L’assenza del difensore non è abbandono della difesa

Redazione 22/06/11
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Lo hanno stabilito le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12903 del 13 giugno 2011.

I giudici di legittimità, con la sentenza in parola, hanno accolto il ricorso di un avvocato nei cui confronti c’era stata una censura del Consiglio dell’Ordine presso il quale era iscritto per aver mancato di trasmettere la comunicazione della sua assenza all’udienza dibattimentale all’Autorità Giudiziaria. Il Consiglio aveva quindi ravvisato una violazione, da parte del professionista, dei doveri di correttezza, fedeltà e diligenza nei confronti del proprio assistito, doveri tra l’altro previsti anche dal Codice deontologico.

Il Consiglio nazionale forense aveva eliminato la censura emessa contro l’avvocato, accogliendo il ricorso che questi presentava, assumendo che la sua assenza non doveva essere considerata come un abbandono o un atto abdicativo della difesa, e il Consiglio dell’Ordine aveva proposto ricorso per Cassazione avverso la decisione del CNF.

In questa sede l’avvocato si era difeso precisando nuovamente che l’assenza da parte sua in udienza non significava abbandono della difesa, ma era ricollegabile a ragioni di carattere processuale non sindacabili dall’autorità giudiziaria: non c’era quindi violazione del mandato e neanche dei doveri di correttezza, fedeltà e diligenza.

Le Sezioni Unite, confermando la decisione del CNF, hanno affermato che l’abbandono della difesa, ipotesi espressamente prevista dal c.p.p., all’art. 105, la sola che radica in capo al Consiglio dell’Ordine i poteri sanzionatori, non può desumersi dalla circostanza dell’assenza ad un’udienza dibattimentale, perché questo dato non è da solo sufficiente per provare l’abbandono della difesa, a maggior ragione se il diretto interessato lo giustifica ricollegandolo a ragioni di carattere processuale.

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