Il presente contributo ha il fine di chiarire il perchè non si possano ritenere ammissibili scriminanti non codificate attraverso la valorizzazione della natura e della funzione svolta dalle cause di giustificazione nella struttura del reato. Sulla base di tale assunto si procederà ad analizzare il c.d. rischio sportivo.
Per avere un quadro unitario delle diverse novità normative che si sono susseguite nel tempo, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale
Indice
1. Cause di giustificazione/scriminanti: ratio, funzione e natura
Le cause di giustificazione assumono un ruolo centrale nella configurazione della punibilità se si aderisce alla tesi tripartita o quadripartita del reato [1] mentre, attengono alla stessa conformazione del fatto materiale (elemento oggettivo) tipico se si aderisce alla tesi bipartita. Infatti, secondo la teoria tripartita, così come nella teoria quadripartita [2], le cause di giustificazione sono da considerarsi al di fuori dagli elementi costitutivi del fatto materiale, attenendo alla c.d. antigiuridicità. Invece, secondo la teoria bipartita, queste svolgono un ruolo interno al fatto materiale costituendo elementi negativi dello stesso. Considerare le cause di giustificazione elemento negativo del fatto tipico o elemento esterno allo stesso comporta che, nel primo caso il fatto realizzato in presenza di una causa di giustificazione è irrilevante dal punto vista penalistico perchè alcuna fattispecie penale potrà dirsi essersi configurata mentre, nel secondo caso si è in presenza di un fatto tipico che, però, non assume rilevanza per l’ordinamento giuridico in quanto giustificato, in coerenza con il principio di non contraddizione. Comunque le si vogliano inquadrare, le cause di giustificazione svolgono una funzione unica: quella di escludere l’antigiuridicità di un certo fatto materiale che in assenza delle medesime sarebbe risultato penalmente perseguibile.
Lo si è accennato poc’anzi, il fondamento logico-giuridico delle cause di giustificazione è il principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico il quale, postula che un comportamento non possa essere ritenuto in un ambito lecito e in un altro no, alla stregua delle stesse condizioni materiali/oggettive, ne consegue che quest’ultime operano in maniera universale comportando la liceità di quel fatto in senso assoluto e dunque in tutto l’ordinamento giuridico. Alcuni, sul punto richiamano i concetti di norma generale e norma eccezionale inquadrando la fattispecie penale come norma del primo tipo e le cause di giustificazione come norme del secondo tipo. Conseguenza di tale impostazione è la prevalenza della causa di giustificazione poiché, essendo norma eccezionale, è preferita alla norma generale. Ad avviso di chi scrive, tale ragionamento parte da un assunto sbagliato e che consiste nel considerare le cause di giustificazione come norme sganciate dalla tipica norma penale. Infatti, le cause di giustificazione sono espressamente previste e dettagliatamente disciplinate dal codice penale agli artt. 50 e ss. e inquadrate nella macro area delle cause che escludono la punibilità/pena ma, questo non basta a qualificare tale dato come un elemento per suffragare un rapporto di eccezionalità tra le medesime e le fattispecie penalistiche disciplinate nella parte speciale del codice. Anzi, le cause di giustificazione devono essere considerate a tutti gli effetti norme strettamente penalistiche perchè, a prescindere dalla teoria sulla struttura del reato prescelta, svolgono un ruolo para-costitutivo della fattispecie penale e dunque strutturale. Il presente ragionamento non è scevro di conseguenze, basti pensare al divieto di analogia che in materia penale concerne, per l’opinione maggioritaria, i soli effetti negativi nei confronti del reo. In altre parole, non è possibile fare uso della tecnica analogica solo se attraverso quest’ultima si vadano a produrre degli effetti negativi (in malam partem) per i consociati, in coerenza con il principio cardine della libertà personale. Di converso, sarebbe possibile operare in via analogica quando ne derivino conseguenze positive per il reo (effetti in bonam partem). Orbene, se le cause di giustificazione devono essere considerate quali norme eccezionali, la possibilità di svolgere un intervento analogico in favor rei sarebbe esclusa a priori per via del divieto assoluto stabilito dall’art. 14 delle Preleggi: “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi, non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati” non