(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 45)
Il fatto
La Corte di Appello di Potenza riformava la sentenza del Tribunale di Potenza con cui l’imputato, ritenuta la continuazione, era stato condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione in relazione ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 mentre costui veniva assolto dall’illecito penale di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, riducendo pertanto la pena in relazione ai restanti reati D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10 ter, in anni uno e mesi sei di reclusione.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, mediante il proprio difensore, deducendo i seguenti motivi di impugnazione: a) vizi ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed lett. e), in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, per violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione posto che la corte di appello avrebbe omesso, per un verso, la valutazione di circostanze indicative del fatto per cui lo stato di illiquidità, in cui si era ritrovato il ricorrente, non dipendeva dalle scelte dell’imputato, nè era altrimenti fronteggiabile dovendosi ritenere scriminata la condotta di costui, per altro verso, di valutare come il ricorrente non avesse inteso sottrarsi al suo debito tanto da avere dato corso ad un piano di rientro rateizzando gli importi dovuti, omettendo di valutare l’incidenza di tale condotta sulla fattispecie di reato; b) vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 131 bis c.p. per non avere la corte territoriale ritenuto sussistente la predetta causa di non punibilità, in relazione al reato contestato al ricorrente quale rappresentante legale della “L. C. s.r.l.“, considerando non incidente, ai predetti fini, la rateizzazione del debito tributario e omettendo di tenere conto del principio per cui la fattispecie predetta è applicabile ai reati tributari qualora l’evasione sfiori in misura poco rilevante la soglia di rilevanza penale.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come, in presenza, come nel caso di specie, di un caso di cd. “doppia conforme“, emergeva, a parere della Corte, come i giudici di merito avessero verificato, alla luce delle stesse dichiarazioni dell’imputato, da un lato, la piena consapevolezza da parte del medesimo delle omissioni contestate, dall’altro lato, la realizzazione di una condotta estranea ai doverosi oneri di attivarsi per fronteggiare la dedotta situazione di illiquidità e, nel contempo, adempiere ai debiti tributari essendo stata in tal senso valorizzata la scelta di procedere, piuttosto, al pagamento dello stipendio ai dipendenti fermo restando la deduzione difensiva per cui, almeno per la società “A. e R.G.“, la carenza di liquidità sarebbe dipesa da ritardati pagamenti da parte di enti pubblici.
Orbene, preso atto di ciò, era stata sottolineata la mancata dimostrazione della realizzazione di iniziative dirette ad evitare le conseguenze negative della dedotta situazione anche mediante soluzioni a sé sfavorevoli rilevandosi al contempo come nulla in tal senso fosse stato provato sulla base della documentazione prodotta da cui era emerso solo l’accensione di un mutuo bancario risalente al (…), a favore dell’altra società del ricorrente “L. C. s.r.l.“, rinegoziato nel (…) attraverso l’ingresso, quale fideiussore, della società “A. e R.G. s.r.l.“.
Oltre a ciò, si faceva altresì presente al riguardo come i giudici avessero invero osservato come il finanziamento risalisse a diversi anni anteriori al dedotto periodo di crisi e inerisse solo alla “L. C.srl” mentre il successivo subingresso nel contratto, quale fideiussore, della “A. e R.G. srl“, integrasse, piuttosto, ad avviso della Corte, un aggravamento della situazione debitoria della prima società tenuto conto altresì del fatto che, in dibattimento, tale situazione di crisi non era stata compiutamente dimostrata fermo restando come il tribunale avesse peraltro aggiunto l’impossibilità di valutare in senso favorevole all’imputato l’ottenuta rateizzazione del debito tributario trattandosi di richiesta avanzata solo successivamente al trasferimento del credito in capo alla società di riscossione e, quindi, quando il debito tributario era ormai già iscritto a ruolo.
Ebbene, tale valutazione decisoria veniva stimata dagli ermellini come un’analisi congrua e lineare rispetto al materiale probatorio richiamato e conforme agli indirizzi giurisprudenziali posto che l’oggettiva impossibilità di adempiere può avere rilevanza solo se dovuta a causa di forza maggiore avendo la Corte di Cassazione in proposito precisato che, per configurare la sussistenza di tale situazione, è necessario che siano assolti precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto [cfr. da ultimo in motivazione Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 Ud. (dep. 25/02/2015)] nel senso che occorre la prova che non sia stato altrimenti possibile, per il contribuente, reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013).
