L’evoluzione del diritto amministrativo europeo e la conseguente unificazione della disciplina amministrativa dei singoli Stati. Verso un diritto amministrativo globale

Sgueo Gianluca 14/12/06
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1. L’ordinamento comunitario e gli ordinamenti nazionali. La progressiva emersione di un’amministrazione sovranazionale ed i riflessi sul procedimento amministrativo – 2.1.1 L’amministrazione sovranazionale ed il procedimento amministrativo che la caratterizza: i principi comuni – 2.1.2 I principi in materia di organizzazione – 2.2.1 L’integrazione tra strutture procedimentali nazionali e comunitarie: l’esecuzione indiretta delle politiche comunitarie – 2.2.2 L’esecuzione diretta e l’incidenza sulle posizioni giuridiche soggettive dei destinatari – 2.2.3 Un ulteriore esempio di integrazione procedimentale: la coamministrazione delle politiche comunitarie – 3. I limiti della convergenza e l’esigenza di codificazione – 4. Il più vasto fenomeno della globalizzazione degli ordinamenti e l’influenza esercitata sull’integrazione
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 1. L’ordinamento comunitario e gli ordinamenti nazionali. La progressiva emersione di un’amministrazione sovranazionale ed i riflessi sul procedimento amministrativo

Per comprendere nella pienezza del suo significato il lungo percorso evolutivo che ha caratterizzato i rapporti tra ordinamento comunitario ed ordinamenti nazionali è necessario offrire una panoramica storica che ne inscriva i progressi entro i margini di una parabola evolutiva[1].
Tale necessarietà è presto spiegata. Solo un profilo storico, pur sommario, consente di comprendere le ragioni che sono alla base dell’influenza del diritto comunitario su quelli nazionali. Permette, in secondo luogo, di individuare le modalità attraverso le quali i procedimenti amministrativi dei singoli Stati europei sono giunti a confrontarsi, assimilandosi o mantenendo inalterate le rispettive peculiarità. Legittima, infine, una verifica pratica di queste conclusioni attraverso lo studio di alcuni istituti che configurano il procedimento amministrativo nei principali Paesi europei.
Ciò premesso, questa indagine comparativa prenderà le mosse dal Trattato di Roma[2] del 1957. Un documento fondamentale perché contenente un nucleo di presupposti operativi che la successiva interpretazione ed applicazione avrebbero votato all’integrazione[3]. Ma che, in prima battuta, vide prevalere nettamente una logica separatista tra le diverse sfere decisionali: quella comunitaria e quelle nazionali.
È possibile ottenere una conferma in tal senso se si analizza la struttura organizzativa istituzionale predisposta dal Trattato[4]. A fronte di una Comunità deputata all’esercizio di potere prevalentemente legislativo, sta l’affidamento agli Stati membri del ruolo di attuatori in funzione decentrata. Questi ultimi, detenendo il potere esecutivo, mantengono in capo a sè anche la disciplina del procedimento amministrativo ad esso legato. Di conseguenza, generano immobilità nelle singole discipline procedimentali amministrative, ciascuna regolata diversamente, in ragione delle diverse tradizioni giuridiche, poco propense ad un confronto con quelle degli altri Paesi della Comunità.
Questa regola operativa, quella cioè dell’esecuzione indiretta delle politiche comunitarie, rispecchiava la volontà dei governi nazionali di ammettere un ordinamento sovranazionale forte, ma che fosse mantenuto sotto controllo[5]. Prevalse, in altre parole, una concezione operativa del diritto amministrativo fortemente legata alla sua connotazione nazionalistica, incline, si è detto[6], a segnare invalicabili spazi di identità dei singoli Stati.
Quali allora, in questa fase storica, le connotazioni differenziali tra i singoli Stati a livello di procedimento amministrativo? Operando una ricostruzione di massima, la dottrina comparativista[7] ha posto l’accento in particolare sulla diversità delle politiche di riforma operate dai governi nazionali. La più rilevante divergenza sussiste tra i Paesi dell’Europa continentale ed il Regno Unito. Mentre in quest’ultimo caso, infatti, il fattore più significativo, operante già a partire dai tardi anni sessanta, è l’impostazione managerialistica del procedimento amministrativo[8], nei Paesi dell’Europa continentale resta forte l’ancoraggio alla concezione tradizionale di matrice weberiana[9]. La strutturazione dell’amministrazione – ed il procedimento amministrativo che questa pone in essere – sono cioè impostati su rigide basi gerarchiche e sequenziali. La partecipazione procedimentale è ancora in fase embrionale[10] perché è assente una disciplina legislativa organica del procedimento, per lo più affidata all’elaborazione giurisprudenziale. Mancano, di conseguenza, istituti fondamentali quali l’accesso o la conferenza di servizi.
Questa prima fase storica venne a concludersi rapidamente, aprendone una nuova. L’impegno dei governi ad agire per il soddisfacimento di reciproci interessi e, di conseguenza, l’implicita accettazione del legame che nasceva dagli obblighi assunti, fortificò il doveroso rispetto di principi comuni. Contribuì, inoltre, a definire i presupposti di un rapporto improntato alla leale cooperazione – e pertanto votato all’integrazione – operando un graduale superamente dell’impostazione tradizionale.
Due in particolare sono i fenomeni a livello europeo che, a partire dagli anni sessanta, opereranno una trasformazione significativa in tal senso: la rapida “amministrativizzazione”[11] della Commissione e lo sviluppo del fenomeno dei Comitati[12]. Questi ultimi in particolare, essendo stati creati per far fronte all’eccessivo carico di lavoro in alcuni settori, come quello dell’agricoltura, si compongono di rappresentanti delle amministrazioni nazionali ma vengono generalmente presieduti da un funzionario della Commissione. Logica conseguenza sarà l’istituzionalizzazione dei rapporti tra amministrazioni interne e sovranazionali nella fase di preparazione della normativa secondaria o di misure amministrative. L’interazione tra funzionari nazionali ed europei produrrà un meccanismo di mutuo apprendimento, atto a favorire, nel medio termine, non solo un confronto tra pratiche amministrative, ma anche e soprattutto l’instaurazione di un dialogo funzionale all’ideazione di pratiche operative più opportune al raggiungimento di risultato.
È soprattutto all’interno dei comitati che i rappresentanti dei governi nazionali gestiscono il proprio bagaglio di esperienza sul procedimento amministrativo, “costretti” a confrontarlo con quella degli altri Stati. La necessità di agire per il bene dell’intera comunità impone la logica del confronto nell’assunzione delle decisioni.
Il risultato è duplice: anzitutto, come si è detto, permette di operare un raffronto fino a quel momento trascurato dalla totalità degli Stati, gelosi delle proprie culture giuridiche e dei propri procedimenti. In secondo luogo, da quel raffronto, genera il primo passo verso l’uniformità amministrativa. Dapprima nei principi, successivamente nella tutela delle posizioni giuridiche fondamentali, infine nella struttura dei singoli istituti.
L’ultima e più intensa fase di sviluppo dell’integrazione è quella che inizia negli anni ottanta ed arriva ai giorni nostri. A livello europeo, i poteri pubblici sovranazionali assumono compiti di gestione che svolgeranno direttamente o, più spesso, congiuntamente con le amministrazioni nazionali[13]. Detta circostanza impone il definitivo abbandono dell’impostazione tradizionale e, soprattutto, comporta la necessità per gli interpreti di interrogarsi sul grado di interazione raggiunto dalle procedure amministrative nazionali e comunitarie, favorendo la nascita di studi espressamente rivolti a questa materia[14].
Venuto definitivamente meno l’originario modello separatista, figlio della preoccupazione dei governi nazionali di cedere significative porzioni di sovranità, si accresce inoltre lo sviluppo di una struttura amministrativa sovra-nazionale. La sua peculiarità sarà quella di far propri, unificandoli, i principi procedimentali delle singole amministrazioni nazionali e favorire, da ultimo, la creazione di un procedimento amministrativo europeo.
Lo studio e l’analisi di questo, il procedimento unificato, attraverso quelli, i principi e le modalità concrete di svolgimento, costituisce pertanto il successivo passaggio della ricerca. La migliore comprensione delle tecniche operative consentirà di evidenziare le peculiarità, i pregi e le mancanze dell’integrazione procedimentale[15]. Seguendo un ideale percorso che porterà a trattare le singole circostanze in cui la procedimentalizzazione amministrativa europea ha inciso sui singoli Stati. Inscrivendo, infine, l’intera esperienza nei più ampi margini della globalizzazione del diritto amministrativo.
2.1.1 L’amministrazione sovranazionale ed il procedimento amministrativo che la caratterizza: i principi comuni
Una prima ed importante conseguenza dell’integrazione è dunque la configurazione di un nucleo di principi comuni al procedimento amministrativo che, al medesimo tempo, lo fondano e ne indirizzano l’evoluzione.
L’obiettivo di questa parte della trattazione è quello di suddividere l’insieme di questi principi secondo la categoria concettuale di appartenenza. Studiarne l’evoluzione nelle procedure amministrative comunitarie al fine di ricavarne la collocazione nei singoli procedimenti amministrativi nazionali. Operarne, in conclusione, una disamina comparativa sugli aspetti similari e differenziali a livello dei singoli procedimenti nazionali.
Si possono individuare due principali gruppi di principi procedimentali. Il primo comprende quelli che operano in riferimento all’esercizio congiunto delle funzioni comunitarie caratterizzati dalla comunione di funzioni. Il secondo gruppo attiene invece l’organizzazione amministrativa comunitaria e, più specificamente, la disciplina delle organizzazioni comuni alle autorità sovranazionali ed interne[16]. Entrambi, con modalità e logiche differenti, contribuiscono allo sviluppo di un sistema integrato tra procedure amministrative.
Nella prima categoria operano quei principi che più da vicino informano l’esercizio dell’azione amministrativa[17], mutuabili sia dalle norme del Trattato sia dall’elaborazione giurisprudenziale generata dalla Corte di giustizia. Dunque, in particolare i principi di buona amministrazione procedurale, in cui si comprendono quattro diversi istituti: il diritto di accesso ai documenti dei poteri pubblici comunitari (originariamente oggetto di un apposito Codice di condotta di Commissione e Consiglio e successivamente costituzionalizzato attraverso l’inserimento nel Trattato comunitario). Il diritto ad essere ascoltati (contemplato dalla normativa di settore)[18]. L’obbligo di motivazione (disciplinato dal Trattato comunitario all’articolo 253 ed ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia[19]) ed il duty of care, ovvero l’obbligo di svolgere un’istruttoria imparziale e diligente che raccolga e valuti tutte le circostanze fattuali e giuridiche pertinenti[20].
Rimandando l’analisi comparativa dei singoli istituti che ne derivano al secondo capitolo, è opportuno verificare in che modo e con quale intensità questi principi hanno trovato accoglimento presso i procedimenti amministrativi nazionali. La buona amministrazione procedurale ha costituito infatti un tema portante in quei Paesi, come l’Italia, che sono giunti relativamente tardi alla definizione legislativa del procedimento. In questo senso l’integrazione europea ha giocato un ruolo fondamentale, perché ha influenzato profondamente le scelte del legislatore. Ha, inoltre, determinato un progressivo e costante assorbimento dei nuovi principi da parte della giurisprudenza prima, e del legislatore poi.
Diversamente, in Paesi come la Germania, l’influenza comunitaria è stata meno rilevante per due ragioni. Anzitutto per la strutturazione federale che residua rilevanti – ma limitati – poteri al Bund, il governo centrale. Ma soprattutto perché qui la forte concezione dello Stato di diritto ha portato a considerare il procedimento amministrativo in funzione servente rispetto alla legge. Il risultato favorevole al miglioramento delle procedure è stato quindi il medesimo, benchè perseguito lungo direttrici diverse[21].
Ancor diversa è l’esperienza del Regno Unito, pervenuto all’enucleazione dei principi forti della buona amministrazione procedurale all’interno del revisionismo in chiave manageriale intrapreso dal potere politico. L’integrazione amministrativa europea ha giocato quindi un ruolo importante, ma non esclusivo, perché soprattutto la partecipazione dei privati costituiva l’oggetto dei programmi governativi antecedenti allo sviluppo comunitario[22].

