In tema di estinzione della pena per decorso del tempo, non è consentito al giudice dell’esecuzione penale, ai fini dell’applicazione del disposto dell’art. 172 c.p., comma 7, di sindacare l’esistenza della recidiva, se accertata in sede di cognizione.

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Nota a Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 8 aprile 2015 (dep. 18 maggio 2015), n. 20496, Pres. U. Giordano, Giud. estens. A. Centonze.

 

Nella sentenza n. 20496 emessa dalla prima della Corte di Cassazione in data 8 aprile 2015, è stato affrontato il tema inerente come e quando la recidiva rilevi, come condizione ostativa, in materia di estinzione della pena per decorso del tempo.

Nella fattispecie in esame, venne emessa, in sede di esecuzione, un’ordinanza con la quale fu rigettata l’opposizione proposta avverso il diniego della declaratoria di estinzione per prescrizione della pena dato che, secondo quanto dedotto in questo provvedimento, «dall’esame dell’ordinanza opposta risultava evidente che (…) la Corte di (…) non aveva desunto la recidiva dalla sommatoria delle sentenze irrevocabili di condanna che erano state inflitte al omissis, ma dal giudizio effettuato in sede di cognizione da altri organi giurisdizionali».

La difesa ha impugnato l’ordinanza in sede di legittimità rilevando come essa si sarebbe posta «in contrasto con il principio giurisprudenziale secondo cui la recidiva non è uno status soggettivo, implicitamente desumibile dal certificato penale ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna emessi nei confronti di un soggetto, con la conseguenza che, per produrre effetti penali, deve essere ritenuta dal giudice del processo di cognizione, a seguito della sua regolare contestazione».

Secondo il difensore, di conseguenza, «non è consentito al giudice dell’esecuzione, ai fini dell’applicazione dell’art. 172 c.p., comma 7, desumere la condizione di soggetto recidivo dell’esecutato dall’esame meramente documentale dei precedenti penali, in mancanza di un accertamento in sede di cognizione, a nulla rilevando la non obbligatorietà della relativa contestazione (cfr. Sez. 1, n. 46299 del 06/10/2004, dep. 29/11/2004, omissis, Rv. 230295)».

Ciò posto, il Supremo Consesso ha ritenuto infondato tale motivo di ricorso.

In particolare, la Corte di Cassazione, partendo dal presupposto secondo cui andava rilevato in via preliminare che «la condizione di recidiva ostativa alla declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione della pena irrogata ad omissis era stata ritenuta all’esito dei procedimenti di cognizione», è giunta alla conclusione secondo la quale «il giudice dell’esecuzione non disponeva del potere di sindacare l’accertamento della recidiva operato nei confronti del omissis nell’ambito di pregressi giudizi di cognizione, atteso che affinchè l’estinzione della pena non abbia luogo è sufficiente che la causa ostativa della recidiva risulti perfezionata in epoca antecedente a quella di maturazione del dies ad quem del termine di prescrizione».

Al riguardo, a sostegno di questo assunto, gli ermellini hanno citato il seguente principio di diritto: «“L’estinzione della pena per decorso del tempo non opera nei confronti dei condannati recidivi di cui ai capoversi dell’art. 99 c.p., a condizione che la recidiva venga accertata in un qualsiasi momento immediatamente precedente al decorso del termine di prescrizione della pena” (cfr.Sez. 1, n. 13398 del 19/02/2013, dep. 21/03/2013, omissis, Rv.256022)» «a nulla rilevando in senso contrario la non obbligatorietà della relativa contestazione (cfr.Sez. 1, n. 30707 del 16/04/2002, dep. 13/09/2002, omissis, Rv. 222238)».

Posto ciò, tale tracciato argomentativo si palesa condivisibile in quanto si innesta lungo il solco di un costante orientamento nomofilattico con cui è stato parimenti affermato lo stesso criterio interpretativo.

Infatti, proprio in una delle pronunce citate nella decisione in commento (cioè: la numero 13398), la Cassazione, partendo dal presupposto secondo cui «“la recidiva non è un mero status soggettivo desumibile dal certificato penale ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna emessi nei confronti di una persona, sicchè, per produrre effetti penali, deve essere ritenuta dal giudice del processo di cognizione dopo una sua regolare contestazione in tale sede»[1], è pervenuta a rilevare che, «in ordine alla estinzione della pena per decorso del tempo, non è consentito al giudice dell’esecuzione, ai fini dell’applicazione dell’art. 172 c.p.p., comma 7, desumere la recidiva dall’esame dei precedenti penali, in mancanza di un accertamento in sede di cognizione, a nulla rilevando la non obbligatorietà della relativa contestazione” (v. ex plurimis: Sez. 1, n. 46229 del 06/10/2004 – dep. 29/11/2004, omissis, Rv. 230295; Sez. 1, n. 10425 del 02/02/2005 – dep. 16/03/2005, omissis, Rv. 231209; Sez. 1, n. 44061 del 21/10/2008 – dep. 26/11/2008, omissis, Rv. 241836)»[2].

Del resto, pure alla luce di quell’indirizzo ermeneutico secondo cui non è sufficiente che la recidiva sia accertata in sede di cognizione, occorrendo altresì che tale circostanza riguardi «condanne anteriori a quella che ha dato luogo alla pena della cui estinzione si tratta (in termini cfr. Cass. 3^ 2 aprile 1965, omissis, RV 099579)»[3], la pronuncia si palesa corretta dato che, nel caso di specie, la recidiva è stata dichiarata in riferimento a delle pronunce emesse in date antecedente rispetto a quella con cui veniva comminata la pena di cui è stata chiesta l’estinzione per intervenuta prescrizione.

