In materia di mandato d’arresto europeo c.d. esecutivo, come deve essere svolto l’accertamento di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante del regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna

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(Annullamento con rinvio)

[Riferimenti normativi: Legge n. 69/2005, artt. 2, 16 e 18 lett. h)]

Il fatto

La Corte di appello di Bologna dichiarava sussistenti le condizioni per l’accoglimento della richiesta di consegna di cui al mandato di arresto europeo emesso nei confronti di M. C., tratto in arresto in Italia il 01/08/2019 e poi sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere.

Rilevava in particolare questa Corte di appello come: a) il mandato di arresto europeo fosse stato emesso per dare esecuzione alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione di cui alla sentenza irrevocabile del 22/04/2019 con la quale era stato condannato il C. in relazione ai reati di guida senza patente e in stato di ebbrezza; b) il secondo di tali reati rientrasse nel novero di quelli per i quali, sussistendo il requisito della doppia punibilità, la legge 22 aprile 2005, n. 69 (contenente le “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri”), prevede la consegna obbligatoria e, comunque, come lo stesso avesse corrispondenza con l’analogo reato previsto dall’ordinamento giuridico italiano; c) non vi fossero ragioni per rifiutare la consegna, avendo il difensore offerto solo generiche indicazioni in ordine alle condizioni detentive alle quali il condannato dovrebbe essere sottoposto.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale provvedimento presentava ricorso il detenuto, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale, formalmente con due distinti punti, deduceva violazione di legge, in relazione agli artt. 2, 16 e 18 lett. h) della legge n. 69 del 2005, e alle connesse disposizioni della sopra citata decisione quadro dell’Ue e i collegati vizi di motivazione per avere la Corte di appello erroneamente accolto la richiesta di consegna proveniente da un paese nel quale l’interessato sarebbe stato sottoposto ad un trattamento penitenziario contrario alla dignità umana con riferimento sia alle dimensioni e alle caratteristiche della cella in cui lo stesso verrà ospitato, sia al regime detentivo generale, indicato in maniera indeterminata.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

 

Il ricorso veniva ritenuto fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava prima di tutto come costituisca ius receptum nella giurisprudenza della Cassazione il principio secondo il quale, in tema di mandato di arresto europeo c.d. esecutivo, l’accertamento di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante del regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna, deve essere svolto, secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia della Unione europea (sentenza 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C 659/15, Caldararu), attraverso la richiesta allo Stato emittente di tutte le informazioni relative alle specifiche condizioni di detenzione previste per l’interessato (Sez. 6, n. 47891 del 11/10/2017; conf. Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016 nella quale si è chiarito come debba “ritenersi integrare una situazione di grave ed intollerabile sovraffollamento, suscettibile di integrare i presupposti dell’art. 3 CEDU, la detenzione della persona in uno spazio inferiore a tre metri quadrati in regime chiuso; mentre come tale “forte presunzione” di disumanità della restrizione in caso di superficie inferiore a detta soglia possa nondimeno essere superata in presenza di circostanze che consentano al detenuto di beneficiare di maggiore libertà di movimento durante il giorno, rendendogli possibile il libero accesso alla luce naturale ed all’aria, sì da compensare l’insufficiente assegnazione di spazio”).

Premesso ciò, ad avviso della Corte, di tale regula iuris la Corte di appello di Bologna non aveva fatto corretta applicazione omettendo, pur in presenza di una richiesta difensiva sufficientemente circostanziata, di richiedere specifiche informazioni sulle caratteristiche del regime detentivo, sui vari istituti ove il prevenuto doveva essere assegnato, sui verosimili sviluppi dell’esecuzione della pena che, nel tempo, l’avrebbero riguardato nonché sul regime carcerario che gli sarebbero stato riservate occorrendo appurare: la superficie della cella cui doveva essere assegnato il ricorrente; se lo stesso sarebbe stato affidato al regime detentivo c.d. “aperto” o “semiaperto” che ha qualità operative di maggiore libertà di movimento sopra, o a regimi detentivi “chiusi“; quale sarebbero state le condizioni igieniche e sanitarie dell’istituto, il tipo di attività educative e assistenziali con descrizione che avrebbe dovuto essere ‘individualizzata‘ posto che il controllo sulla osservanza dell’art. 3 CEDU, secondo quanto specificato dalla Corte di Strasburgo, “impone allo Stato l’obbligo positivo di assicurarsi che tutte le persone ristrette siano detenute in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato a uno stress o a una prova la cui intensità superi il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, considerate le esigenze pratiche della carcerazione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati in maniera adeguata” (così, da ultimo nella sentenza Ciobanu c. Romania e Italia, n. 4509/08, §§ 44, 9 luglio 2013).

La sentenza impugnata veniva, dunque, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.

Conclusioni

La sentenza in esame è di un certo interesse in quanto in essa si chiarisce come deve essere svolto l’accertamento di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante del regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna nel caso in cui venga emesso il mandato d’arresto europeo c.d. esecutivo.

Si evidenzia difatti in tale decisione, richiamandosi giurisprudenza elaborata dalla Corte di Giustizia e dalla Corte di Cassazione, che, in tema di mandato di arresto europeo c.d. esecutivo, l’accertamento di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante del regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna, deve essere svolto, secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia della Unione europea dovendo ciò avvenire attraverso la richiesta allo Stato emittente di tutte le informazioni relative alle specifiche condizioni di detenzione previste per l’interessato atteso che il controllo sulla osservanza dell’art. 3 CEDU, secondo quanto specificato dalla Corte di Strasburgo, “impone allo Stato l’obbligo positivo di assicurarsi che tutte le persone ristrette siano detenute in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato a uno stress o a una prova la cui intensità superi il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, considerate le esigenze pratiche della carcerazione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati in maniera adeguata.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, pertanto, non può che essere positivo.

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