Immissioni

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Corte di Cassazione, sez. II, 7 aprile 2014, n° 8094.

 

 

Massima.

Il proprietario che lamenti – a ragione – il superamento della normale tollerabilità delle immissioni provenienti dal fondo del vicino non è tenuto a prestare il consenso alla costituzione di una servitù, ove necessaria alla eliminazione dell’inconveniente, in caso contrario rimanendo assoggettato alle immissioni.

 

 

Premessa.

Con la sentenza in rassegna si affronta il problema delle immissioni la cui disciplina è contenuta nell’art. 844 c.c.. Il primo comma prevede il diritto in capo al proprietario di ottenere la cessazione delle immissioni provenienti dal fondo del vicino, qualora il giudice stabilisca che esse superino la soglia della “normale tollerabilità”, tenendo altresì conto della condizione dei luoghi. Il secondo comma precisa che per la decisione circa la cessazione o meno delle predette immissioni, il giudice deve effettuare un giudizio di bilanciamento di due posizioni contrapposte: da un lato le esigenze della produzione, dall’altro lato le ragioni connesse con il diritto di proprietà. Può, altresì, applicare il criterio del preuso.

 

 

Il caso.

La sig.ra S.M. chiede al tribunale di Lucera la condanna della società di ristorazione P. s.n.c. alla cessazione delle immissioni, già accertate dal CTU in un precedente provvedimento d’urgenza, provenienti dai locali utilizzati dalla stessa società.

Il Tribunale accoglie solo parzialmente la domanda della S.M. perché ritiene prevalente l’esigenza della produzione su quella del diritto di proprietà. Così, non viene concessa l’inibitoria, né riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, ma soltanto un indennizzo di L. 2.000.000.

Il CTU aveva suggerito di utilizzare un canna fumaria per la cui installazione la società P. voleva utilizzare il muro di proprietà della S.M. la quale, però, ha negato il consenso alla costituzione della relativa servitù.

Con una nuova CTU l’esperto afferma che, mentre per la riduzione dei rumori era sufficiente ridurre la potenza dei condizionatori, per le esalazioni, invece, era la canna fumaria  l’unico rimedio efficace il cui progetto peraltro era stato realizzato dallo stesso CTU ed approvato dalla Sovrintendenza ai beni culturali.

La Corte d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, statuisce la legittimità del giudizio di contemperamento svolto dal giudice di prime cure. Più precisamente, decide che il decoro architettonico non vale a giustificare il rifiuto di prestare il consenso per l’installazione della canna fumaria, e nega pure l’applicazione del criterio del preuso dato che le immissioni potevano essere eliminate con un “rimedio ragionevole”. Il risarcimento del danno viene negato perché la domanda dell’attrice, proposta nella fase cautelare, era generica in quanto non aveva allegato nessun pregiudizio. Inoltre il CTU non aveva affermato nulla in merito alla nocività delle immissioni.

 

 

La decisione.

La corte di cassazione, con la sentenza in rassegna, chiarisce l’importante distinzione tra la fattispecie in cui le immissioni sono ancora sotto la soglia “della normale tollerabilità” da quella in cui le immissioni hanno invece superato tale soglia.

È solo nel primo caso che l’art. 844 comma 2 consente il giudizio di bilanciamento, dal quale potrebbe discendere che a prevalere sono le esigenze della produzione su quelle del proprietario dell’immobile vicino, con conseguente onere, in capo a quest’ultimo, di tollerare le immissioni.

Se, invece, si accerta che le immissioni superano il limite suddetto, l’indennizzo non è più devoluto perché questa volta si è venuta a creare una situazione di illiceità nella quale non si svolge il giudizio di contemperamento, di cui alla suddetta norma, ma quello inerente alla inibitoria delle immissioni e dell’eventuale risarcimento danni. Nel giudizio d’appello, invece, da un lato, si è accertato l’effettivo superamento del limite di tollerabilità, dall’altro lato, però, ha effettuato ugualmente la comparazione delle opposte posizioni. Inoltre, con riferimento alla decisione del giudice di secondo grado con la quale ha stabilito che l’opposizione alla installazione della canna fumaria era pretestuosa, il giudice di legittimità decide che con tale decisione la Corte d’appello ha implicitamente ammesso l’obbligo, in capo a chi lamenta le immissioni, di costituire una servitù (nel caso di specie per l’installazione della canna fumaria). Se invece si rifiuta di adempiere a tale obbligo deve sopportare le immissioni. La Corte di cassazione decide che è “un’affermazione carente di qualsiasi supporto normativo”. La sentenza viene cassata con rinvio.

 

 

Conclusioni.

Per l’eliminazione delle immissione resta onerato solo il responsabile di esse, non potendo pretendere alcun obbligo in capo all’altra parte. A nulla infatti è valso eccepire il rifiuto di collaborare da parte della vicina (la Sig. ra S.M.) consistente nel non aver prestato il consenso per l’installazione sul suo muro della canna fumaria, malgrado, come si è osservato, tale opera apparisse, secondo le indicazioni del CTU, come l’unica veramente efficace contro le esalazioni.

La Corte di cassazione in passato (Cass.: 5844/2007, 25820/2009, 939/2011) aveva già distinto le suddette due fattispecie che si vengono a creare a seconda se si supera o meno la normale tollerabilità. Anche in quelle occasioni aveva statuito che nella situazione di illiceità (che si verifica al superamento della soglia) si discute sull’inibitoria e sull’eventuale risarcimento danni, e non sul giudizio di bilanciamento di cui all’art. 844 comma 2 c.c..

 

Pugliese Marcello

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