Ipotesi di responsabilità medica in relazione alla esistenza di un contratto tra il sanitario e la struttura

Redazione 29/01/13
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Premessa

La causa in commento ha come riferimento normativo l’art. 1218 c.c.- Responsabilità del debitore, il quale recita: Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile

L’inadempimento consiste nella mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta. Tale mancato inadempimento può dipendere da: ause non mputabili al debitore ed, in tal caso la obbligazione si estingue senza che il debitore possa essere ritenuto responsabile; cause imputabili al debitore, in tal caso questi è tenuto a risarcimento del danno. L’art. 1218 c.c. prevede l’inversione dell’onere della prova in virtù del quale chi agisce in giudizio deve limitarsi a provare la esistenza del suo credito e il fatto storico dell’inadempimento; mentre il debitore deve dimostrare che l’inadempimento o il ritardo non è stato determinato da cause a lui non imputabili.

 

Il fatto.

La decisione in commento trae origine dalla vicenda riguardante un utente che a causa di una caduta a terra veniva trasportato al pronto soccorso dell’ospedale convenuto, ove gli veniva diagnosticata una “frattura ampiamente scomposta condilodea distale omerale con lussazione laterale omero radiale ulnare”; nello stesso giorno, di sera, veniva sottoposto ad un intervento chirurgico; il giorno seguente egli iniziava la terapia antibiotica sino al 21 settembre, data in cui veniva dimesso con la prescrizione di terapia antibiotica per giorni 6; il 19 ottobre 2004 venivano rimosso il gesso ed i fili, cui seguiva la terapia riabilitativa; durante le varie medicazioni eseguite presso il nosocomio di (…) (sia prima che dopo il gesso.

La madre dell’esponente evidenziava ai sanitari che la ferita si presentava tumefatta con fuoriuscita di materiale maleodorante, ma i medici riferivano che ciò era normale; nel mese di novembre l’esponente veniva sottoposto ad una visita presso un ortopedico privato, il quale riscontrava un’infezione in corrispondenza dei tessuti molli contigui al focolaio chirurgico ed una difficoltà di rieducazione per la presenza di blocco estensorio; sempre nel mese di novembre l’esponente veniva ricoverato presso l’ospedale di (…) con la seguente diagnosi: “infezione gomito sinistro-esiti chirurgici (frattura sovra condiloidea ) e rigidità articolare”, dopo quattro giornida questo ricovero veniva dimesso con la prescrizione antibiotica ed avvio di cinesiterapia.

Oggi l’esponente lamenta persistente dolore al gomito sinistro con difficoltà nelle escursioni articolari e nel movimento di flessione e ipostenia all’arto superiore sinistro rispetto al contro laterale; ciò va in parte ricondotto al non corretto intervento eseguito presso l’ospedale convenuto; in particolare si evidenzia un’insufficiente riduzione del focolaio di frattura comportante una sfavorevole evoluzione del processo ripartivo in termini di cubito varo; i sanitari che ebbero in cura il minore hanno eseguito l’intervento in modo non corretto.

Ulteriore contegno imperito riferibile ai sanitari del convenuto aveva riguardato la non idonea vigilanza dell’evoluzione della ferita, per cui ne era seguita un’infezione tale da avere costretto il minore a sottoporsi ad una revisione chirurgica con prolungamento del periodo di convalescenza e riabilitazione; pertanto, a causa di tale condotta non corretta l’esponente aveva subito danni fisici e morali, di cui domandava il ristoro in uno altresì al pregiudizio patrimoniale conseguente alla riduzione della capacità lavorativa specifica del minore, avuto riguardo alle future aspettative di ingresso nel mondo del lavoro, stimando il danno complessivo in euro 67.651,75, oltre alle spese mediche già sostenute pari ad euro 215,46.

L’utente, pertanto, ha provveduto a citare l’ospedale affinché venisse accertata la responsabilità professionale del nosocomio per inadempimento e conseguentemente fosse condannato a risarcirgli i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti, quantificati complessivamente in euro 67.651,75, o in quella maggiore o minore che verrà accertata in corso di causa.

L’azienda Ospedaliera si costituiva in giudizio ed argomentava in fatto ed in diritto per il rigetto della domanda.

