La “circolazione” della prova scientifica

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Il legislatore italiano ha avuto cura di disciplinare l’acquisizione di verbali di prova di altri procedimenti, in cui viene garantito un contraddittorio sulla prova c.d. “allogena” [1].
Al di fuori dei casi previsti dall’art. 190 bis c.p.p., la garanzia della facoltà di rinnovazione probatoria presta il fianco, fin dove ancora possibile, ai recuperi dettati dal canone della “non dispersione della prova”[2].
Si tratta, peraltro, di risultato non del tutto immediato e scontato. La premessa storica da cui occorre muovere per introdurre la nuova fisionomia dell’art. 238 c.p.p. è rappresentata, indubbiamente, dalla c.d. “stagione inquisitoria” (1988-1992) quando, al fine di contrastare la criminalità organizzata, interventi legislativi e giurisprudenziali resero ben più larghe le maglie delle acquisizioni dichiarative raccolte in assenza delle garanzie proprie del contraddittorio.
La violazione del principio del contraddittorio venne ridimensionata, dapprima, con l’entrata in vigore della l. n. 267 del 1997 (normativa orientata quantomeno nell’ottica di un contraddittorio in senso soggettivo) e, successivamente, con l’entrata in vigore della l. n. 63 del 2001 (legge attuativa del “giusto processo”).

Indice

1. Esame e lettura di verbali di prove di altri procedimenti

Fatta questa opportuna premessa, anche in questo caso, al fine di garantire un’effettiva conoscenza probatoria, necessaria ai fini della decisione, gli atti presenti nel fascicolo per il dibattimento, sebbene conosciuti dal giudice, non sono immediatamente utilizzabili se prima non vengono acquisiti mediante lettura.
L’art. 511 bis c.p.p. rubricato “Lettura di verbali di prove di altri procedimenti” prevede che il giudice, anche d’ufficio, disponga la lettura dei verbali degli atti indicati nell’art. 238 c.p.p. richiamando e seguendo la stessa ratio dell’art. 511, comma 2, c.p.p. .
Il verbale di prova, infatti, viene introdotto nel fascicolo per il dibattimento in sede di richiesta di ammissione delle prova ex art. 493 c.p.p. (previa citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici ai sensi dell’art. 468, comma 4, c.p.p.) e successivamente ammesso ai sensi dell’art. 495 c.p.p. .
La possibilità di utilizzare, in dibattimento, prove o atti di un altro procedimento incontra, pertanto, un limite generale previsto dall’ art. 238, comma 5, c.p.p.[3]: le parti del procedimento ad quem hanno il diritto di ottenere l’esame della persona le cui dichiarazioni sono state acquisite a norma dei commi 1, 2, 2 bis e 4 dello stesso articolo.
Se l’esame ha luogo, quindi, la lettura dei verbali di dichiarazioni può avvenire soltanto dopo che la persona è stata esaminata. La disposizione di cui al comma 5, garantisce pienamente contraddittorio e immediatezza attraverso il diritto ad assumere la prova dichiarativa nel procedimento ad quem. È previsto, infatti, che “Salvo quanto previsto dall’articolo 190 bis, resta fermo il diritto delle parti di ottenere a norma dell’articolo 190 l’esame delle persone le cui dichiarazioni sono state acquisite a norma dei commi 1,2,2 bis e 4 del presente articolo”.
Se, viceversa, l’esame non ha luogo (ad esempio perché il testimone, il perito o il consulente tecnico è irreperibile) si può procedere alla lettura nei casi previsti dallo stesso art. 238 c.p.p. .
A proposito della disposizione di cui all’art. 511 bis c.p.p., in tema di perizia, una parte della dottrina[4] ha osservato che, quest’ultimo articolo, non richiamando tutte le regole sulla lettura di cui all’art. 511 c.p.p., lascerebbe incerta la sorte degli altri commi. Nello specifico, è stato opportunamente evidenziato che, le garanzie della perizia non dovrebbero diminuire a seguito della mera trasmigrazione del verbale da un procedimento all’altro.
 
