In materia di rimessione del processo, cosa deve intendersi per “grave situazione locale”

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 45)

Il fatto

Si procedeva ai sensi dell’art. 625-bis, comma 3, cod. proc. pen., avendo la Corte di Cassazione rilevato d’ufficio, benché su segnalazione pervenuta in cancelleria da parte dei difensori interessati, la verosimile verificazione di un errore percettivo per effetto del quale, con una sentenza errata dichiarata inammissibile, a norma dell’art. 46, commi 1 e 4, cod. proc. pen., una richiesta di rimessione avanzata sul presupposto dell’omessa notifica della medesima ad altri imputati nel medesimo processo.

Pur tuttavia, dalle indicazioni ulteriormente pervenute dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, giudice procedente, ad integrazione e chiarimento di quanto contenuto nel fascicolo originariamente trasmesso, era stato però possibile successivamente rilevare che il giudizio nei confronti dell’odierno istante, seppur a seguito di separazione da più ampio processo contro una pluralità di imputati, pendeva soltanto nei confronti dello stesso.

Tanto premesso, si rilevava che, con atto dei propri difensori e procuratori speciali, veniva avanzata richiesta di rimessione del processo che lo vedeva imputato dinanzi alla Corte di Appello di Reggio Calabria per il delitto di cui all’art. 416-bis, cod. pen., con l’accusa di aver fatto parte, con compiti direttivi, della cosca di “ndrangheta” facente capo alla sua famiglia.

Si deduceva a tal proposito l’esistenza di un condizionamento dell’intero ufficio giudiziario procedente per cui l’imputato sarebbe stato giudicato, non sulla base delle specifiche emergenze processuali a suo carico, bensì in ragione della sua appartenenza a tale famiglia di elevato rango mafioso.

Tale pregiudizio sarebbe stato reso manifesto dalla sistematica adozione, da parte del Collegio giudicante, di ordinanze processuali gravemente pregiudizievoli per le garanzie difensive con particolare riferimento alle relative istanze istruttorie valutate con un metro di giudizio nettamente differente rispetto a quello impiegato per le analoghe richieste del Pubblico ministero.

In particolare, poi, vi sarebbero stati precisi indici rivelatori di una mancanza di serenità, o comunque di una probabilità di condizionamento, ancorché involontaria, dei magistrati di quel distretto di Corte d’Appello.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

La richiesta di remissione veniva dichiarata inammissibile per la manifesta infondatezza dei relativi motivi.

Si riteneva a tal riguardo come dovessero trovare applicazione, anche nel caso specifico, princìpi ormai consolidati nella giurisprudenza che si era andata formando in subiecta materia.

Si reputava utile rammentare, in proposito, che l’istituto della rimessione ha carattere eccezionale, implicando una deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge: come tale, comporta la necessità di un’interpretazione restrittiva delle disposizioni che lo regolano, in esse comprese quelle che stabiliscono i presupposti per la translatio iudicii.

Tal che se ne faceva conseguire che, per “grave situazione locale”, deve intendersi un fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante il contesto territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da abnormità e consistenza tali da far reputare inequivocamente sussistente un pericolo concreto per la non imparzialità dell’intero ufficio giudiziario, e non soltanto di singoli magistrati ivi in servizio in guisa tale che, soltanto, quindi, in presenza di tal grave situazione locale e come conseguenza di essa, possono configurarsi motivi di c.d. legittimo sospetto (Sez. U, ord. n. 13687 del 28/01/2003; Sez. 3, n. 24050 del 18/12/2017; Sez. 3, n. 23962 del 12/05/2015).

A fronte di ciò, ad avviso del Supremo Consesso, invece, non ricorrono gli estremi per la rimessione nel caso in cui il rischio di turbamento della libertà valutativa e decisoria del giudice sia prospettato semplicemente come probabile, poiché scaturente da timori, illazioni e sospetti non espressi da fatti oggettivi né dotati di intrinseca capacità dimostrativa (Sez. 2, n. 2565 del 19/12/2014; Sez. 6, n. 11499 del 21/10/2013; Sez. 6, n. 22113 del 06/05/2013).

In particolare, in coerenza con gli enunciati princìpi, veniva quindi fatto presente che i provvedimenti ed i comportamenti del giudice possono assumere rilevanza, in prospettiva di una rimessione, soltanto a condizione che siano l’effetto di una grave situazione locale e che, per le loro caratteristiche oggettive, siano sicuramente sintomatici della mancanza d’imparzialità dell’ufficio giudiziario nel quale si svolge il processo, complessivamente inteso (sez. U, n. 13687 del 2003, cit.) mentre, viceversa, nel caso in cui si dubiti dell’imparzialità di singoli giudici o magistrati del pubblico ministero, l’osservanza delle regole del giusto processo può essere assicurata mediante i differenti istituti dell’astensione e della ricusazione, senza necessità del trasferimento del processo ad altro ufficio giudiziario (Sez. 6, n. 13419 del 05/03/2019, in fattispecie relativa alla partecipazione al processo di magistrati asseritamente incompatibili per le loro pregresse funzioni o, addirittura, per relazioni familiari od amicali con soggetti interessati alla vicenda oggetto di giudizio).

