In guida in stato d’ebbrezza, spetta all’accusato dimostrare la sussistenza di vizi nell’esecuzione dell’aspirazione

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In guida in stato d’ebbrezza, spetta all’accusato dimostrare la sussistenza di vizi o errori di strumentazione o di metodo nell’esecuzione dell’aspirazione ovvero di vizi correlati all’omologazione dell’apparecchio

Sull’argomento, vedasi: Carlo Alberto Zaina, Guida in stato di ebbrezza

Indice:

Il fatto

La Corte di Appello de L’Aquila confermava una sentenza emessa dal Tribunale di Vasto con cui l’imputato era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi quattro di arresto e di euro mille di ammenda, con applicazione della sospensione della patente di guida per la durata di mesi diciotto, in relazione al reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c), C.d.S. (guida in stato di ebbrezza).

In particolare, la Corte territoriale aveva evidenziato come, in base alle prove orali e documentali acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, fosse stato dimostrato il corretto funzionamento dell’apparecchio utilizzato dagli operanti per effettuare l’alcoltest e che, comunque, il ricorrente non avesse sollevato contestazioni specifiche sul punto.

Del resto, sempre ad avviso dei giudici di seconde cure, la circostanza che gli agenti della Polizia Municipale, essendo sprovvisti dell’apparecchio, avevano condotto l’imputato presso gli uffici della Polizia Stradale dove era stato effettuato l’alcoltest, aveva comportato conseguenze solo favorevoli all’accusato, avendo procrastinato l’espletamento dell’accertamento, consentendo così un’ulteriore riduzione del tasso alcolemico.

Ciò posto, l’esito dell’accertamento evidenziava un tasso alcolemico estremamente elevato per cui appariva difficile ricondurlo al consumo di alcuni cioccolatini notoriamente contenenti una quantità di liquore irrisoria fermo restando che, in ogni caso, a prescindere dalla natura della sostanza ingerita, permaneva il dato obiettivo costituito dal riscontro di un elevatissimo tasso alcolemico riscontrato.

Orbene, a fronte di tale dato obiettivo, le circostanze riferite dai testi a difesa erano stimate ininfluenti in quanto l’assunzione poteva essere avvenuta in assenza dei testimoni escussi, tenuto conto altresì del fatto che il tasso alcolemico riscontrato poteva consentire all’imputato di svolgere le attività riportate negli atti (arrestare la marcia dell’autovettura, scendere dal mezzo, comprendere l’avviso relativo alla facoltà di nominare un difensore, soffiare nell’apparecchio etilometro) le quali erano a loro volta elementari e non apparivano incompatibili con il tasso evidenziato.

D’altronde, proprio nello svolgimento di tali attività, gli operanti riscontravano anomalie sintomatiche dello stato di alterazione, decidendo, quindi, di sottoporre l’accusato all’alcoltest.

La Corte di merito, per di più, aveva escluso la rilevanza della documentazione prodotta in udienza dalla difesa mentre, quanto al profilo sanzionatorio, essa aveva rilevato come le circostanze attenuanti generiche fosse state già concesse dal giudice di primo grado, evidenziando che la loro incidenza era limitata alla pena principale e non alle pene accessorie (pena base di mesi sei di reclusione ed euro millecinquecento di multa; ridotta per le circostanze attenuanti generiche a mesi quattro di reclusione ed euro mille di multa).