 

La decisione

Il Tribunale ha premesso che in caso di danno da responsabilità medica2 spetta al danneggiato la prova dell’esistenza di un contratto tra lo stesso e la struttura sanitaria ed il nesso di causalità tra il danno riportato e l’intervento medico-chirurgico. Incombe invece sul professionista l’onere di provare la diligenza nell’esecuzione dell’opera e che le lamentate conseguenze siano state determinate da fattori estranei all’intervento.

Qualora nessuna prova a riguardo sia stata fornita e dalla consulenza medico legale sia emerso che la condotta professionale dei sanitari non sia risultata conforme alle regole dell’arte medica , il danneggiato ha diritto al risarcimento del danno lamentato.

Il ricorrente ha dedotto l’esistenza di una responsabilità in capo alla struttura sanitaria convenuta determinata dalla negligente condotta di natura sia attiva che omissiva posta in essere dai medici operanti presso il pronto soccorso della struttura durante il ricovero di (…). dal giorno 18 al giorno 21 del mese di settembre 2004, in esito al quale il degente ha lamentato postumi invalidanti.

In materia la Corte di Cassazione, attraverso numerose pronunce, ha stabilito che: “In tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del “contatto”) e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile……………” (Cass. civile n. 975 del 16/01/2009, Cass. civile n. 10297/2004; Cass. Sez. un. n. 577/2008; Cass. civile n. 8826/2007).

Il Giudice di merito, a tale proposito ha fatto riferimento alla nota sentenza Franzese, adottata dai Giudici di legittimità, a sez. un., n. 30328/2002. In base a detta pronuncia, per potere imputare la struttura sanitaria di responsabilità in presenza di un caso di mal practice è necessario operare uno scrutinio teso ad accertare il collegamento eziologico che sussisterà ogni qual volta, in base a tutte le circostanze di fatto ed esclusa l’interferenza di fattori alternativi, emerga la processuale certezza che la condotta omissiva del medico sia stata condizione necessaria dell’evento “con alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”, ossia “al di là di ogni ragionevole dubbio”).

Mentre ai fini dell’azione di risarcimento del danno il nesso di causalità andrà cercato nel rispetto della regola del “più probabile che non”, vale a dire che accede ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale (cfr Cass. civile nn. 16123/2010; 975/2009; 21619/2007).

Dalle risultanze della consulenza medico-legale espletata nel giudizio è emerso che la condotta professionale dei sanitari che ebbero in cura l’attore non è stata conforme alle regole dell’arte medica, avuto riguardo all’omesso trattamento della profilassi antibiotica che era invece “assolutamente raccomandata nei pazienti che devono sottoporsi a intervento di fissazione di frattura a cielo chiuso con applicazione di mezzi di sintesi”.

Il consulente tecnico d’ufficio, le cui conclusioni in ordine alle responsabilità del professionista convenuto risultano condivisibili in quanto congruamente motivate ed immuni da vizi logici, in base alla documentazione in atti, previa visita del periziando, ha evidenziato in sintesi che sussista un nesso causale tra l’omessa profilassi e l’insorgenza della patologia infettiva, nel senso appunto che sostituendo al contegno omesso quello ritenuto doveroso in base alle leggi mediche conosciute, con “certezza ragionevole” la complicanza infettiva non si sarebbe manifestata.

Il Tribunale, sulla scorta delle memorie presentate dalle parti ed alla luce della perizia depositata dal Consulente Tecnico d’Ufficio (C.T.U.) ha ritenuto che spetta alla parte attrice il risarcimento del danno direttamente conseguente a tale contegno omissivo colposo in termini sia di inabilità temporanea ascrivibile al periodo di malattia infettiva, sia di postumi permanenti intesi come peggioramento della cicatrice chirurgica residuata.

I giudici non hanno, invece, ritenuto di dovere dare accoglimento alle lagnanze di parte attrice in merito alla presunta cattiva esecuzione dell’intervento chirurgico praticato durante il ricovero, che, in base alla perizia del C.T.U. sarebbe avvenuta in maniera consona, all’arte medica3.

Passando alla quantificazione del risarcimento dovuto all’attore in conseguenza della condotta imperita tenuta dai sanitari esercenti presso la struttura convenuta, limitata al profilo omissivo della mancata profilassi antibiotica, il ctu ha evidenziato che ciò ha determinato in sè una lesione alla integrità psico-fisica dello stesso. Va considerato che l’attore ha chiesto il ristoro sia del pregiudizio patrimoniale che di quello non patrimoniale.