2.1.2 I principi in materia di organizzazione

Alla seconda categoria appartengono invece, come si è detto, quei principi che hanno un riflesso in materia di organizzazione. Tra tutti, massima rilevanza merita anzitutto il principio di legalità[23], il cui fondamento normativo suole rinvenirsi nell’articolo 164 del Trattato istitutivo, laddove affida alla Corte di giustizia il compito di “assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione”.
L’imposizione di un’azione amministrativa conforme al dettato del legislatore ha trovato basi solide nei singoli Stati, pur se in ragione di motivazioni diverse. In Paesi come la Germania, il procedimento amministrativo ha rappresentato uno sviluppo dello Stato di diritto, “nella misura in cui esso attribuisce una dimensione procedimentale al principio di legalità della pubblica amministrazione”[24]. Altrove, ad esempio in Francia, l’applicazione del principio è stata favorita in particolare dalla giurisprudenza. Questa ha saputo vincolare il potere esecutivo al rispetto del dettame democratico, influenzando in modo significativo tutti gli altri governi, tra cui quello italiano. Con la significativa differenza che questi hanno per lo più recepito il principio di legalità in leggi generali sul procedimento mentre la Francia ha lasciato che fosse il giudice a garantirne l’applicazione.
Poi, il principio di imparzialità, che sancisce la separazione e la neutralità dell’amministrazione rispetto alla politica[25], che è venuto acquisendo un’importanza crescente negli ultimi anni, in ragione del processo di integrazione. Infatti, garantendo la separazione attraverso l’imposizione del rispetto di criteri di massima precedentemente fissati, o già seguiti in casi analoghi, conforma tra loro i suddetti principi e l’operato amministrativo della Comunità. In tal senso è stato fondamentale il contributo di Paesi come la Spagna che, forti di un’antica tradizione procedimentale alle spalle, da sempre individuano nell’operato imparziale una garanzia essenziale del procedimento amministrativo. Nel Regno Unito invece, il rispetto dell’imparzialità è venuto costituendosi nel tempo attraverso la massima informazione per i cittadini. La politica dei rights to know infatti ha costituito il miglior vincolo per i governi a non esercitare indebite ingerenze sulla sfera decisionale.
Un terzo principio, di proporzionalità, è derivato direttamente dall’interpretazione dottrinaria tedesca, in virtù del quale le istituzioni comunitarie non possono imporre obblighi e restrizioni agli amministrati in misura superiore a quella strettamente necessaria a quella finalizzata alla realizzazione degli interessi pubblici loro affidati[26]. Anche qui si possono svolgere due considerazioni. Il fatto anzitutto che questo costituisca un esempio evidente del recepimento comunitario dei principi nazionali. Al tempo stesso, con riguardo ai singoli procedimenti amministrativi, le diverse modalità con le quali è stato disciplinato. In Italia ad esempio la proporzionalità si è legata all’esercizio discrezionale di potere amministrativo, fornendo al giudice un metro di valutazione per l’eccesso di potere.
Infine, il principio di sussidiarietà (enunciato dall’articolo B del Trattato sull’Unione) che, imponendo l’intervento di quel potere in grado di assicurare la realizzazione più efficace degli obiettivi comuni, inevitabilmente incide sulla ripartizione dei compiti tra diversi livelli di amministrazione e sulle relative modalità di svolgimento[27]. Principio questo che gli Stati europei a struttura fortemente decentrata come la Germania hanno recepito e rielaborato rapidamente. Nel caso dell’Inghilterra poi il principio ha trovato la sua massima attuazione, per il tramite del processo di agencification, volto ad instaurare centri operativi vicini all’utenza e con competenze tecniche specifiche. Al contrario, l’Italia ha intrapreso un lungo processo di riforma costituzionale che è giunto, negli anni, ad attribuire una rilevanza maggiore ai poteri locali.
Va aggiunto che il principio, nella sua accezione “orizzontale”, ha operato nel senso di una delimitazione della sfera pubblicistica a fronte di quella privata. Come osserva la dottrina[28], ciò è alla base delle tendenze nazionali alla progressiva liberalizzazione di attività soggette ad un forte condizionamento pubblico, nonché alle tendenze alla semplificazione dei procedimenti amministrativi.
Il nucleo dei principi sinteticamente evidenziato permette di giungere ad una prima, importante, conclusione: il diritto amministrativo comunitario e quello dei singoli Stati procedono di pari passo, perché operano sulla base di principi comuni. Essi cioè determinano una “convergenza verticale”[29] tra standards procedurali che accorciano le distanze tra Commissione e cittadini, avvicinando l’una agli altri, e viceversa..