solo con riferimento al criterio dell’eccezionalità ma, anche con riferimento alla legge penale, almeno secondo l’impostazione seguita poc’anzi. Dunque, se si è appena escluso che queste possano essere norme eccezionali, ci si chiede se le cause di giustificazione siano effettivamente norme penali e tanto basta a determinare l’esclusione o meno della possibilità di ritenere ammissibile il ricorso a cause di giustificazione diverse rispetto a quelle dettate dal codice penale, le c.d. scriminanti non codificate. Orbene, per rispondere a questo interrogativo non si deve guardare semplicisticamente alla collocazione delle medesime nel codice rispetto alla collocazione delle fattispecie di reato. In altre parole, non basta distinguere tra parte speciale e parte generale per qualificare una norma di tipo penale ma, bisogna analizzarne la struttura e la funzione. Quindi, partendo da questi due presupposti logici, per quanto affrontato in precedenza, si è in grado di rispondere in maniera affermativa. Non è possibile ammettere cause di giustificazioni non codificate perchè si tratta di norme penali in quanto concorrono alla formazione della struttura della fattispecie penale e sono funzionali allo scopo primario dell’ordinamento penale: preventivo-sanzionatorio. Infatti, se si guarda alla teoria bipartita tale conclusione risulta in maniera lampante, essendo le cause di giustificazione elementi negativi del fatto tipico ma, si giunge allo stesso risultato se si guarda alle altre teorie, essendo in tali casi comunque elementi che configurano la fattispecie. Si pensi alla fattispecie dell’omicidio doloso ex art. 575 c.p. e la si ponga in relazione all’art. 52 c.p. che disciplina la legittima difesa o all’art. 54 c.p. che norma lo stato di necessità. Orbene, dato un certo fatto materiale bisogna analizzarne l’oggettività nel contesto spaziale e temporale in cui è avvenuto. Non sarà, dunque, sufficiente procedere all’accertamento dell’azione di un uomo che ne uccide un altro ma, bisognerà proseguire nella valutazione del fatto per escludere la presenza di una causa di giustificazione. Ne consegue che la valutazione sulla conformazione o meno di una fattispecie di reato, abbia come elemento imprenscindibile la valutazione di tutti gli elementi che la compongono, tra cui rientra la non presenza di una causa di giustificazione. Tanto basta per affermare che le norme che disciplinano le cause di giustificazione sono norme penali e pertanto, sebbene se configurate comportano effetti benevoli, data l’assenza di reato, non è possibile manipolare ulteriori norme e tanto meno applicarle in via analogica perchè, ciò che è ritenuto causa di giustificazione è dettagliatamente e specificatamente previsto dal codice penale. Ecco, allora, la necessità di dovere correggere l’inquadramento delle fattispecie che vedono coinvolte situazioni ambigue e di non facile soluzione, come il rischio sportivo. Chiariti tali concetti, adesso ci si deve concentrare sul fondamento normativo del rischio sportivo partendo dal presuppostto che, per le ragioni sopra esposte, non si può fare riferimento alla presenza di scriminanti diverse rispetto a quelle codificate. Quindi, come spiegare normativamente la liceità delle attività sportive offensive in senso materiale?
Per avere un quadro unitario delle diverse novità normative che si sono susseguite nel tempo, si consiglia il seguente volume:
Le Riforme della Giustizia penale
In questa stagione breve ma normativamente intensa sono state adottate diverse novità in materia di diritto e procedura penale. Non si è trattato di una riforma organica, come è stata, ad esempio, la riforma Cartabia, ma di un insieme di interventi che hanno interessato vari ambiti della disciplina penalistica, sia sostanziale, che procedurale.Obiettivo del presente volume è pertanto raccogliere e analizzare in un quadro unitario le diverse novità normative, dal decreto c.d. antirave alla legge per il contrasto della violenza sulle donne, passando in rassegna anche le prime valutazioni formulate dalla dottrina al fine di offrire una guida utile ai professionisti che si trovano ad affrontare le diverse problematiche in un quadro profondamente modificato.Completano la trattazione utili tabelle riepilogative per una più rapida consultazione delle novità.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB), giornalista pubblicista e cultore della materia in procedura penale. Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica Diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.