Ciò posto, si evidenziava oltre tutto come il Supremo Consesso avesse sul punto precisato che, poiché la forza maggiore postula l’individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, va escluso che le mere difficoltà economiche in cui versi il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/198), e ciò alla luce del principio generale per cui, nei reati omissivi, integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà, di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, omissis, Rv. 184856).
Orbene, declinando tali criteri ermeneutici al caso in questione, i giudici di piazza Cavour osservavano come, a fronte della suddetta, complessiva motivazione, le allegazioni del ricorrente, da una parte, fossero indistinte rispetto alle due società del ricorrente, pur in relazione, invece, alle puntuali differenziazioni di analisi elaborate dai giudici, dall’altra, risultassero essere generiche contrapponendosi al quadro motivazionale censurato che rappresentava tra l’altro anche la mancata prova di una crisi di liquidità, tantomeno indipendente dalla volontà dell’imputato, attraverso il mero richiamo a stralci di deposizioni testimoniali e così incorrendo sul punto anche nella violazione dell’obbligo di autosufficienza del ricorso alla luce del principio per cui, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (cfr. Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014).
Inoltre, anche in ordine alla argomentata e ragionevole valutazione negativa dell’ottenuta rateizzazione del debito tributario, la Suprema Corte rilevava come il ricorrente si fosse limitato a ribadirne l’importanza evitando qualunque critica al ragionamento probatorio formulato sul punto dai giudici mentre nessuna contrapposta e valida critica era stata sviluppata, neppure rispetto all’ulteriore, importante rilievo sollevato dai giudici di merito, per cui il profilo psicologico del reato traeva fondamento anche dalla scelta di pagare lo stipendio ai dipendenti piuttosto che fronteggiare il debito erariale laddove, ad avviso della Corte, era evidente come la politica della sistematica perpetrazione dell’illecito amministrativo-tributario, quale strumento di gestione della crisi di liquidità, non potesse giustificare la forza maggiore che s’invocava al momento della scadenza del termine c.d. lungo come se tale forza maggiore non affondasse le sue radici in una situazione di persistente illegittimità voluta dal contribuente (cfr. in motivazione Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014).
Ad ulteriore sostegno di quanto sin qui esposto, inoltre, gli ermellini reputavano all’uopo utile anche rimarcare come, in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’Iva cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, non possa essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 c.p., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 c.c.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 c.c.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi ove non opera il principio della “par condicio creditorum” (cfr. Sez. 3 – n. 52971 del 06/07/2018).
Tal che, come visto anche prima, se ne faceva conseguire l’inammissibilità del primo motivo di impugnazione così come anche il secondo motivo che seguiva un’analoga sorte processuale.
Difatti, per quanto riguarda questa seconda doglianza, i giudici di legittimità ordinaria sottolineavano come l’evidenziazione del carattere ripetitivo delle condotte D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10 ter, per le quali del resto era stato riconosciuto il vincolo della continuazione, secondo la Corte, era di per sé conforme al dettato legislativo e come tale integrava una corretta motivazione posto che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p., la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione non osta solo qualora questi riguardino azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e non siano in numero tale da costituire ex se dimostrazione di serialità ovvero di progressione criminosa indicativa di particolare intensità del dolo o versatilità offensiva [cfr. per tutte: Sez. 4 -, n. 4649 del 11/12/2018 (dep. 30/01/2019)].
Conclusioni
La sentenza in oggetto è assai interessante nella parte in cui tratta il rapporto tra forza maggiore che, come è noto, esclude la punibilità del reato a norma dell’art. 45 cod. pen., e l’impossibilità economica di adempiere una obbligazione allorchè il suo inadempimento integri un illecito penale.
Infatti, in tale pronuncia, avvalendosi di una giurisprudenza nomofilattica elaborata in subiecta materia, è stato affermano che, se l’oggettiva impossibilità di adempiere può avere rilevanza solo se dovuta a causa di forza maggiore, tale oggettiva impossibilità rileva quale causa di forza maggiore solo nella misura in cui essa costituisca un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente mentre, invece, non bastano delle mere difficoltà economiche.
In altri termini, nei reati omissivi, integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, e non la semplice difficoltà, di porre in essere il comportamento omesso e pertanto non è sufficiente, ad esempio, un momentaneo periodo di carenza di risorse economiche, occorrendo per contro una situazione, imponderabile, imprevista ed imprevedibile che renda del tutto impossibile l’adempimento richiesto sempreché detta situazione non sia eziologicamente riconducibile ad una condotta commissiva o omissiva dell’agente (purché essa sia cosciente e volontaria).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, di conseguenza, non può che essere positivo.
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