2.2.1 L’integrazione tra strutture procedimentali nazionali e comunitarie: l’esecuzione indiretta delle politiche comunitarie

Evidenziati i principi, la ricerca si sofferma sui tre principali modelli procedimentali: l’esecuzione diretta, quella indiretta e la coamministrazione. Ad interessare non sono tanto gli aspetti legati allo svolgimento concreto di queste, quanto piuttosto le conseguenze che producono sul fenomeno in esame: l’integrazione tra procedure amministrative[30].
L’esecuzione indiretta[31] comporta l’attuazione delle norme e delle politiche comunitarie in ragione della quale alla Comunità spetta il compito di ravvicinare le disposizioni (legislative, regolamentari ed amministrative) vigenti negli Stati membri ed a questi ultimi di dare esecuzione del diritto europeo nei rispettivi ordinamenti.
Le pubbliche amministrazioni nazionali operano in qualità di veri e propri uffici di attuazione decentralizzata del diritto comunitario, finendo per essere soggette tanto alle disposizioni del diritto amministrativo interno quanto a quelle comunitarie[32].
In questo caso l’influenza sui modelli procedimentali amministrativi è uniforme per quanto attiene l’intensità perché la procedura seguita è quella comunitaria e non nazionale. Al tempo stesso, la differenza opera con riferimento al diverso grado di assorbimento dei procedimenti: più rapido ma meno stabile nei Paesi che affidano alla giurisprudenza la ricezione dei principi (es. Francia). Al contrario, più stabile ma meno rapido nei Paesi che disciplinano il procedimento amministrativo tramite la legge e dunque chiedono tempi burocratici più lunghi affinchè questa possa essere modificata ed adattata definitivamente al modello uniforme comunitario.
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2.2.2 L’esecuzione diretta e l’incidenza sulle posizioni giuridiche soggettive dei destinatari 

L’esecuzione diretta[33], da intendersi come attribuzione di rilevanti poteri di vigilanza e controllo alla Commissione, incidendo direttamente sul diritto dei singoli Stati e, di conseguenza, sulle posizioni giuridiche soggettive, opera un ravvicinamento tra distinte procedure amministrative.
Questa circostanza ha dato luogo ad un’ampia controversia di fronte al giudice comunitario, vertente in modo particolare sui diritti della difesa garantiti nei procedimenti amministrativi. Particolarmente significativa è, a titolo d’esempio, la vicenda del diritto ad accedere ai documenti amministrativi posseduti dagli uffici pubblici comunitari. In merito, una giurisprudenza costante della Corte di giustizia ha riconosciuto già a partire dagli anni sessanta l’accessibilità dei soggetti interessati alla documentazione, configurandola alla stregua di un diritto alla partecipazione nella formazione delle politiche decisionali[34]. Il diritto di accesso ovviamente è stato così recepito e potenziato in tutti gli ordinamenti nazionali. Si ricordano in particolare il caso italiano ed inglese che hanno legato all’accessibilità ai documenti in possesso dell’amministrazione una rivoluzione logistica nel modo di pensare l’azione amministrativa. In senso managerialistico il Regno Unito ed in ottica evoluzionistica l’Italia, preoccupata dalla necessità di implementare l’efficacia e l’efficienza.

2.2.3 Un ulteriore esempio di integrazione procedimentale: la coamministrazione delle politiche comunitarie

L’esecuzione diretta e quella indiretta non solo le uniche modalità gestorie delle decisioni amministrative comunitarie che confermano la tesi dell’integrazione operativa e procedurale[35].
È bene ricordare, infatti, che non solo il procedimento amministrativo europeo non si svolge quasi mai a livello sovranazionale, ma che sono oramai rare le ipotesi in cui i singoli Stati non prevedono l’innesto di fasi comunitarie nei rispettivi procedimenti[36].
Esiste dunque una terza, e significativa, ipotesi da considerare: quella della coamministrazione. Quell’ipotesi in cui cioè si prevedono procedimenti amministrativi composti[37], articolati lungo diverse fasi sia nazionali che comunitarie, cui accedono soggetti di natura diversa: la Commissione, i Comitati di settore ed ulteriori organismi di intervento[38].
Un’ipotesi nella quale è evidente che la scelta di una procedura uniforme risulta non solo auspicabile ma doverosa per garantire la più rapida conclusione e la efficiente ed efficace realizzazione satisfattiva dell’interesse coinvolto. Ciò, sebbene si ripresentino le stesse considerazioni problematiche già esposte sulla tutela degli interessati[39] con particolare riguardo alla tipologia di provvedimento da impugnare ed alla legittimazione a ricorrere. La comparazione tra i diversi procedimenti finisce evidenzia l’incapacità di questi di individuare soluzioni normative agevoli. Solamente la Francia, grazie al contributo esclusivo della giurisprudenza amministrativa, ha offerto un’azione rapida ed opportuna.

