviene al medesimo effetto di una donazione formale ma, per l’appunto, “indirettamente”, spiega la Suprema Corte, “l’impoverimento non può essere inteso come trasferimento di un bene già facente parte del patrimonio del de cuius dalla sua sfera patrimoniale a quella della di lui figlia, ma va considerato quale mancato consapevole esercizio – sorretto da intento liberale – della possibilità di arricchire il proprio patrimonio, in favore della parte che da tale azione ne sarebbe risultata impoverita”.
In conclusione, la Suprema Corte cassa la sentenza e rinvia alla stessa Corte di merito in diversa composizione, la quale dovrà tenere in mente il seguente principio di diritto: “La rinuncia del coniuge all’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima può comportare un arricchimento nel patrimonio della figlia beneficiata, nominata erede universale, tale da integrare gli estremi di una donazione indiretta, se corra un nesso di causalità diretta tra donazione e arricchimento”.

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Marco Alberi

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