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato il difensore dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 507 cod. proc. pen. in relazione alla richiesta di acquisire la documentazione relativa all’utilizzo dell’etilometro e dell’art. 45, comma 6, D. Lgs. n. 285 del 1992, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 2015, perché la Corte di appello aveva erroneamente fatto ricadere sull’imputato l’onere di provare la regolarità dell’apparecchiatura usata per rilevare il tasso alcolico, facendosi presenti altresì, per un verso, che il verbale di P.G. non conteneva gli estremi dell’etilometro utilizzato e l’attestazione della sua previa sottoposizione ad omologazione e calibratura, per altro verso, che il verbale di P.G. conteneva solo il nome e il cognome della persona sottoposta a esame ed era privo di riferimenti ai fattori imprescindibili per calcolare il tempo necessario all’organismo affinché l’alcool metabolizzato potesse essere espirato tramite i polmoni, quali peso, gradazione alcolica del liquido bevuto (nello specifico il liquore di cioccolatini …), stomaco vuoto o pieno, quantità di cibo ingerito e orario dell’assunzione e/o anche della bevuta fermo restando che, se l’onere di provare il corretto assolvimento degli obblighi di preventiva verifica della regolare omologazione e calibratura dell’apparecchiatura utilizzata per l’effettuazione dell’alcoltest grava sulla pubblica amministrazione, il verbale dell’accertamento effettuato mediante etilometro deve contenere l’attestazione della verifica della preventiva sottoposizione dell’apparecchio da adoperare per l’esecuzione dell’alcooltest alla prescritta e aggiornata omologazione e all’indispensabile corretta calibratura; 2) violazione e la falsa applicazione dell’art. 507 cod. proc. pen. in relazione alla richiesta rinnovazione istruttoria per accertare con chiarezza la data dei fatti, rilevandosi a tal proposito che originariamente nel capo di imputazione la data del reato era stata erroneamente indicata in quella del 26 aprile 2015 e che poi era corretta nel corso del dibattimento in quella del 24 aprile 2015, a chiusura del dibattimento e da ciò se ne faceva conseguire che l’intero processo, quindi, era stato celebrato su un atto presupposto completamente errato in quanto il Tribunale avrebbe dovuto riconvocare i testi ex art. 507 cod. proc. pen. affinché confermassero l’avvenuta correzione della data; 3) violazione dell’art. 51 cod. proc. civ. poiché il giudice di primo grado, avendo, in precedenza, pronunciato sentenza di condanna nei confronti del medesimo difensore per il reato di cui all’art. 343 cod. pen., avrebbe dovuto astenersi dalla decisione nei confronti dell’assistito, osservandosi al contempo che il ricorrente era stato condannato, sull’emotività del momento, per il reato di oltraggio su fatti inesistenti, e da ciò se ne faceva inferire che il magistrato avrebbe dovuto astenersi ex art. 51 cod. proc. pen. dal giudicare nell’ambito del presente procedimento; 4) violazione dell’art. 62, n. 6, cod. pen. deducendosi che erroneamente non era stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen. in quanto l’imputato si era reso disponibile ad effettuare lavori socialmente utili presso i Comuni di Cupello e di San Salvo; 5) violazione di legge con riferimento all’art. 62 bis cod. pen. essendo stata censurata l’entità della diminuzione disposta per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche; 6) violazione di legge in relazione alla durata delle sanzioni accessorie, deducendosi che, ai fini dell’applicazione di una sanzione accessoria, si deve avere riguardo alla pena principale irrogata in concreto, come risultante a seguito della diminuzione effettuata per l’applicazione delle circostanze attenuanti e per la scelta del rito, mentre, invece, se la condanna a pena detentiva era prossima al minimo di pena, la pena accessoria era molto vicina al massimo nonostante il corretto comportamento dell’imputato.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era ritenuto inammissibile in quanto, ad avviso del Supremo Consesso, basato su motivi manifestamente infondati o non proponibili in sede di legittimità.

Quanto alla prima doglianza, gli Ermellini notavano, una volta fatto presente che l’omologazione e le verifiche periodiche dell’etilometro sono espressamente previste dall’art. 379, commi 6, 7 e 8, Reg. esec. C.d.S., approvato con d.P.R. 16 novembre 1992, n. 495, che, secondo giurisprudenza consolidata, anche nel caso del giudizio penale per guida in stato d’ebbrezza ex art. 186, co. 2, CDS, nell’ambito del quale assuma rilievo la misurazione del livello di alcool nel sangue mediante etilometro, all’attribuzione dell’onere della prova in capo all’accusa circa l’omologazione e l’esecuzione delle verifiche periodiche sull’apparecchio utilizzato per l’alcoltest, deve fare riscontro un onere di allegazione da parte del soggetto accusato il quale deve dimostrare la sussistenza di vizi o errori di strumentazione o di metodo nell’esecuzione dell’aspirazione ovvero vizi correlati all’omologazione dell’apparecchio, non essendo sufficiente dedurre la difettosità dell’apparecchio (Sez. 4, n. 7285 del 09/12/2020; Sez. 4, n. 3201 del 12/12/2019), precisandosi altresì che l’esito positivo dell’alcoltest costituisce prova dello stato di ebbrezza – stante l’affidabilità di tale strumento in ragione dei controlli periodici rivolti a verificarne il perdurante funzionamento successivamente all’omologazione e alla taratura – con la conseguenza che è onere della difesa dell’imputato fornire la prova contraria a detto accertamento, dimostrando l’assenza o l’inattualità dei prescritti controlli, tramite l’escussione del dirigente del reparto addetto ai controlli o la produzione di copia del libretto metrologico dell’etilometro (Sez. 4, n. 24424 dell’08/06/2021; Sez. 4, n. 25742 del 04/03/2021; Sez. 4, n. 11679 del 15/12/2020, dep. 2021).

Tal che se ne faceva discendere che il fatto che siano prescritte, dall’art. 379 Reg. esec. C.d.S., l’omologazione e la periodica verifica dell’etilometro non significa che, a sostegno dell’imputazione, l’accusa debba immediatamente corredare i risultati della rilevazione etilometrica coi dati relativi all’esecuzione di tali operazioni: tali dati (in quanto riferiti ad attività necessariamente prodromiche al momento della misurazione del tasso alcolemico sull’imputato) non hanno di per sé rilievo probatorio ai fini dell’accertamento dello stato di ebbrezza dell’imputato.