3. I limiti della convergenza e l’esigenza di codificazione

L’ultimo ordine di considerazioni consente di introdurre il discorso sui limiti della convergenza e, con esso, l’ultimo passaggio logico della ricerca. La problematica è duplice.
Non solo quella evidenziata, in ordine allla ricerca ed elaborazione di un procedimento amministrativo congiunto, cui si lega una diversa intensità nell’assimilazione dei principi che promanano dai singoli procedimenti. Ma anche una seconda situazione legata al concetto medesimo di integrazione procedimentale. Se infatti partiamo dall’assunto che l’unificazione avviene in seno ai procedimenti di cui s’è dato conto, e sulla scorta dei principi posti dai diversi ordinamenti nazionali, non è difficile immaginare come questa circostanza offra il fianco ad una critica difficilmente superabile. Presenta cioè il rischio di determinare l’assimilazione dei principi posti da quei Paesi che esercitano un’influenza socio-politico-economica maggiore di altri sullo scacchiere internazionale.
In altre parole, il paradosso – e dunque la sfida dell’integrazione – è dato dal fatto che all’aumentare dell’esigenza di dare peso ai principi unificati tra procedimenti si accompagna l’inevitabile differenza di trattamento che (alcuni di) questi ricevono a livello nazionale, in ragione delle forti asimmetrie tra diverse tradizioni giuridiche. Da qui la conseguenza paradossale di un’unificazione che accentua, anziché diminuirle, le differenze.
Una circostanza che solamente la febbrile attività della giurisprudenza comunitaria e nazionale ha evitato che potesse stravolgere i benefici effetti prodotti dall’unificazione amministrativa tutt’oggi in atto. La soluzione proposta da alcuni, criticata da altri[40], individua nella codificazione del procedimento amministrativo europeo una possibile soluzione al problema. Un importante passo in questo senso lo si è compiuto con l’emanazione di due documenti: la Carta dei diritti fondamentali anzitutto, proclamata a Nizza nei dicembre 2000, che nel Titolo V dedicato alla Cittadinanza e contenente quattro importanti previsioni. Il diritto di buona amministrazione[41] (nell’articolo 41); la disciplina del diritto d’accesso (all’articolo 42); la previsione, all’articolo 43, della figura del Mediatore europeo; infine, la configurazione di un diitto ad un ricorso effettivo, contemplata dall’articolo 47.
In secondo luogo, la Costituzione europea, che non si limita a riprendere il contenuto della Carta, ma interviene a sistemare varie questioni generali, tra le quali le competenze (che sono la base giuridica per il tema stesso del procedimento). Attraverso il riconoscimento del sistema delle competenze “si supera il principio dell’autonomia procedimentale degli Stati membri, e si dà un preciso fondamento legale ai procedimenti amministrativi europei nella sfera dell’Unione”[42].
Al di là delle perplessità riportate, non può dirsi che i limiti intrinseci contenuti nel Trattato di Roma siano stati definitivamente superati. La disciplina del procedimento amministrativo comunitario risulta tutt’oggi inidonea a fornire un quadro di riferimento adeguato e completo come quello approntato da molti Stati europei. La convergenza integrativa, da sola, non è sufficiente e si fa sempre più avvertita l’esigenza di codificazione. Da ciò, l’accresciuta importanza degli studi comparativi, che evidenzino i punti comuni ma, soprattutto, le divergenze che è necessario colmare. Che quindi superino le mancanze proprie dell’influenza comunitaria sull’unificazione dei procedimenti.