1.2.  Un orientamento (apparentemente) garantista
La soluzione negativa (da ritenersi verosimilmente superata) è parsa inevitabile  in base a quanto previsto dalla sentenza n. 198 del 1994 della Corte costituzionale secondo la quale, il mancato richiamo all’art. 511, comma 3, c.p.p. indicava la volontà del legislatore di riservare alla perizia minori garanzie rispetto a quelle previste per le dichiarazioni.
Stando poi alle previsioni contenute nell’art. 238 commi 1 e 2, c.p.p. sono ammesse le acquisizioni, rispettivamente, dei verbali di prova di altro procedimento quando si tratta di prove assunte in sede di incidente probatorio o in dibattimento e dei verbali di prove assunte in un giudizio civile definito con sentenza che abbia acquistato autorità di cosa giudicata.
Nel pieno rispetto del principio del contraddittorio venne, inoltre, introdotto (dalla l. n. 267 del 1997) e successivamente modificato (dalla l. n. 63 del 2001) il comma 2 bis laddove è disposto che “Nei casi previsti dai commi 1 e 2, i verbali di dichiarazioni possono essere utilizzati contro l’imputato soltanto se il suo difensore ha partecipato all’assunzione della prova ovvero se nei suoi confronti fa stato[5] la sentenza civile”.
La novità sta nell’aver richiesto espressamente la partecipazione del difensore (nel procedimento a quo) nei casi in cui si tratti di verbali di dichiarazioni che, nel procedimento ad quem, verrebbero, eventualmente, utilizzate contro l’imputato.
L’aspetto appena delineato ha aperto la strada ad ulteriori questioni esegetiche.
Secondo un primo indirizzo (in senso restrittivo rispetto alla garanzia partecipativa del difensore) la suprema Corte ha stabilito che “sono legittimamente utilizzabili in giudizio gli elaborati peritali formati in altro procedimento penale trattandosi di mezzo di prova sottratto ai divieto di cui all’art. 238, comma 2, bis c.p.p. concernente i verbali di dichiarazioni di prove di altro procedimento penale ai quali non può essere ricondotta la perizia[6].
Tra le altre questioni, è opportuno ricordare poi quella concernente la controversa natura propriamente dichiarativa della prova peritale assunta in contraddittorio tra le parti, in difetto della quale, la garanzia di cui al comma 2 bis, non opererebbe per la prova tecnico-scientifica.
Negli anni, l’impatto devastante circa l’utilizzabilità della perizia assunta in incidente probatorio o in dibattimento nel procedimento a quo, si è limitato di fronte ai principi costituzionali, nei termini a suo tempo espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 198 del 1994, con la quale fu rilevato che l’ammissione avrebbe potuto reputarsi consentita solo a condizione che, i soggetti nei confronti dei quali la prova avrebbe dovuto essere utilizzata, non fossero ancora stati raggiunti da indizi di reità, alla luce della speculare analisi di cui all’art. 403 c.p.p. effettuata dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 1994.
Lo stesso art. 403 c.p.p. ha contribuito a restringere l’ambito di utilizzabilità a seguito dell’introduzione, con la l. n. 267 del 1997, del comma 1 bis il quale stabilisce che le prove non siano utilizzabili nei confronti dell’imputato raggiunto da indizi di reità, solo successivamente all’incidente probatorio, se il difensore non ha partecipato all’assunzione delle prove, salvo che i suddetti indizi siano emersi dopo che la ripetizione dell’atto sia divenuta impossibile.
Ebbene, anche volendo prescindere dal fatto che il comma 1 faccia riferimento a prove assunte in incidente probatorio o in dibattimento, gli Ermellini avuto modo di sottolineare che, laddove voglia ricondursi anche la perizia al novero dei verbali di dichiarazioni (raccolte in un altro procedimento), la stessa debba essere, comunque, valutata in ordine all’intero sviluppo della fase propriamente peritale comprensiva anche della redazione dell’elaborato: alla stregua di quanto appena evidenziato, “non potendosi ritenere sufficiente la mera partecipazione del difensore all’esame orale del perito, non preceduto dalla garanzia del contraddittorio sulle modalità di espletamento dell’indagine, deve concludersi che non ricorra il presupposto della partecipazione del difensore all’intera fase di assunzione della prova[7].

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2. La prova tecnico-scientifica: la svolta giurisprudenziale

Va da sé che, nonostante alcuni orientamenti in favore di un cambiamento maggiormente garantista, attualmente non operi (in tema di prova tecnico-scientifica) il comma 2 bis né il comma 5 dell’art. 238 c.p.p. Tuttavia, con la sentenza “Pavan” [8], la Corte di cassazione ha preso le distanze da quell’orientamento restrittivo in base al quale, perizia e consulenza tecnica venivano (vengono) considerate prove non dichiarative.
La sentenza in oggetto, pertanto, nella parte in cui stabilisce che l’apporto probatorio (veicolato attraverso il linguaggio verbale) fornito dagli esperti escussi in dibattimento rientri nel perimetro concettuale delle prove dichiarative, apre la strada ad un’interpretazione estensiva (nonché ad un auspicabile intervento di riforma) anche in tema di perizia e consulenza tecnica, della garanzia prevista dall’art. 238, comma 2 bis, c.p.p. .

