Impugnazione misure cautelari personali, quando è ammissibile il ricorso per Cassazione

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(Riferimenti normativi: Cod. proc. pen., art. 311)

Indice:

Il fatto

Il Tribunale di Catanzaro respingeva un appello proposto avverso una ordinanza con la quale il g.i.p. del Tribunale di Cosenza aveva disposto l’applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato era proposto ricorso per Cassazione da parte del difensore dell’indagato, il quale aveva dedotto i seguenti motivi: 1) vizi motivazionali e violazione di legge rilevandosi, da un lato, come l’ordinanza impugnata si fosse allineata all’ordinanza genetica la quale, per prima, aveva omesso di tenere conto delle osservazioni formulate dall’indagato e dei documenti prodotti in occasione del preliminare interrogatorio di garanzia, dall’altro, come il Tribunale fosse rimasto silente in relazione all’eccepita nullità dell’ordinanza genetica, ai sensi dell’art. 292, comma 2, lett. c-bis, cod. proc. pen. e come, in particolare, il Tribunale avesse omesso di considerare le doglianze difensive; 2) violazione di legge sottolineandosi che, alla stregua della normativa di settore, è il legale responsabile dell’ente, ossia il Direttore generale, che, con il necessario supporto della direzione amministrativa e con l’ausilio del collegio dei revisori, assume, attraverso l’adozione, la paternità dell’atto; 3) vizi motivazionali e violazione di legge facendosi presente che, ad avviso del ricorrente, l’ordinanza impugnata, sottraendosi al confronto con le doglianze difensive e le conclusioni della consulenza di parte, non aveva affrontato il tema della non configurabilità della contestata falsità; 4) vizi motivazionali e violazione di legge giacché, per il difensore, il Tribunale, sottraendosi al confronto con le doglianze difensive e allineandosi alle conclusioni dei consulenti della Procura, non aveva considerato che i partitari si traducono in un mero prospetto – di carattere non obbligatorio – non riportato in bilancio e nella delibera di adozione e neppure a questi ultimi allegato e che le condotte valorizzate dal Tribunale erano servite ad adeguare le previsioni operate sulla base delle stime iniziali allo sviluppo della realtà; 5) omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari tenuto conto dell’assenza di ragioni atte a giustificare il pericolo di recidivanza, nonostante il mutamento del Commissario, dei Direttori amministrativo e sanitario e del Responsabile dell’ufficio Affari legali. 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Esaminando i motivi proposti, partendo dalla disamina del primo, la Cassazione lo stimava infondato in quanto, una volta evidenziato che la previsione normativa che impone al g.i.p. di esporre ed autonomamente valutare gli elementi forniti dalla difesa, illustrando le ragioni per le quali non sono stati ritenuti rilevanti (art. 292, comma 2, lett. c bis, cod. proc. pen.), non fa che esplicitare il fondamentale dovere motivazionale del giudice (art. 125, comma 3, cod. proc. pen.), si notava che quest’ultimo, come non può esaurirsi in una mera rassegna degli elementi di prova, ma esige una valutazione critica degli stessi in modo da rendere comprensibile la base fattuale del ragionamento che sorregge le conclusioni raggiunte (v., ad es., Sez. 3, n. 38478 del 11/06/2019), così neppure può essere inteso nei termini formalistici di una analitica disamina di ogni argomento speso e di ogni documento prodotto, quante volte la decisività del loro contenuto sia da ritenersi esclusa alla stregua dell’esame del complessivo impianto argomentativo (si veda, ad es., la puntualizzazione, con riguardo al giudizio di cognizione, secondo la quale la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, non determina automaticamente la nullità della sentenza d’appello per mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., neppure alla luce dell’art. 546 cod. proc, pen., così come riformato dalla legge n. 103 del 2017, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa comunque essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (v., ad es., Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018).

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, gli Ermellini, proprio alla luce delle considerazioni sviluppate nell’ordinanza impugnata, escludevano che le deduzioni difensive alle quali operava un richiamo il primo motivo avessero quella decisività che, sola, avrebbe giustificato la invocata pronuncia di nullità.

Ciò posto, anche il secondo motivo seguiva la medesima sorte procedurale, ritenendosi che la frammentaria riproduzione del brano di alcune conversazioni, confermava e non smentiva la gravità del quadro indiziario; in altri termini, proprio il fatto che si riconosca l’impossibilità, date le condizioni, di «poter fare il prospetto» dimostrava, per la Corte di legittimità, l’inattendibilità dei dati inseriti in bilancio.

Detto questo, pure il terzo motivo era considerato infondato, e ciò per l’assorbente ragione che il riferimento dell’ordinanza impugnata alla sottovalutazione dei fondi di natura vincolata a garanzia del rischio delle spese legali, per il caso di soccombenza probabile o di sentenza di condanna non definitiva o esecutiva, ad avviso del Supremo Consesso, intende esprimere il risultato di un apprezzamento la cui penale illiceità si colloca, a monte, sul piano della rilevazione dei dati materiali costituenti la base di quell’apprezzamento.

Inoltre, in relazione alle generiche censure che investivano il coinvolgimento della ricorrente, i giudici di piazza Cavour stimavano come esse trascurassero la portata delle comunicazioni intercettate il cui contenuto è razionalmente ricostruito dall’ordinanza impugnata, ribadendosi contestualmente quel costante orientamento nomofilattico secondo cui, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per Cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017; Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017; Sez. 6, n. 11194 del 8/3/2012; Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008) spettando, al più, al giudice di legittimità la verifica dell’adeguatezza della motivazione sugli elementi indizianti operata dal giudice di merito e della congruenza di essa ai parametri della logica, da condursi sempre entro i limiti che caratterizzano la peculiare natura del giudizio di Cassazione (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013; Sez. U, n. 11 del 22/3/2000).

Precisa ciò, il quarto motivo seguiva la sorte di quelli precedenti alla luce del fatto che le censure svolte in ricorso miravano, secondo il Supremo Consesso, a sottolineare la sostanziale irrilevanza dei giroconti effettuati, quanto al risultato di esercizio, senza considerare che la loro realizzazione, secondo il razionale apprezzamento espresso dall’ordinanza impugnata, serviva appunto a mascherare l’assoluta non rispondenza a basi reali dei dati inseriti in bilancio.

Infine, quanto all’ultima doglianza, la sua infondatezza veniva ravvisata alla stregua della considerazione secondo cui era del tutto generica la deduzione dell’assenza di una autonoma valutazione delle esigenze cautelari nel provvedimento genetico, senza ulteriormente considerare il fatto che le critiche mosse, per la Cassazione, trascuravano di considerare la gravità di una condotta di protratta inosservanza delle regole e la persistente operatività della ricorrente in seno all’Azienda e, anzi, proprio il fatto che il primo fosse stato un dipendente, sempre per la Corte di legittimità, spiegava la diversa valutazione espressa, rispetto alla posizione di quanti erano stati sostituiti.

Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse nella parte in cui è ivi chiarito quando è ammissibile il ricorso per Cassazione in tema di impugnazione delle misure cautelari personali.

Difatti, in tale provvedimento, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, è postulato che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per Cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, spettando, al più, al giudice di legittimità la verifica dell’adeguatezza della motivazione sugli elementi indizianti operata dal giudice di merito e della congruenza di essa ai parametri della logica, da condursi sempre entro i limiti che caratterizzano la peculiare natura del giudizio di Cassazione.

Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di impugnare correttamente un provvedimento avente ad oggetto l’applicazione (e il mantenimento) di misure cautelari personali.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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