4. Il più vasto fenomeno della globalizzazione degli ordinamenti e l’influenza esercitata sull’integrazione

La prima parte di questa ricerca può dirsi conclusa. Si sono studiate in chiave comparativa le interconnessioni tra l’ordinamento comunitario e quelli nazionali ed i problemi che ingenerano. Alla seconda parte è affidata la trattazione dei singoli istituti, in particolare quelli che paiono più rilevanti ai fini della comparazione.
Un breve cenno va però speso nei confronti del più complesso fenomeno conosciuto come “globalizzazione”[43]. Ad esso si lega un peculiare sistema regolatorio, sorretto da proprie basi e fondato su propri principi, definito diritto amministrativo globale. Si tratta del diritto di un’organizzazione frammentaria, o meglio: a rete[44]. Di un diritto asimmetrico[45] perché non si presenta con la stessa intensità in tutte le regioni del globo. Di un diritto che delinea un ambito definito di compiti e funzioni tra Stati, organizzazioni sovranazionali, internazionali e transnazionali, che lo compongono. Che ha seguito, infine, un’evoluzione assimilabile a quella già trattata in proposito al diritto amministrativo comunitario[46]. Abbandonato cioè l’originario carattere della nazionalità, e delle peculiarità da esso derivanti[47], ha subìto un progressivo ma costante processo di europeizzazione ed internazionalizzazione. Costituendo, in altri termini, la base regolatoria di una complessa ed articolata serie di rapporti che hanno la loro sede nell’ambito sovra-nazionale, e che dunque necessitano di un proprio, distinto, diritto.
Un confronto tra procedimenti nazionali può allora essere letto ed interpretato anche in chiave globale. Perché l’ordinamento comunitario ne è parte, perché consta di organi e procedure globali atte a disciplinare i differenti settori[48]. Perché, inoltre, si fonda anch’esso su principi comuni, operando un costante ravvicinamento tra ordinamenti[49] e tra i rispettivi ordinamenti.
La ricerca di un ordinamento globale che sappia decontestualizzare il futuro della regolamentazione degli interessi, facendo però tesoro delle peculiarità dei singoli componenti – meglio: sfruttando e valorizzando quelle differenziazioni per giungere ad una forma di unificazione qualitativamente valevole ancor prima che quantitativamente strutturata – costituisce una sfida ed, al tempo stesso, un’opportunità che non può essere mancata. Solamente così i governi del XXI secolo sapranno dare una risposta pacifica alle principali divergenze che affliggono la “società internazionale”[50]. Solo in questo modo, si aggiunge, il diritto globale ed i procedimenti che lo compongono saranno latori di civiltà giuridica.
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[1] Cfr. Cassese, S., La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2002, pagg. 292: “…l’Unione è andata mutando nel mezzo secolo di vita. (…) Nel breve periodo di tempo, sotto il profilo del diritto amministrativo, essa ha avuto almeno tre ordinamenti diversi. Per cui chi sia convinto del valore esplicativo della storiografia, deve partire dalla descrizione di questi ordinamenti”.
Cfr. anche Cassese, S., L’età delle riforme amministrative, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pagg. 163-185, che traccia un profilo complessivo delle riforme subite dal diritto amministrativo, soffermandosi in particolare sulla “europeizzazione” delle amministrazioni pubbliche. Secondo l’autore, questa tendenza imposta dalla Comunità europea avrebbe prodotto, da un lato, l’adattamento interno delle amministrazioni nazionali al nuovo organismo sovranazionale e tuttavia, al tempo stesso, alla ricerca di idonei strumenti per influenzare le decisioni comunitarie.
[2] In merito, si confrontino le osservazioni svolte da Chiti, E., Franchini, C., L’integrazione amministrativa europea, Bologna, 2003, pag. 11 ss.
Significative osservazioni le svolge anche Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 403: “Il tema del procedimento amministrativo europeo è stato inizialmente poco considerato nel quadro giuridico della Comunità europea. Le ragioni della scarsa attenzione sono in parte le medesime che anche negli ordinamenti nazionali hanno a lungo posto in secondo piano il procedimento amministrativo; in altra parte sono connesse agli specifici tratti del sistema comunitario”.
Lo stesso autore giunge offre una panoramica storiografica particolareggiata, cui si rimanda per maggiori approfondimenti, in Chiti, M.P., Le forme di azione dell’amministrazione europea, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pagg. 55 ss.
In tema anche Franchini, C., I principi applicabili ai procedimenti, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pagg. 282 ss., ove sottolinea che: “lo stesso ordinamento della Comunità europea nasceva con caratteri che evidenziavano la limitata importanza da riconoscersi alla tematica del procedimento amministrativo”.
[3] Ammonisce tuttavia all’uso del termine Cassese, S., Il procedimento amministrativo europeo, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pag. 36: “Questa è diffusissima per indicare la congiunzione degli ordinamenti nazionali con quello sovranazionale in Europa. È, quindi, meglio usare un termine diverso per la parte amministrativa (…). Poi, il termine integrazione indica un risultato unitario, che è ben lungi dall’essere reale. La realtà è, invece, fatta di accomodamenti, giustapposizioni e sovrapposizioni, assemblaggi, combinazioni, aggiunte, inserimenti e, quindi, presenta caratteristiche meno organiche e unitarie di quelle indicate nel termine integrazione”.
L’autore torna sull’argomento in Cassese, S., Diritto amministrativo europeo e diritto amministrativo nazionale: signoria o integrazione?, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2004, V, pag. 1135-1141, in cui l’integrazione è definita alla stregua di un’alternativa semplificatrice “in quanto presenta come binario un sistema complesso di cooperazione, nascondendosi dietro l’endiadi una pluralità di modi di collegamento”.
[4] Il cui articolo 100 prevedeva che il Consiglio potesse (all’unanimità e su proposta della Commissione) emanare direttive preposte ad operare un ravvicinamento tra disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri, in funzione dell’instaurazione e funzionamento di un mercato comune.
[5] Si soffermano sulla questione Chiti, E., Franchini, C., L’integrazione amministrativa europea, Bologna, 2003, pag. 16: “Il principio di esecuzione indiretta non comporta alcun ridimensionamento del ruolo delle amministrazioni nazionali, la cui autonomia rispetto alle autorità sovranazionali nel processo di attuazione del diritto comunitrio è pienamente garantita”.
In merito, si veda anche Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 405 ss., che configura tre principali motivazioni a sostegno dell’impostazione restrittiva tradizionale: la configurazione del sistema comunitario quale ordinamento con fini particolari; la tendenziale indistinzione tra atti normativi ed amministrativi ed il generale modesto rilievo delle problematiche amministrative.
In termini più ampi definisce la questione Cassese, S., Diritto amministrativo europeo e diritto amministrativo nazionale: signoria o integrazione?, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2004, V, pag. 1135-1141, laddove sottolinea che i padri fondatori della comunità “si cullarono nell’idea che la Comunità fosse organismo di decisione, non di esecuzione, e potesse rimettere l’esecuzione agli Stati, che così conservavano l’ultima parola”.
[6] V. Cassese, S., Le trasformazioni del diritto amministrativo dal XIX al XXI secolo, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pag. 149: “Il primo carattere era quello della nazionalità. Il diritto amministrativo aveva un forte legame con lo Stato e questo con il territorio inteso come spazio dell’identità, per cui vi era interpenetrazione tra forza e territorio”.
[7] La produzione in materia è estremamente vasta ed articolata. Dovendo tuttavia concentrare l’attenzione sul confronto tra procedimenti, senza perdere di vista le ragioni strutturali che sono alla base delle principali divergenze (soprattutto nella prima fase) e punti di confronto (nella seconda fase, quella dell’integrazione), si è scelto di far riferimento a Gualmini, E., L’amministrazione nelle democrazie contemporanee, Bari, 2003. L’autrice offre infatti una panoramica complessiva sull’evoluzione subìta dalle strutture amministrative di cinque grandi democrazie contemporanee: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Spagna, Germania e Italia. Consente dunque di avere chiare le ragioni di fondo che sono alla base del processo di mutazione e, per certi versi, di integrazione. Nello specifico poi si sofferma sulla tematica delle procedure amministrative, offrendo tutte le considerazioni necessarie ad una migliore comprensione del discorso in oggetto: quello attento ad una logica comparativista. La gran parte delle osservazioni che verranno svolte in questa parte del testo sono dunque mutuate da questo prezioso testo, cui si rimanda per un approfondimento dei singoli argomenti.
[8] Risale al 1961 l’istituzione del Public Expenditure Survey Committee, ovvero il Comitato per il monitoraggio della spesa pubblica, con il compito di sorvegliare sull’andamento delle uscite dipartimentali nel breve e medio periodo. È invece del 1968 il Fulton report, che operava uno studio sistematico degli apparati pubblici, denunciandone la debolezza e proponendo, per la prima volta, l’introduzione dell’accountable managemen, ovvero il sistema di amministrazione resposanbile, mutuato dal settore privato. Infine, sul finire degli anni settanta, l’avvento al potere della Thatcher segnò il successo definitivo delle politiche manageriali, che influenzarono tutta la successiva produzione normativa in tema di procedimento amministrativo.
