Biancamaria Consales
Così ha stabilito la Corte di cassazione, con sentenza n. 30790 del 30 dicembre 2011, nel pronunciarsi in merito al ricorso di uno psicologo cui l’Ordine professionale di appartenenza aveva respinto la domanda di iscrizione per carenza del requisito della condotta moralmente irreprensibile, stante la sussistenza a suo carico di più di 60 condanne penali nonché per l’esistenza di una condanna per l’esercizio abusivo della professione di psicologo.
Il provvedimento veniva impugnato dal ricorrente, il quale ribadiva l’intervenuta riabilitazione penale e conseguentemente la delibera annullata dal Tribunale, che dichiarava, piuttosto, il diritto del ricorrente all’iscrizione. Avverso tale decisione, tuttavia, veniva proposto reclamo dall’Ordine professionale, accolto dalla Corte di appello.
La Suprema Corte, cui il ricorrente si è rivolto, ha confermato quanto deciso nel precedente grado di giudizio, affermando che il requisito della buona condotta per l’iscrizione a qualsiasi albo professionale deve ritenersi, al di là delle specifiche previsioni nei singoli albi, un ineludibile principio di carattere generale. Vige, inoltre, nel nostro ordinamento dal punto di vista civilistico, una clausola generale di correttezza rinvenibile nell’art. 1175 del codice civile e, da un punto di vista ancora più ampio, nella portata della nostra Carta costituente fondata, tra l’altro, sul principio di solidarietà ex art. 2 della Costituzione. “Ciò che rileva agli effetti della valutazione dei requisiti per l’iscrizione all’albo – precisano gli Ermellini – sono i fatti per cui è intervenuta la condanna in sede penale, considerati agli effetti dell’esercizio della professione ed al fine di escuterne la rilevanza a tali fini non è di per sé dirimente il requisito, pur richiesto dalla legge professionale, dell’intervenuta riabilitazione”. Di conseguenza, priva di rilevanza è risultata l’eccezione avanzata dal ricorrente sul passaggio in giudicato della sentenza penale: risponde a principi di logica ritenere non sussistente la buona condotta sulla base di parametri penalmente rilevanti (che hanno indotto il ricorrente a patteggiare la pena), prescindendo dal requisito formale di una sentenza definitiva.
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