Un profilo di criticità ermeneutico potrebbe però emergere, ad avviso di chi scrive, alla stregua di quell’approdo ermeneutico, sempre adottato in sede di legittimità, secondo cui, ai «fini dell’operatività del disposto di cui all’art. 172, comma 7, c.p., che esclude l’estinguibilità della pena per decorso del tempo nel caso di recidiva qualificata, non è richiesto che la recidiva sia stata dichiarata in relazione a condanne intervenute prima di quella con la quale è stata inflitta la pena della cui estinzione si tratta, essendo invece sufficiente che la declaratoria sia intervenuta prima della scadenza del termine entro il quale l’estinzione si sarebbe maturata»[4].

Secondo la Corte di Cassazione, difatti, se è «inapplicabile la prescrizione ai condannati i quali, durante il tempo necessario per l’estinzione della pena, siano stati riconosciuti come recidivi»[5], ciò altro non significa «che si deve avere riguardo a periodo necessariamente successivo alla data della condanna che ha inflitto la pena di cui si controverte sulla estinzione e necessariamente posteriore alla data di commissione del delitto per il quale la pena di cui si chiede l’estinzione è stata inflitta»[6].

D’altronde, la stessa Corte ha evidenziato, a sostegno della fondatezza di quanto espresso in questo indirizzo interpretativo, che «è esplicita la indicazione normativa della residua e concorrente causa impeditiva, costituita dalla commissione di un delitto della stessa indole, alla quale la legge ricollega rilevanza in funzione del dato cronologico della perpetrazione del reato “durante il tempo necessario per l’estinzione della pena” e, dunque, in epoca necessariamente posteriore alla data della condanna che ha inflitto la pena de qua e, a fortiori, posteriore alla data di commissione del delitto per il quale la pena in questione è stata applicata».

Quindi, seguendo il ragionamento giuridico intrapreso dalla Corte nel passo decisorio appena citato, se l’art. 172, co. VII, c.p. stabilisce che l’estinzione della pena non ha luogo qualora il condannato commetta un illecito penale della stessa indole «durante il tempo necessario per l’estinzione della pena», e considerato altresì che il decorso del tempo, a norma dell’art. 172, co. IV, c.p., decorre «dal giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile», non si dovrebbe prevedere, per evidenti ragioni di uniformità normativa, una diversa disciplina giuridica per le altre condizioni ostative previste dall’art. 172, co. VII, c.p. e quindi, pure quella in oggetto (vale a dire la recidiva).

Nel caso di specie, il fatto che la recidiva fosse stata dichiarata in sentenze emesse oltre quindici anni prima da quella in cui è stata irrogata la pena per cui è stata richiesta la prescrizione, se da un lato, non consentirebbe di stabilire con certezza se il periodo considerato sia stato effettivamente posteriore alla data di commissione del delitto per il quale la pena di cui si chiede l’estinzione è stata inflitta (non potendosi sapere se la sentenza, con cui è stata comminata la pena di cui si invocava l’estinzione, concernesse un reato commesso prima o dopo quelli con cui è stata dichiarata la recidiva), dall’altro, consentirebbe viceversa di poter accertare come il lasso temporale stimato, per ravvisare la sussistenza di questa condizione ostativa, avesse riguardato il periodo successivo alla data della condanna che ha inflitto la pena di cui si controverte sulla estinzione.

Di conseguenza, alla luce di questo indirizzo interpretativo, l’emissione di una sentenza, avvenuta a distanza di quindici anni da quelle in cui è stata dichiarata la recidiva, avrebbe dovuto escludere la rilevanza della dichiarazione di questa circostanza aggravante nel caso di specie.

Ad ogni modo, ove la lettura dei fatti deponga effettivamente per la configurabilità nel caso in questione di questo filone interpretativo, ciò non inficerebbe la legittimità del provvedimento in esame atteso che comunque la Corte si sarebbe avvalsa dell’altro orientamento interpretativo menzionato in precedenza.

Sarebbe comunque opportuno che intervenissero le Sezioni Unite al fine di chiarire come ed in che termini la recidiva, una volta contestata e accertata nel giudizio di merito, rilevi quale condizione ostativa a norma dell’art. 172, co. VII, c.p. e segnatamente: se è necessario che la recidiva debba essere dichiarata in condanne emesse anteriormente a quella che ha dato luogo alla pena della cui estinzione si tratta ovvero debba all’opposto essere applicata in quelle comminate in epoca necessariamente posteriore alla data della condanna che ha inflitto la pena.

Solo in tal modo, difatti, verrebbe chiarito quale dei due indirizzi interpretativi debba osservarsi garantendo in tale modo certezza di diritto in ordine a come debba essere interpretato l’art. 172, co. VII, c.p..

 

 


[1]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 19 febbraio 2013 (dep. 21 marzo 2013), n. 13398, in CED Cass. pen., 2013.

[2]Ibidem.

[3]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 24 giugno 2009 (dep. 17 luglio 2009), n. 29856, in CED Cass. pen., 2009.

[4]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 3 ottobre 2013 (dep. 5 novembre 2013), n. 44612, in Riv. pen., 2014, 1, 56.

[5]Ibidem.

[6]Ibidem.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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