[9] Esula dalle possibilità di questa ricerca l’approfondimento dell’affascinante teoria weberiana. Si rimanda dunque alla lettura di Weber, M., Economia e società, per ogni ulteriore approfondimento.
[10] Basti, a titolo di esempio, il caso italiano. Fino al 1990, anno in cui il nostro Paese si doterà di una legge sul procedimento amministrativo, le poche garanzie procedimentali concesse agli interessati erano quelle che prevedeva la legge abolitrice del contenzioso amministrativo (legge n. 2248 del 1865, allegato e). Questa infatti, nell’abolire ogni forma di tutela giurisdizionale per l’interesse legittimo (successivamente ripristinata già a partire dal 1889, con l’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato) aveva previsto un dovere di motivazione in capo all’amministrazione, nonché la possibilità per gli interessati di presentare documenti in seno al procedimento che fossero pertinenti allo stesso.
[11] Così Chiti, E., Franchini, C., L’integrazione amministrativa europea, Bologna, 2003, ove si sottolinea l’avvenuta presa di coscienza dei limiti intrinseci ad un modello di Commissione nel ruolo di policy maker su base collegiale. Gli autori chiariscono come, invece, si renda necessaria una rinnovata struttura multifunzionale, chiamata a partecipare all’esercizio sia della funzione legislativa che di controllo, ma titolare anche di rilevanti funzioni amministrative.
Cfr. anche Cassese, S., Le trasformazioni del diritto amministrativo dal XIX al XXI secolo, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pag. 154: “…lo Stato non è più l’unica cerniera del diritto amministrativo. Si registra così una crisi della territorialità dello Stato e, corrispondentemente, una europeizzazione e internazionalizzazione del diritto amministrativo”. In altre parole, l’autore deriva dal cedimento del criterio della nazionalità il conseguente accrescimento della rilevanza della Commissione (e, per suo tramite, dell’Unione tutta) nonché, per effetto mediato, la nascita di un diritto amministrativo europeo.
[12] Sull’importanza dei Comitati nello sviluppo delle linee decisionali sovranazionali, seppur in una logica discorsiva non strettamente legata all’oggetto della presente ricerca, si sofferma significativamente Cassese, S., Il diritto amministrativo globale: una introduzione, Roma, 2005, pag. 22 ss., iscrivendoli e giustificandoli nel concetto di “polisinodia”, quale figura di riferimento e confronto per comprendere lo sviluppo delle relazioni reciproche tra Stati e Comunità.
[13] Venendo a costituire tali modelli esempi evidenti dell’unificazione tra procedure amministrative, si ritiene opportuno demandarne la trattazione più approfondita ad un successivo paragrafo che ne delinei, in chiave comparativista, le principali strutture e modalità operative.
[14] Cfr. Cassese, S., Le trasformazioni del diritto amministrativo dal XIX al XXI secolo, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pagg. 147-159, per una disamina complessiva dei fattori modificativi che hanno interessato il diritto amministrativo nell’ultimo secolo e per i significativi cenni posti all’interesse scientifico per questa evoluzione.
Va detto, per dovere di completezza, che i primi studi di carattere comparativo sulle amministrazioni europee (più che sui singoli procedimenti da queste svolti) risalgono già agli anni sessanta, pur occupando lungamente una posizione marginale. Ne dà resoconto Gualmini, E., L’amministrazione nelle democrazie contemporanee, Bari, 2003, pag. 3: “Intendo ripercorrere, seppur per sommi capi, le origini e lo sviluppo dell’analisi comparata dei sistemi amministrativi iniziando da un movimento intellettuale che si diffuse negli Stati Uniti tra gli anni cinquanta e sessanta, il Comparative Administrative Group, nell’ambito del quale venne fondato lo studio non giuridico delle burocrazie”.
[15] Nota, significativamente, Della Cananea, G., I procedimenti amministrativi della comunità europea, in Chiti, M.P., Greco, G., Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2003, pag. 225 ss. che: “I procedimenti amministrativi che attengono agli interessi di rilievo comunitario sono stati a lungo trascurati. Vi hanno influito, in particolare, due motivi. In primo luogo, in quella che suole considerarsi la Costituzione europea (…) l’attenzione per l’amministrazione è modesta. (…) In secondo luogo, nella Costituzione europea manca una distinzione tra normazione e amministrazione”. Ciò nonostante, rileva l’autore, non si è impedito che i principi e le regole che governano l’attività amministrativa abbiano subito una progressiva specificazione, volta all’unificazione.
Torna sulla medesima questione Chiti, M.P., Le forme di azione dell’amministrazione europea, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pagg. 73 ss.
[16] Una classificazione parzialmente diversa è quella operata da Chiti, E., Franchini, C., Gnes, M., Savino, M., Veronelli, M., Diritto amministrativo europeo – casi e materiali, Milano, 2005, pag. 127 ss., in virtù della quale si danno tre principali categorie: “La prima comprende i principi stabiliti nei Trattati e nel diritto derivato, nonché quelli di formazione giurisprudenziale, applicabili alla procedura che si svolge in sede comunitaria. La seconda è composta dalle fonti nazionali che regolano le sequenze nazionali del procedimento misto. Vi sono, poi, norme e principi giurisprudenziali europei desunti dai principi comuni agli Stati membri che disciplinano i procedimenti amministrativi nazionali”.
Sulla questione si sofferma anche Della Cananea, G., I procedimenti amministrativi della comunità europea, in Chiti, M.P., Greco, G., Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2003, pag. 226 ss., il quale sostiene che non esista un esauriente catalogo di questi principi, ma che, con un buon margine di approssimazione, li si possa distinguere tra principi aventi un fondamento nella codificazione normativa; principi desumibili dalle norme dettate dalle istituzioni europee, e principi elaborati dall’attività giurisprudenziale.
[17] Rilevano significativamente Chiti, E., Franchini, C., L’integrazione amministrativa europea, Bologna, 2003, pag. 107: “…le regole di carattere generale dell’azione amministrativa (…) non possono farsi discendere né dalle stesse normative settoriali riconducibili ai modelli della coamministrazione e dell’integrazione decentrata, non omogenee sotto il profilo procedimentale, né da una normativa comunitaria sul procedimento amministrativo, generale o relativa ad alcuni principi, della quale, come noto, l’ordinamento europeo è privo”.
[18] Per una panoramica completa di questo diritto, si veda Bignami, F., Tre generazioni di diritti di partecipazione, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pagg. 87 ss.
[19] Cfr. Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 415: “Fin dalla prima giurisprudenza comunitaria (…) l’obbligo di motivazione è stato considerato un elemento sostanziale del diritto procedimentale dello Stato di diritto (…). Il requisito è particolarmente enfatizzato, garantendo ulteriormente il diritto alla difesa nel caso dei provvedimenti sfavorevoli od a rierimento soggettivo specifico”.
[20] L’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia di questo fondamentale principio è quella dell’applicabilità assoluta, a prescindere cioè dalla presenza di previsioni legislative o della sussistenza di un rapporto diretto tra cittadino ed amministrazione comunitaria.
Al riguardo, interessanti osservazioni vengono svolte da Della Cananea, G., I procedimenti amministrativi della comunità europea, in Chiti, M.P., Greco, G., Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2003, pag. 230: “…il principio di buona amministrazione assume una duplice valenza. Da un lato, viene fatto valere come obbligo di perseguimento dell’efficiente ed efficace impiego delle risorse finanziarie erogate dalla Comunità (art. 188E e 205). Dall’altro, viene inteso come vincolo al rispetto delle diverse fasi in cui si articola il procedimento, sicchè è illegittimo iniziare quella successiva, se la fase precedente non si è ancora conclusa ovvero non sono decorsi i termini per il suo svolgimento, per esempio se si tratta di una fase consultiva”.
[21] Cfr. Weber, A., Il procedimento amministrativo in Germania, in Sandulli, M.A., Il procedimento amministrativo fra semplificazione e partecipazione, Milano, 2000, pagg. 33 ss.
[22] Si veda in particolare Birkinshaw, P.J., Il procedimento amministrativo nel Regno Unito, in Sandulli, M.A., Il procedimento amministrativo fra semplificazione e partecipazione, Milano, 2000, pagg. 33 ss.
[23] Cfr., in senso critico, Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 410: “Per la circostanza che il principio di legalità è l’unico principio veramente comune a tutti gli Stati membri, e per la sua centralità nella costruzione dell’ordinamento comunitario, è dato per pacificamente acquisito malgrado nel diritto comunitario non siano precisate con nitore simile a quello degli ordinamenti nazionali alcune nozioni chiave come legge, attività esecutiva, atto amministrativo”.