In ordine al danno patrimoniale, va riconosciuto all’attore la somma complessiva di euro (…), corrispondente al costo sostenuto per visite mediche.

Prima di esaminare l’ulteriore richiesta di natura patrimoniale relativa al c.d. danno alla capacità di guadagno futura dell’attore, conseguente alla lesione della propria capacità di lavoro specifica, il Tribunale ha proceduto allo scrutinio della domanda di ristoro del pregiudizio di natura non patrimoniale.

In proposito giova premettere che come di recente riconosciuto dalla Corte di Cassazione il danno non patrimoniale da “lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale”. (Cass. S.U. n. 26972/2008).

Alla luce dunque del principio di integralità del risarcimento del danno, anche non patrimoniale, che comporta la necessità di tenere conto nella liquidazione unitaria dello stesso di tutti i pregiudizi allegati in modo circostanziato e provati, anche in via presuntiva, senza che ciò si risolva in un’indebita duplicazione della posta risarcitoria, occorre apprezzare la domanda di ristoro avanzata da parte attrice. Pertanto, tenuto conto degli esiti della relazione del CTU, ove il consulente ha individuato in capo all’attore un’invalidità temporanea parziale, sono stati riconosciuti al ricorrente anche i danni non patrimoniali.

Non è stato, invece, riconosciuto all’attore alcun ristoro per il danno (futuro) da perdita della capacità di guadagno conseguente alla lesione della capacità lavorativa specifica, atteso che la richiesta è risultata genericamente allegata e del tutto sfornita di sostegno probatorio, tenuto conto della scarsa entità dei postumi permanenti come accertati nel giudizio.

Discende da quanto appena detto, una presunzione legale di colpa ex art. 1218 c.c., e ciò giusta l’orientamento inaugurato da Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, di cui si riporta la massima: “In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento4.

 

1 L’Autore, referente Privacy presso la AUSL di Pescara, è Docente Incaricato di: Diritto del Lavoro al Corso di Laurea in Tecniche di Laboratorio Biomedico e di Elementi di Diritto Pubblico al Corso di Laurea in Igiene Dentale; presso la Università “G.D’Annunzio” – Facoltà di Medicina e Chirurgia di Chieti-Pescara.

2 Sull’argomento sia consentito rimandare a Modesti G., La responsabilità medica alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione. Per una rifondazione della responsabilità medica, www.overlex.com (febbraio 2007); Il rilievo penale dell’assenza di consenso del paziente nel caso in cui l’intervento medico abbia avuto esito fausto; (nota a sentenza Cassazione, Sez. Un. penali, n. 2437 del 10 dicembre ’08 – 21 gennaio ’09), Panorama della sanità, n. 9 del 9 marzo 2009; IL Consenso informato quale scriminante riguardo all’esito di una prestazione di chirurgia estetica; nota a sentenza TAR di Bari n. 3135 del 19.10.2010; Panorama della sanità n. 9 del 05.3.2012; www.Diritto.it (marzo 2012); Il medico tra il rispetto del codice deontologico, delle linee guida e la cura del paziente; RAGIUSAN – Rassegna giuridica della Sanità, Fascicolo 333/334, a. 2012;

3 L’adeguamento o il mancato adeguamento del medico alle linee guida non esclude né determina di per se la colpa dello stesso. Tali le linee guida, infatti, contengono valide indicazioni generali riferibili al caso astratto, ma è altrettanto evidente che il medico è sempre tenuto ad esercitare le proprie scelte considerando le circostanze peculiari che caratterizzano il caso concreto e la specifica situazione del paziente, nel rispetto della volontà di quest’ultimo, al di là delle regole previste nei protocolli medici. La verifica circa il rispetto delle linee guida va, pertanto, sempre affiancata ad un’analisi – svolta eventualmente attraverso perizia – della correttezza delle scelte terapeutiche alla luce della concreta situazione in cui il medico si è trovato ad intervenire.

4 (conf., Cass., sez. un., 10 gennaio 2006, n. 141; in termini, Cass. 10 maggio 2002, n. 6735, idd., 21 giugno 2004, n. 11488, 28 maggio 2004, n. 10297, 4 marzo 2004, n. 4400; tra la giurisprudenza di merito, Trib. Venezia 20 settembre 2005, Trib. Foggia, 7 aprile 2003).

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