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2. Il rischio sportivo non è una scriminante non codificata
A fronte del ragionamento condotto fino ad ora, si è giunti ad escludere la possibilità di ammettere l’operatività di scriminanti non codificate. Ne consegue che il c.d. rischio sportivo non può essere ritenuto tale e a fortiori bisogna capirne la natura. In via preliminare, è bene chiarire che cosa si intende per rischio sportivo. Esso, fa riferimento ad una specifica area di offesa consentita perchè, sebbene potenzialmente ed effettivamente lesiva, normativamente non lo è in quanto coperta dalla liceità. In altre parole, data la particolare natura potenzialmente lesiva dell’attività sportiva, l’ordinamento penale arretra di fronte all’area di quanto viene ritenuto necessario e funzionale allo svolgimento delle suddette attività. Pertanto, si configura una prima macro-distinzione tra ciò che rientra nel c.d. rischio sportivo e ciò che non vi rientra e di conseguenza tra ciò che è penalmente irrilevante (nel primo caso) da ciò che lo è (nel secondo caso). Per capire la linea di confine tra quanto è da considerarsi rischio sportivo e quanto esulando dallo stesso potrebbe assumere rilevanza penale, bisogna analizzare le specificità di ogni tipologia di sport. Come noto, vi sono alcuni sport che sono necessariamente offensivi perchè connaturati dall’uso della forza fisica e della violenza quali elementi costitutivi dello stesso, si pensi al pugilato. Vi sono poi altri sport che non implicano necessariamente l’uso di tali elementi ma, che lo ammettono perchè è molto probabile che accada. Orbene, tale distinzione appare troppo generica e poco coerente con la vera ratio del c.d. rischio sportivo. Infatti, ciò che rileva non è tanto la tipologia dello sport praticato ma, il rispetto delle regole che lo disciplinano. Riprendendo l’esempio del pugilato si può affermare che, sebbene sia classificato come uno sport necessariamente violento e dunque naturalmente offensivo, si pensi all’assimilazione pugni-percosse, comunque l’uso della forza fisica deve essere parametrato e indirizzato secondo rigide e speficie regole come, ad esempio, il divieto di colpire specifiche parti del corpo, ritenute sensibili, il divieto di abusare dei colpi, il divieto di fare uso di corpi estranei… Non è dunque l’uso o meno della forza violenta che discrimina il rischio sportivo dall’illecito penale ma, il modo e la funzione della stessa rispetto agli scopi naturali della specifica attività sportiva condotta. In altre parole, si considera compreso nell’area del rischio sportivo e dunque nell’area del lecito, tutto quanto risulta essere necessario, funzionale o normale conseguenza della specifica attività sportiva svolta. Famosa è la testata di un certo calciatore italiano durante una gara di calcio valevole per il campionato mondiale. Orbene, quella testata dovrebbe ritenersi lecita solo perchè avvenuta durante la partita di calcio? A fronte di quanto detto poc’anzi, si può rispondere tranquillamente in maniera negativa. Infatti, bisogna valutare la tipologia di comportamento tenuto con riferimento agli effetti prodotti in capo al soggetto leso e soprattutto in relazione alla funzione svolta dal comportamento rispetto all’obiettivo dello sport praticato in generale e rispetto alla gara di calcio in quel preciso momento in cui il comportamento è stato tenuto [3]. Ne consegue che, essendo la condotta tenuta, non funzionale all’attività calcistica in genere e alla gara specifica tenuta nella specie, perchè indirizzata nei confronti di un calciatore in un’area del campo lontana dall’area di gioco e quindi non essendoci alcun collegamento tra i soggetti coinvolti, il comportamento realizzatosi e la dinamica di gioco, del tutto assente, la testata ben può configurare il reato di percosse perchè, per quanto descritto, non può rientrare nell’area del rischio sportivo e quindi non può considerarsi lecita.
Ci si deve chiedere ora, cosa succede normativamente quando, invece, si opera all’interno dell’area del rischio consentito. In sostanza, quale causa di giustificazione opera? Si deve cercare una causa di giustificazione a monte e quindi strettamente connessa al rischio consenito stesso, oppure è possibile fare applicazione di cause di giusitifazione diverse calibrate sulla specifica attività tenuta e nello specifico “momento” sportivo in cui è avvenuta e quindi operare a valle? Considerato che si dispone di un principio regolatore tra ciò che è rischio consentito e ciò che non lo è e consistente nel rispetto delle regole proprie di ciascuna attività sportiva, perchè rispettando le regole si rispetta automaticamente la connessione funzionale che deve esserci tra l’attività sportiva tenuta e lo scopo della medesima, appare più consono fare riferimento all’individuazione di una sola causa di giustificazione che possa giustificare, appunto, l’operatività del c.d. rischio consentito o meglio ancora che lo possa rappresentare. Esulando dal fine del presente lavoro l’analisi delle singole cause di giustificazione, ci si concentra, andando ad esclusione, sul consenso dell’avente diritto e sull’esercizio del diritto. Entrambe le cause di giustificazione risultano, infatti, quelle maggiormente conformi al rischio sportivo. Invero, è logicamente possibile parlare del diritto di svolgere attività sportiva in senso generale e del diritto di