La Cassazione precisa i rapporti fra truffa sul web e indebito utilizzo di carte di credito

Redazione 13/12/11
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di Lucia Nacciarone

La sentenza n. 45946 del 12 dicembre 2011 arriva a definire una vicenda che ha visto condannare a 5 anni di reclusione e a multa l’imputato per una serie di falsi, truffe, utilizzo illecito di documenti che abilitano al prelievo di denaro.

Tali reati erano stati consumati sul web, utilizzando il sistema operativo internet, per simulare operazioni di vendita di prodotti a prezzo vantaggioso, ma volte, in realtà, solo ad acquisire il denaro dei clienti.

Fra i vari motivi che il ricorrente ha dedotto, figura quello relativo al mancato guadagno: in altre parole, l’imputato non aveva tratto alcun beneficio dall’utilizzo delle carte di credito altrui.

Ma la Cassazione ha confermato la condanna e condannato il ricorrente alle spese processuali, uniformandosi al proprio orientamento maggioritario, secondo cui l’indebita utilizzazione, a fini di profitto, della carta di credito o del documento analogo, da parte di chi non ne sia titolare, integra il reato di cui all’art. 55 del D.Lgs. 231/2007, indipendentemente dal conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine.

Inoltre, alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite, il reato di truffa non è assorbito in quello di indebita utilizzazione, a fine di profitto proprio o altrui, da parte di chi non ne sia titolare, di carte di credito o analoghi strumenti di prelievo o pagamento, se la condotta incriminata non si esaurisca nel mero utilizzo ma sia connotata, come nel caso di specie, da un quid pluris, ossia dall’artifizio consistente nel carpire ed utilizzare, invito domino, il codice alfanumerico.  

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