Si veda anche Franchini, C., I principi applicabili ai procedimenti, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pag. 284: “…questo, d’altra parte, viene ormai interpretato dal giudice comunitario come sottoposizione dell’amministrazione non specificamente alla legge, ma al diritto in generale”.
[24] Weber, A., Il procedimento amministrativo in Germania, in Sandulli, M.A., Il procedimento amministrativo fra semplificazione e partecipazione, Milano, 2000, pag. 37.
[25] Cfr. Picozza, E., Alcune riflessioni circa la rilevanza del diritto comunitario sui principi del diritto amministrativo italiano, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1992, pagg. 1209-1241, secondo cui si consentirebbe, tramite esso, di assicurare la piena concorrenzialità e, di conseguenza, l’effettività del mercato unico.
[26] In merito al recepimento di questo ed altri principi ad opera del legislatore italiano si confronti Cerulli Irelli, V., Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa. Un primo commento alla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241”, in Astrid Rassegna, IV, 2005, pag. 3: “…in diritto comunitario, il principio acquista una forte accentuazione circa il rispetto delle posizioni dei soggetti privati a fronte di esigenze di intervento pubblico. Esso guarda più all’esigenza di non limitazione, se non nei casi di stretta necessità, della libertà dei privati, piuttosto che all’esigenza della migliore soddisfazione dell’interesse pubblico”.
Cfr. anche Della Cananea, G., I procedimenti amministrativi della comunità europea, in Chiti, M.P., Greco, G., Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2003, pag. 228: “Il principio di proporzionalità richiede che le potestà conferite ed esercitate dalle istituzioni pubbliche siano idonee al raggiungimento degli scopi perseguiti dalla Comunità che risultino necessarie e non eccessive rispetto a tali scopi”.
Interessanti osservazioni le svolge poi Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 412: “…il principio di proporzionalità riguarda i limiti dell’azione dell’Unione rispetto a quella degli Stati; ma ovviamente il principio non si esaurisce qua, potendo rilevare come criterio dell’azione amministrativa nei rispetti della sfera dei soggetti coinvolti”. Pertanto, prosegue l’autore, l’applicabilità del principio si esntende progressivamente anche a quei Paesi dove erano stati elaborati originariamente altri principi, simili ma meno estesi. L’esempio è quello del principio di unreasonableness, operante nel Regno Unito ed oggi arricchito contenutisticamente dall’apporto teorico del principio di matrice comunitaria.
[27] Cfr. Cassese, S., L’aquila e le mosche. Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell’area europea, in Il Foro Italiano, 1995, V, pagg. 374-378
[28] In particolare, Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 414 ss.
[29] L’espressione è usata da Cassese, S., Il procedimento amministrativo europeo, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pag. 48: “L’effetto (…) è stato indicato come convengenza verticale”.
[30] è appena il caso di sottolineare la circostanza per cui anche con riguardo ai procedimenti, così come per la suddivisione dei principi, non esiste uniformità di vedute nella dottrina. In senso parzialmente difforme rispetto alla qualificazione ora esposta si pone, ad esempio, Della Cananea, G., I procedimenti amministrativi della comunità europea, in Chiti, M.P., Greco, G., Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2003, pag. 235: “La classificazione qui proposta, rispecchia quella elaborata recentemente nella dottrina italiana, così da operare un rafronto tra i due regimi procedurali. (…) induce a distinguere, da un lato, i procedimenti di natura strumentale (…) dai procedimenti di natura finale (…); dall’altro, all’interno di queste due partizioni, le funzioni svolte dalle amministrazioni”.
Cfr. anche Cassese S., Il procedimento amministrativo europeo, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pag. 31: “All’inizio, solo una parte della strumentazione amministrativa era comunitaria: concorrenza e aiuti di Stato (amministrazione diretta). Gli interventi in materia agricola erano, invece, svolti da amministrazioni nazionali sotto controllo comunitario (amministrazione indiretta)”.
[31] Sulla crisi del modello dell’esecuzione indiretta, legato prevalentemente alla prima fase di vita del procedimento comunitario, si sofferma Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 407 ss., ove si sottolinea il venir meno della rigida distinzione tra la sfera comunitaria e quella nazionale che l’autore lega all’emersione dei procedimenti composti.
Ne dà una definizione esaustiva anche Cassese, S., Diritto amministrativo europeo e diritto amministrativo nazionale: signoria o integrazione?, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2004, V, pag. 1135-1141, qualificandola significativamente in ragione delle sue peculiarità come “il modello dell’amministrazione in missione in sede comunitaria”.
[32] In senso critico Chiti, E., Franchini, C., op. cit., pag. 134 ss., si soffermano sugli inconvenienti che il processo di adattamento delle amministrazioni nazionali alle prescrizioni sovranazionali può comportare. A titolo esemplificativo viene presa la materia degli appalti pubblici nella quale, come noto, s’è lungamente dibattuto in ordine a diversi aspetti, non ultimo quello dell’ammissibilità di soggetti giuridici privati ad assumere funzioni di rilevanza pubblicistica, qualificandosi come organismi di diritto pubblico.
[33] Cfr. Chiti, E., Franchini, C., Gnes, M., Savino, M., Veronelli, M., Diritto amministrativo europeo – casi e materiali, Milano, 2005, pag. 120 ss., secondo cui i procedimenti che si svolgono nel settore della concorrenza possono considerarsi il “prototipo” di questo genere di procedimenti amministrativi, nei quali la Commissione è da sempre titolare di poteri rilevanti.
[34] Sull’estrema significanza del diritto alla partecipazione si sofferma, tra gli altri, Cassese, S., Il diritto amministrativo globale: una introduzione, Roma, 2005, pag. 32 ss.
Lo stesso autore, in diversa occasione, ha modo di specificarne più approfonditamente il legame con il diritto alla difesa. In tal senso, Cassese, S., Il procedimento amministrativo europeo, in Cassese, S., Bignami F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pagg. 45 ss., laddove, avendo individuato il legame tra difesa e partecipazione, si evidenzia come la tutela sia stata, a seconda delle circostanza, affidata dalla Corte di giustizia alla sede comunitaria o alla sede nazionale.
Altri esempi interessanti di procedure dirette e relativa tutela delle situazioni giuridiche soggettive vengono tratteggiate in Cassese, S., Il diritto amministrativo europeo presenta caratteri originali?, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2003, I, pag. 35: “si chiamano dawn rides (incursioni all’alba) o visites-surprises (visite-sorprese). Consistono nell’irruzione all’alba di funzionari della Commissione della Comunità europea, con l’assistenza di funzionari della autorità nazionali della concorrenza, negli uffici delle imprese, alla ricerca di accordi segreti, in violazione delle norme sulla concorrenza”. L’autore, a tale proposito, traccia il profilo dei rapporti con l’inviolabilità del domicilio garantita dalla nostra Carta costituzionale.
[35] Al contrario, esse sono tali e tante da far sì che Cassese, S., La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2002, pagg. 291-299, parli di “adhocrazia”, ossia di un decisionismo preso caso per caso, in ragione di un ordinamento che è in costante evoluzione e che dunque rende precario, se non impossibile, ricercare forme simmetriche o somiglianze.
[36] Così Chiti, E., Franchini, C., Gnes, M., Savino, M., Veronelli, M., Diritto amministrativo europeo – casi e materiali, Milano, 2005, pag. 119: “Molte funzioni, infatti, sono condivise, nel senso che vi sono numerose materie assegnate, in parte, agli Stati e, in parte, alla Comunità. Ciò determina lo sviluppo di diverse tipologie di procedimenti misti”.
[37] Sull’importanza dei procedimenti composti si veda Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 442: “Il numero di questi procedimenti tende a dilatarsi rapidamente, perché è in crisi il criterio della normalità della esecuzione indiretta tramite le amministrazioni degli Stati membri, a favore di un più bilanciato rapporto che consenta alle istituzioni comunitarie, ed alla Commissione in particolare, di concorrere al procedimento in questione anche con un ruolo provvedimentale”.
Cfr. anche Cassese, S., Il procedimento amministrativo europeo, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pagg. 34 ss., ove si considera l’ipotesi in esae come la più interessante tra le modalità di composizione tra le amministrazioni dei due livelli. Ciò perché favoriscono un migliore recepimento dei principi comunitari a livello nazionale e perché diviene difficile tenere separata la fase nazionale da quella comunitaria.
[38] Per esempio, il regolamento n. 886/90 del 29 marzo 1990, relativo al miglioramento delle condizioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, istituisce ben tre procedimenti precettivi, che si innestano l’uno sull’altro. Gli Stati membri definiscono le esigenze di finanziamento, mediante piani nazionali e piani regionali. Poi, li trasmettono alla Commissione, che ne verifica la compatibilità con la normativa di settore e approva il quadro comunitario di sostegno entro sei mesi dalla notifica, adottandolo con propria decisione, di concerto con lo Stato interessato e previa consultazione del comitato competente. Infine, l’attuazione del quadro comunitario richiede ulteriori prescrizioni, stabilite da appositi programmi operativi.