Perciò, secondo i giudici di piazza Cavour, è del tutto fisiologico che la verifica processuale del rispetto delle prescrizioni dell’art. 379 Reg. Esec. C.d.S. sia sollecitata dall’imputato, che ha all’uopo un onere di allegazione volto a contestare la validità dell’accertamento eseguito nei suoi confronti, che non può risolversi – come nel caso che ci occupa – nella mera richiesta di essere portato a conoscenza dei dati relativi all’omologazione ed alla revisione periodica dello strumento, ma deve concretizzarsi nell’allegazione di un qualche dato che possa far ritenere che tale omologazione e/o revisione possa essere avvenuta (Sez. 4, n. 3939 del 12/01/2021; Sez. 4, n. 35951 del 25/11/2020).

Ebbene, a fronte di tale quadro normativo e giurisprudenziale, la Suprema Corte evidenziava come nel caso di specie, a suo avviso, il ricorrente non avesse allegato nessun elemento indicativo di irregolare funzionalità dell’etilometro, per cui l’onere di allegazione della parte non può ritenersi soddisfatto.

Terminata la disamina del primo motivo, per quanto concerne il secondo, la sua infondatezza era fatta risalire sulla scorta di quell’orientamento nomofilattico secondo cui la modifica in udienza del capo di imputazione, consistente nella diversa indicazione della data del commesso reato, non costituisce modifica dell’imputazione rilevante ex art. 516 cod. proc. pen., allorché non comporti alcuna significativa modifica della contestazione, la quale resti immutata nei suoi tratti essenziali, così da non incidere sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell’imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa (Sez. 5, n. 48879 del 17/09/2018; Sez. 5, n. 4175 del 07/10/2014; Sez. 5, n. 48727 del 13/10/2014).

Precisato ciò, anche il terzo motivo seguiva la medesima sorte processuale posto che la decisione di condanna del difensore da parte del giudice di primo grado per fatti estranei al presente processo, in quanto ordinario esercizio di giurisdizione, non poteva giustificare l’astensione da parte dell’organo giudicante e semmai sarebbe spettato alla difesa attivare il meccanismo della ricusazione previsto dagli artt. 37 e ss. cod. proc. pen., tenuto conto altresì del fatto che risultava neanche neanche dedotto dalla difesa di aver formulato nell’ambito del presente procedimento quantomeno l’invito all’organo giudicante ad astenersi.

Detto questo, il quarto motivo di ricorso, con cui si censurava l’ingiustificato diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., non era ritenuto proponibile in sede di legittimità dato che, non avendo il ricorrente proposto appello sul punto, si notava come non possano essere dedotte con il ricorso per Cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017), dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017).

Quanto alla quinta doglianza, gli Ermellini evidenziavano come essa non fosse proponibile per carenza di interesse dal momento che il Tribunale aveva disposto la riduzione massima di un terzo in relazione sia alla pena detentiva sia alla pena pecuniaria, mentre la Corte di Appello aveva confermato l’entità della irrogata con la sentenza di primo grado, rilevando logicamente, che tenuto conto della notevole gravità dei fatti, desumibile dall’elevatissimo tasso alcolemico riscontrato, la pena, irrogata nella misura del minimo edittale con la massima diminuzione per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non era suscettibile di ulteriori riduzioni.

Da ultimo, il sesto motivo di ricorso, con cui si contestava la durata della sospensione della patente di guida, era considerato manifestamente infondato in quanto non sussisteva un rapporto di stretta correlazione tra trattamento sanzionatorio ed entità della sospensione della patente di guida; in particolare, in ordine all’applicazione della sospensione della patente di guida in luogo della revoca della medesima, era osservato come fosse sufficiente il richiamo alle “circostanze del fatto” e/o alla “gravità della condotta“.

Per le ragioni che precedono, il ricorso era dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non sussistendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito, sulla scorta di un pregresso e constante orientamento nomofilattico, che, in materia di guida in stato di ebbrezza, se spetta alla pubblica accusa l’onere di provare l’omologazione e l’esecuzione delle verifiche periodiche sull’apparecchio utilizzato per l’alcoltest, invece, il soggetto accusato deve dimostrare la sussistenza di vizi o errori di strumentazione o di metodo nell’esecuzione dell’aspirazione ovvero vizi correlati all’omologazione dell’apparecchio, non essendo sufficiente dedurre la difettosità dell’apparecchio.

L’imputato, dunque, non può formulare una semplice richiesta con cui chiede di essere portato a conoscenza dei dati relativi all’omologazione ed alla revisione periodica dello strumento, ma deve al contrario allegare un qualche dato da cui si possa far ritenere che tale omologazione e/o revisione (non) possa essere avvenuta.

Ove si voglia fare una eccezione di questo genere, di conseguenza, questa pronuncia deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di procedere ad una sua corretta formulazione.

Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, non può che essere positivo.

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