L’atto amministrativo in contrasto con il diritto europeo

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Primato del diritto europeo sul diritto nazionale

Nel corso degli anni, i rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario hanno costituito oggetto di un lungo processo evolutivo.

Oggi, è pacifico che i rapporti tra ordinamento europeo ed ordinamento nazionale si risolvano alla luce del principio del primato del diritto europeo. Pertanto, qualora una norma interna sia in contrasto con il diritto europeo deve disapplicarsi.

Tuttavia, a tale risultato si è giunti a seguito di un dialogo tra la Corte di Giustizia e la Corte costituzionale. Si è giunti a tale conclusione solo all’esito di diverse tappe scandite da altrettante pronunce della Corte Costituzionale che, recependo le pronunce della Corte di Giustizia, hanno affermato il primato del diritto europeo.

In un primo tempo, veniva affermata dalla Corte costituzionale l’equiordinazione tra diritto comunitario e diritto interno. Pertanto, essendo trattate come fonti di pari grado gerarchico, nel caso di contrasto occorreva darsi applicazione al principio generale della successione di leggi nel tempo. Dunque, nel caso di antinomia la norma meno risalente nel tempo abrogava la più risalente.

In una seconda fase, si è affermato il primato del diritto europeo, tuttavia nel caso di  contrasto della norma interna con la norma sovranazionale occorreva  dichiarare l’incostituzionalità della norma interna utilizzando come parametro di costituzionalità l’art. 11 della Carta.

Nella terza fase, la Corte costituzionale, recependo le critiche sollevate dalla Corte di Giustizia, afferma che nel caso di specie la norma interna subisce un’automatica disapplicazione. A partire dalla sentenza n.170/1984 della Corte costituzionale il criterio di risoluzione dei contrasti è la disapplicazione. La Consulta ha affermato che in caso di sopravvenienza di una norma comunitaria contrastante con una norma nazionale preesistente quest’ultima deve intendersi automaticamente caducata.

Nella quarta fase, infine, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 384/1994, ha mostrato  apertura alla tesi monistica sostenuta dalla Corte di Giustizia, che vede i due ordinamenti come legati da un rapporto di integrazione e non invece come ordinamenti separati.

Sorti dell’atto amministrativo anti-comunitario

Qualora vi sia una norma interna in contrasto con il diritto europeo è, pertanto, principio consolidato il primato del diritto europeo e la disapplicazione della norma interna.

Ed invece, oggetto di dibattito in dottrina ed in giurisprudenza è la questione delle sorti dell’atto amministrativo anti-comunitario.

È certo che il primato del diritto europeo deve essere rispettato non solo ove la norma interna sia in contrasto con quella sovranazionale ma anche laddove vi sia un contrasto tra l’atto amministrativo e la norma sovranazionale.

Tuttavia, dottrina e giurisprudenza si domandano su quale rimedio sia il più adatto nel caso specifico.

Per approfondire leggi anche “L’opposizione alle sanzioni amministrative” di Silvia Cicero e Massimo Giuliano.

Possibili soluzioni

Una prima tesi ritiene che l’atto amministrativo in contrasto con il diritto europeo è nullo o inesistente.

L’art.21 septies L.241/1990, che disciplina la nullità del provvedimento amministrativo, afferma che “è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adotatto in violazione o elusione di giudicato, nonchè negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.

Tuttavia, non si ravvisa nel testo di legge alcuna ipotesi di nullità riconducibile alla violazione del diritto europeo.

Altra interpretazione ritiene che l’atto amministrativo, al pari della legge, qualora in contrasto con il diritto europeo deve essere disapplicato.

Secondo una terza tesi, condivisa dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, la violazione del diritto europeo produce conseguenze assimilabili alla violazione del diritto interno.

Pertanto, il provvedimento in contrasto con il diritto sovranazionale deve essere annullato.

L’annullabilità è disciplinata agli artt. 21 octies co 1 L.241/1990, art 29 e art 34 co 1 lettera a) c.p.a.

Si tratta di ipotesi tassative di annullabilità, le quali si identificano in: violazione della legge, eccesso di potere e incompetenza.

Pertanto, nel caso di specie si tratterebbe di annullabilità per violazione di legge.

Profili processuali

Trattandosi di annullabilità per violazione di legge rimangono, pertanto, fermi i principi generali dell’azione di annullamento e quindi sia la necessità di un ricorso nei termini di sessanta giorni che la necessità di gravami puntuali sulla violazione di legge.

L’art. 29 c.p.a. prevede che “l’azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di sessanta giorni”.

Inoltre, se si consentisse al giudice, nel caso in cui l’atto illegittimo sia impugnato per violazione del diritto comunitario, di disapplicare le norme processuali nazionali, ciò porterebbe ad un’ingiustificata differenziazione della tutela dei diritti dei singoli a seconda che tali diritti derivino dal diritto comunitario o dal diritto interno.

La pronuncia della Corte di Giustizia

Sulla questione la Corte di Giustizia (nel c.d. caso Santex), ha affermato che spetta all’ordinamento nazionale di ogni Stato membro definire le modalità processuali affinchè sia rispettato il diritto europeo “Richiamando la giurisprudenza della Corte secondo cui, in mancanza di una disciplina comunitaria, spetterebbe all’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto”.

Occorre, tuttavia, che siano rispettati il principio di equivalenza, pertanto la tutela della posizione europea deve avere la stessa tutela di quella nazionale, ed il principio di effettività, pertanto deve essere garantita l’effettiva applicazione del diritto europeo.

Per quanto attiene al primo profilo, la Corte di Giustizia rileva che il termine di sessanta giorni previsto dal Codice del processo amministrativo rispetta il principio di equivalenza poichè trova applicazione sia nel caso violazione di legge nazionale che nel caso di violazione di legge europea.

Infine, per quanto attiene al principio di effettività, il termine di sessanta giorni non osta all’effettiva applicazione del diritto europeo.

In particolare la Corte ha constatato che “sebbene spetti all’ordinamento nazionale di ogni Stato membro definire le modalità relative al termine di ricorso destinate ad assicurare la salvaguardia dei diritti conferiti dal diritto comunitario ai candidati e agli offerenti lesi da decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici, tali modalità non devono mettere in pericolo l’effetto utile della direttiva 89/665, la quale è intesa a garantire che le decisioni illegittime di tali amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e quanto più rapido possibile (sentenza Universale-Bau e a., cit., punti 71, 72 e 74). 52 È in tale contesto che la Corte ha rilevato che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza risponde, in linea di principio, all’esigenza di effettività derivante dalla direttiva 89/665, in quanto costituisce l’applicazione del principio della certezza del diritto (sentenza Universale-Bau e a., cit., punto 76)”.

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Dott.ssa Laura Facondini

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