[39] Estremamente interessante è l’operato della giurisdizione europea in merito, che ha chiarito e risolto gli aspetti più controversi. Ad esempio, nella sentenza Oleificio Borelli c. Commissione, in causa C-97/1991, i giudici comunitari hanno affrontato la problematica dell’impugnazione di una decisione della Commissione che aveva espresso parere negativo alla concessione di un contributo europeo ad una Regione. In tal caso, secondo la Corte, è compito dell’autorità giurisdizionale nazionale verificare la legittimità, in ragione dei canoni propri dei procedimenti interni, anche se il caso specifico non sia previsto.
Sul caso di specie tornano anche Chiti, E., Franchini, C., Gnes, M., Savino, M., Veronelli, M., op. cit., pp. 138 ss.
In proposito cfr. anche Cassese, S., Il diritto amministrativo globale: una introduzione, Roma, 2005, pag. 38 ss., il quale ritiene che tale fenomeno: “… accentua il problema (…) della asimmetria tra partecipazione dei privati alle decisioni amministrative (generali e individuali) nazionali e globali, particolarmente sentito nei Paesi dove l’amministrazione dà largo spazio ai privati (…). Lo spostamento del livello di decisione, da quello nazionale a quello globale, priva cittadini ed imprese di questi diritti di partecipazione”.
Articolata è poi l’analisi che fa del problema Della Cananea, G., I procedimenti amministrativi della comunità europea, in Chiti, M.P., Greco, G., Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2003, pag. 248: “Emerge, così, un primo problema relativo alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive, cui se ne aggiungono altri tre. In primo luogo, solo in alcuni casi sono previsti termini di conclusione del procedimento (…). In secondo luogo, le regole sull’accesso sono limitative per quel che concerne i procedimenti curati dalle istituzioni comunitarie (…). Né sembra risolto in modo soddisfacente il problema della tutela avverso gli atti endoprocedimentali adottati dalle amministrazioni nazionali all’interno di procedimenti destinati a concludersi con un atto (provvedimento o contratto) comunitario.
Ulteriori conferme in tal senso le offre Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pagg. 443 ss. ; nonché Chiti, M.P., Le forme di azione dell’amministrazione europea, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pagg. 82 ss., in particolare laddove opera un interessante richiamo alle conseguenze sul riparto di giurisdizioni e richiama un problema analogo che si presentò all’Italia appena dopo l’unificazione nel XIX secolo, e che venne risolto dalla legge n. 3167 del 1877 sui conflitti.
[40] V. Della Cananea, G., I procedimenti amministrativi della comunità europea, in Chiti, M.P., Greco, G., Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2003, pagg. 249 ss., il quale però contesta l’impostazione tradizionale, ritenendo invece che nessuna delle tre obiezioni tradizionali possa ritenersi valida. In particolare, l’autore ritiene che l’enunciazione dei diritti fondamentali richieda necessariamente l’adozione di regole procedurali, a rischio di avere una protezione carente. Inoltre, non meno importante, l’estensione dell’Unione europea a nuovi Stati membri ha accresciuto il numero di quelli dotati di una disciplina legislativa del procedimento amministrativo. Circostanza dalla quale dovrebbe ricavarsi il fatto che la regolazione normativa del procedimento è essa stessa un principio comune, proprio dei singoli Stati e, soprattutto, dell’ordinamento comunitario. L’autore conclude ritenendo che: “Un modello generale di procedimento non sarebbe certo auspicable, per l’esigenza che i procedimenti aderiscano agli interessi per la realizzazione dei quali sono istituiti. Sarebbe preferibile, quindi, che la disciplina comunitaria si limitasse alla determinazione di alcune regole generali, che verrebbero – così – ad assumere un ruolo di orientamento per l’attività amministrativa”.
Cfr. anche Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 445: “Varie voci auspicano un nuovo regolamento comunitario per la disciplina dei maggiori principi generali, che risulti l’equivalente sul piano comunitario della nostra legge n. 241/1990”. L’autore richiama successivamente la tesi contraria, esponendone le argomentazioni, escludendo tuttavia che questa possa, come si sostiene, irrigidire lo sviluppo dei procedimenti, offrendo, al contrario, una precisa veste giuridica a principi che possono oramai considerarsi fonte del diritto.
[41] Cfr. Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 422: “La prima previsione sul diritto ad una buona amministrazione, da un lato, sintetizza una serie di principi generali sull’azione amministrativa, elaborati dalla giurisprudenza e solo in parte già trasfusi nei Trattati (°ad esempio, l’obbligo di motivazione). Così il diritto ad essere ascoltato, il diritto ad accedere alle informazioni, il diritto acchè le proprie questioni siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole”.
[42] Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 424.
Spende parole interessanti su questo documento anche Bignami F., Tre generazioni di diritti di partecipazione, in Cassese S., Bignami F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pagg. 118 ss.
[43] Termine la cui reale portata, ammonisce Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, in Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pag. 3 ss., va ben oltre il significato comune che è solito attribuirgli l’opinione pubblica più diffusa. La contemporanea diffusione accellerata e generalizzata delle tecnologie di comunicazione, l’interdipendenza dell’insieme dei Paesi del mondo, nonché la nascita e crescita di grandi multinazionali creano una lunga e talora incoerente serie di effetti. Per il giurista, specifica l’autore, il problema diviene quello di inscriverne lo sviluppo all’interno di un paradigma giuridico idoneo a regolarne i problematici aspetti.
[44] Per una complessiva disamina del sistema a rete si veda Cassese, S., Le reti come figura organizzativa della collaborazione, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pag. 21: “Anche l’uso del termine rete nel diritto e nelle scienze organizzative rappresenta una figura retorica. Qui esso indica una figura organizzativa composta di uffici pubblici e caratterizzata dai seguenti due elementi o tratti: appartenenza a entità o apparati diversi e collaborazione o interdipendenza”.
[45] Cfr. Cassese, S., Dalle regole del gioco al gioco con le regole, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pag. 129: “…il primo aspetto che si presenta è quello dell’asimmetria dei regolati e delle regole. I regolati non sono tutti nella stessa posizione di fatto (…). La situazione appena descritta si presenta in forme ancor più vistose quando vi siano regolazioni differenziate, dette asimmetriche”.
[46] Per uno studio complessivo sulle evoluzioni subite dal diritto amministrativo nell’ultimo secolo si veda in particolare Cassese, S., L’età delle riforme amministrative, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pagg. 163-185.
[47] Ne parla Cassese, S., Le trasformazioni del diritto amministrativo dal XIX al XXI secolo, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pagg. 151 ss., individuandole nella concezione di supremazia della pubblica amministrazione; nella sussistenza di un régime administratif concettualmente separato dal diritto privato; nel condividere le preprogative proprie del governo; nel godere, infine, di un regime giurisdizionale speciale, quello del giudice amministrativo.
[48] Molteplici sono le ipotesi che potrebbero riportarsi. Si citano due interessanti scritti, cui si rimanda per maggiori approfondimenti, che testimoniano quanto spiegato nel testo: la necessità cioè di procedure integrate ma, al tempo stesso, configurate sulla base degli specifici interessi che devono regolare. Si tratta di Cassese, S., Il concerto regolamentare europeo delle telecomunicazioni, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pagg. 105-112, in cui si studia in particolare il mercato delle telecomunicazioni e le differenti discipline che lo hanno riguardato; Cassese, S., La nuova disciplina alimentare europea, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pagg. 113-123, in cui, studiando il regolamento comunitario 178/2002 sulla legislazione alimentare, si affronta anche il discorso sull’intervento di Authorities di settore, appositamente create, aventi penetranti poteri a livello internazionale e nazionale.
[49] Di estremo interesse sono in tal senso le riflessioni che svolge Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, in Cassese, S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pag. 6: “Questo ordinamento giuridico, però, non è retto da un’autorità superiore, ma si tiene grazie a forme di cooperazione e integrazione tra soggetti che ne fanno parte. Esso, pur in assenza di un governo, presenta i vantaggi di limitare gli effetti esterni negativi dell’azione decentrata (…); di consentire la circolazione delle informazioni e, quindi, la comparazione tra i sistemi e le economie nazionali; di permettere, quindi, a operatori dotati di mobilità di scegliere i sistemi più convenienti; di tenere sotto il controllo di un’opinione pubblica mondiale i regimi politici”.
[50] Si usa l’espressione coniata da Caffarena, A., Le organizzazioni internazionali, Bologna, 2001, pagg. 53 ss.

Sgueo Gianluca

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