svolgere quella particolare attività sportiva, il che implica il diritto di svolgerla secondo le regole che la caratterizzano, siano esse organizzative, che funzionali. Ne consegue che, a prescindere dal rapporto che vi è tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico in senso stretto, quest’ultimo adatta la propria struttura in base al rispetto o meno di quelle regole e alle conseguenze che dal mancato rispetto del primo si producono nel secondo. Pertanto, ogni volta che nel corso dello svolgimento di una specifica attività sportiva si esca dall’area del rischio consentito e si superi i confini dell’ordinamento sportivo, si entra nell’area dell’ordinamento giuridico e di conseguenza si farà applicazione dei principi e delle norme che lo regolano. Orbene, il nostro ordinamento giuridico detta norme di principio e norme specifiche che tutelano il diritto di esercitare l’attività sportiva in senso generale, per lasciare lo spazio normativo specifico all’ordinamento sportivo. Ne consegue che, per diritto ad esercitare attività sportiva si intende, come si è anticipato, sia il diritto di praticarlo in generale, sia il diritto di praticarlo secondo le specificità dell’attività sportiva concretamente svolta e dunque, secondo le regole sportive specifiche. La scriminante dell’esercizio del diritto, allora, potrà configurarsi sulla base del rispetto delle regole sportive specifiche afferenti alla struttura e alla funzione della specifica attività sportiva svolta. Per quanto riguarda la scriminante del consenso dell’avente diritto, quest’ultima risulterebbe, secondo l’opinione maggioritaria, non applicabile perchè, sulla base dell’art. 5 c.c. nessuno può consentire a subire lesioni personali, data l’indisponibilità del bene integrità fisica. Invero, ad avviso di chi scrive, anche tale scriminante può operare perchè ciò a cui si consente non è certo subire una lesione ma, ancora una volta, si consente al corretto svolgimento di una specifica attività sportiva e dunque si consente al normale svolgimento della medesima. Infatti, eventuali lesioni subite nel corso del regolare svolgimento dell’attività sportiva, tralasciando l’operatività delle assicurazioni, non deriverebbero da azioni sconnesse alle regole di condotta ma, da azioni determinate dallo svolgimento dell’attività sportiva stessa. A dire il vero, si potrebbe aprire il discorso procedendo verso l’analisi dell’elemento soggettivo e spostare il focus del ragionamento sull’assenza o meno del medesimo e risolvere in tal senso l’esame delle condotte specifiche tenute, tenendo fermo il punto di relazione: il rispetto delle regole specifiche e proprie dell’attività sportiva tenuta.
Tornando al focus del presente contributo, a fronte del ragionamento logico e normativo seguito, si può affermare che, il rischio sportivo può sicuramente essere inglobato nella scriminante dell’esercizio del diritto e chiarito l’oggetto del consenso, può essere riconnesso anche alla scriminante del consenso dell’avente diritto. In entrambi i casi, comunque ci deve essere un diritto riconosciuto, direttamente dall’ordinamento giuridico in relazione all’esercizio del diritto, con doppio passaggio, dall’ordinamento in senso generico e dall’avente diritto in senso specifico, in relazione al consenso dell’avente diritto.
3. Conclusione
Sebbene, risulti ancora travagliato l’iter per individuare in maniera univoca la natura del rischio sportivo in relazione all’ordinamento penale e quindi chiarire definitivamente il piano strutturale su cui esso agisce, comunque si dovrebbe procedere mantenendo un punto fermo: l’inamissibilità di scriminanti non codificate. Si è voluto mantenere il percorso logico affrontato solo sul piano delle cause di giustificazione perchè è questa l’area nella quale il rischio sportivo viene inquadrato dalla giurisprudenza maggioritaria e da buona parte della dottrina: scriminante ulteriore. In tal senso, si è spiegato il fondamento logico-giuridico che impone la rielaborazione concettuale appena esposta, poiché sono la stessa struttura e la stessa funzione svolta dalle cause di giustificazione a non ammettere l’esistenza di scriminanti non codificate, in coerenza con i principi che costituiscono l’anima del diritto penale. Pertanto, se il piano di analisi deve essere quello delle cause di giustificazione, ci si dovrà orientare su quelle tipizzate e individuare un nesso strutturale tra queste e il rischio sportivo.
- [1]
Facciolini T., La teoria bipartita, la teoria tripartita e le teorie pluri-ripartite del reato, Dirittto & Diritti, Diritto.it, 9\6\2022, disp. su https://www.diritto.it/la-teoria-bipartita-la-teoria-tripartita-e-le-teorie-pluri-ripartite-del-reato/
- [2]
La teoria quadripartita appartenente alla scuola del Marinucci e del Dolcini scopone il reato in quattro parti: fatto umano, antigiuridico, colpevole e punibile, riservano alle cause di punibilità un ruolo interno alla tipicità del reato.
- [3]
Si prenda nota della sentenza della Corte di Cassazione n. 9559/2016, intervenuta sui presupposti del rischio consentito in ambito sportico e dunque sul rischio sportivo quale scriminante ulteriore: mancanza di collegamento funzionale tra l’evento lesivo e la competizione sportiva; violenza sia non proporzionata alle caratteristiche del gioco; finalità lesiva prevalente nell’azione compiuta.
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