Da tanto, nel caso specifico, se ne faceva conseguire che: 1) di nessun significato si presentavano le addotte anomalie procedimentali, in particolare nella valutazione delle richieste istruttorie delle parti, poiché, per la Suprema Corte, anzitutto, esse non rappresentavano situazioni esterne alla dialettica processuale ma altresì in quanto non integravano neppure mere irregolarità in rito costituendo, perciò, momenti di confronto processuale del tutto fisiologici; 2) le allegazioni difensive (ovvero il biglietto manoscritto e le dichiarazioni dei collaboranti) erano estremamente generiche nonché relative a fatti oltremodo risalenti nel tempo e perciò tali da non raggiungere nemmeno la soglia della suggestione; 3) il ricorso non spiegava, inoltre, perché le vicende che avevano indotto all’astensione.

Alla inammissibilità, come sopra evidenziato, inoltre, se ne faceva conseguire la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento posto che l’art. 616, cod. proc. pen. contiene un principio generale, che si applica a tutti i giudizi, principali o incidentali, dinanzi al giudice di legittimità (Sez. 5, n. 49692 del 04/10/2017; Sez. 1, n. 944 del 09/02/2000; Sez. 1, n. 4633 del 15/07/1996) fermo restando che, se non sfuggiva alla Suprema Corte l’esistenza di affermazioni differenti, sul punto, da parte di questa stessa Corte di legittimità, fondate su un duplice presupposto: l’espressa previsione della condanna, ancorché facoltativa, al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, ma non anche delle spese giudiziali (art. 48, comma 6, cod. proc. pen.) e la non equiparabilità della richiesta di rimessione ad un’impugnazione, trattandosi di strumento funzionale a scongiurare un pericolo per un interesse, qual è quello dell’imparzialità dell’esercizio della funzione giudiziaria, che trova espresso presidio costituzionale nell’art. 111 della Carta fondamentale (Sez. 2, n. 15480 del 21/02/2017), un siffatto argomentare non veniva però recepito nella sentenza qui in commento atteso che l’assenza di una previsione espressa, in difetto di specifiche eccezioni, sempre per il Supremo Consesso, non esclude, ma anzi impone, l’applicazione della regola generale contenuta nel citato art. 616 tenuto conto altresì del fatto che l’obbligo del pagamento delle spese processuali è un istituto generale, causalmente connesso alla soccombenza processuale, e non esclusivamente legato al regime delle impugnazioni tanto che l’art. 535, cod. proc. pen., lo prevede anche per il caso di condanna in primo grado.

Da ciò si giungeva alla conclusione secondo cui l’ipotesi di una differente disciplina per la richiesta di rimessione non può trovare adeguata giustificazione nella collocazione dogmatica di quella al di fuori dei mezzi di impugnazione così come la manifesta carenza di diligenza giustificava altresì la condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito, in materia di rimessione del processo, cosa deve intendersi per “grave situazione locale”.

Difatti, se, come è noto, in “ogni stato e grado del processo di merito, quando gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l’incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto, la Corte di cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell’imputato, rimette il processo ad altro giudice, designato a norma dell’articolo 11” c.p.p. (art. 45 c.p.p.), in tale pronuncia, come appena accennato, citandosi precedenti conformi, si afferma che, per “grave situazione locale”, deve intendersi un fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante il contesto territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da abnormità e consistenza tali da far reputare inequivocamente sussistente un pericolo concreto per la non imparzialità dell’intero ufficio giudiziario, e non soltanto di singoli magistrati ivi in servizio in guisa tale che, come affermato in un arresto giurisprudenziale del 2003, i provvedimenti ed i comportamenti del giudice possono assumere rilevanza, in prospettiva di una rimessione, soltanto a condizione che siano l’effetto di una grave situazione locale e che, per le loro caratteristiche oggettive, siano sicuramente sintomatici della mancanza d’imparzialità dell’ufficio giudiziario nel quale si svolge il processo, complessivamente inteso.

Al contrario, invece, sempre in tale provvedimento, come già affermato in precedenza dalla stessa Cassazione, non ricorrono gli estremi per la rimessione nel caso in cui il rischio di turbamento della libertà valutativa e decisoria del giudice sia prospettato semplicemente come probabile, poiché scaturente da timori, illazioni e sospetti non espressi da fatti oggettivi né dotati di intrinseca capacità dimostrativa fermo restando che, comunque, nel caso in cui si dubiti dell’imparzialità di singoli giudici o magistrati del pubblico ministero, l’osservanza delle regole del giusto processo può essere assicurata mediante i differenti istituti dell’astensione e della ricusazione, senza necessità del trasferimento del processo ad altro ufficio giudiziario.

Tale pronuncia, quindi, ben può essere presa nella dovuta considerazione per verificare la sussistenza di una grave situazione locale atta a determinare la rimessione del processo a norma dell’art. 45 e seguenti c.p.p..

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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