3. Circolazione della prova ed atti unilaterali

Per ragioni di completezza argomentativa, è doveroso sottolineare che, quanto fin ora rilevato, a proposito delle acquisizioni dei verbali di prova in senso stretto, non vale per gli atti unilaterali (ad esempio i verbali di dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari) allocati nel fascicolo del pubblico ministero ed utilizzabili, invece, per le letture ai sensi degli artt. 512 c.p.p. e 511 bis c.p.p. ovvero per le contestazioni.
L’art. 238, comma 3, c.p.p., modificato dalla l. n. 63 del 2001, dispone l’acquisizione nel procedimento ad quem, della documentazione di atti che non sono ripetibili per circostanze sopravvenute ed imprevedibili.
Nella formulazione originaria, il riferimento era agli “atti non ripetibili” tout court. Si generava, in tal modo, un paradosso: l’atto che, per un imputato nel procedimento a quo, non poteva essere utilizzato per circostanze sopravvenute ma prevedibili, nel procedimento ad quem, si rendeva possibile la trasmigrazione di quel determinato verbale divenuto irripetibile per circostanze sopravvenute sebbene prevedibili.
Al di fuori dai casi previsti dai commi 1, 2, 2 bis e 3, l’art. 238 c.p.p. dispone, poi, al comma 4, che i verbali di dichiarazioni rese unilateralmente (in assenza di un confronto dialettico tra le parti) possono essere utilizzati in dibattimento nei confronti dell’imputato previo consenso da parte dello stesso. Tuttavia, in mancanza di consenso, quei verbali possono essere utilizzati nei limiti della disciplina delle contestazioni previste dagli artt. 500 e 503 c.p.p.[9].

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  1. [1]

    Così, G. GIOSTRA, Quale contraddittorio dopo la sentenza 391/1988 della Corte Costituzionale, in Quest. Giust., 1999.

  2. [2]

    T. RAFARACI, Le specifiche dinamiche probatorie, in AA.VV., Le erosioni silenziose del contraddittorio, a cura di D. Negri – R. Orlandi, Torino, Giappichelli, 2017, p. 53.

  3. [3]

    L’ultimo comma dell’art. 238 c.p.p. è stato oggetto di una pronuncia della Corte di cassazione la quale ha statuito che “In caso di dichiarazioni rese in altro procedimento ex art. 238 c.p.p., comma 5, c.p.p., ovvero assunte da giudice in diversa composizione, nonché in incidente probatorio disposto nello stesso procedimento, la richiesta delle parti di ripetere l’esame deve essere valutata dal giudice che può denegarla per manifesta superfluità della rinnovazione”, Cass., Sez. V, 24 novembre 2020, Costantino.

  4. [4]

    M.F. GRIFANTINI, Utilizzabilità in dibattimento degli atti proveniente dalle fasi anteriori, in AA.VV., La prova nel dibattimento penale, 4a ed., 2010, Torino, Giappichelli.

  5. [5]

    A. SCELLA, Tutela del contraddittorio e utilizzazione di prova formate in altri procedimenti, in AA. VV., in Il giusto processo tra contraddittorio e diritto al silenzio, a cura di R. E. Kostoris, Torino, Giappichelli, 2002., secondo questo autore, il fatto che la sentenza civile “faccia stato” nei confronti dell’imputato non offre necessariamente una garanzia derivante dalla partecipazione dell’imputato alla formazione della prova (destinata a confluire nel procedimento ad quem). Qualora, infatti, fosse erede o avente causa di una persona che è stata parte del giudizio civile, dovrà subire le risultanze di una prova alla cui formazione non ha potuto partecipare.

  6. [6]

    Cass., Sez. V, 20 settembre 2016, C.P.

  7. [7]

    Cass. Sez. VI, 6 dicembre 2017, Totta.

  8. [8]

    Cass., Sez. un., 28 gennaio 2019, Pavan.

  9. [9]

    G. CAVALLI, La chiamata in correità, Milano, Giuffrè, 2006.

Francesca Carrozzo

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