Il regime della richiesta di documenti tra diritto alla difesa e tutela della privacy in ambito successorio

Paolo Geremia 11/03/21
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Premessa

Come spesso accade in ambito successorio, nel momento in cui prendono avvio tutte le dinamiche relative all’accettazione dell’eredità da parte dei vari legittimari, possono darsi casi in cui vi sia un erede pretermesso che intenda agire in riduzione per vedersi riconosciuto il proprio diritto alla quota di legittima ad esso spettante.

Tuttavia, occorre precisare come il pretermesso che intenda agire in riduzione abbia prima la necessità di definire compiutamente la massa ereditaria; infatti, l’ammontare della reale quota di legittima è definita dall’intero asse ereditario, calcolando, ad esempio, anche tutto ciò che può essere computato in collazione.

Dunque, nella prassi può capitare che il pretermesso debba compiere alcuni accertamenti prima di inserirsi nella successione in riduzione; uno di questi casi può darsi nel momento in cui il legittimario venga a conoscenza di una polizza a vita a favore di terzi stipulata dal de cuius.

Ecco che in tal caso, colui che volesse agire in riduzione – o comunque dovesse valutarne l’opportunità – dovrebbe prima venire a conoscenza di tutti i dati relativi al prezzo pagato per il contratto di polizza ed all’identità del terzo beneficiario della stessa, così da poter esperire efficacemente l’azione.

Tuttavia, proprio in tale frangente pare esserci un contrasto tra la pretesa del legittimario pretermesso e il diritto alla privacy del terzo. Di frequente, infatti, banche ed assicurazioni negano al legittimario l’accesso alla documentazione che egli necessita proprio adducendo il rispetto delle normative a tutela dei dati personali.

In relazione a tale bilanciamento di diritti ed interessi, la giurisprudenza ha tentato di elaborare un criterio dirimente per risolvere siffatte casistiche.

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Il rito e giurisdizione di riferimento

Prima di addentrarsi nel cuore della questione, occorre indicare la normativa che viene in rilievo per definire chiaramente la giurisdizione competente per le questioni inerenti alla richiesta di informazioni e documenti personali riferiti a soggetti terzi.

Infatti, secondo il comma 1° dell’art. 10 D. lgs 01/09/2011 n. 150: “Le controversie previste dall’articolo   152   del   decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente disposto dal presente articolo.

Ebbene, originariamente l’art. 152 D. lgs. 30/06/2003 n. 196 prevedeva che le materie oggetto dei ricorsi giurisdizionali come l’applicazione della normativa in materia di protezione dei dati personali fossero regolate appunto dal rito del lavoro. Tuttavia, il comma 1° del suddetto articolo è stato modificato dall’art. 34 comma 9° lett. a) del D. lgs. 01/09/2011 n. 150 (regolato nel regime applicativo dall’art. 36 del medesimo D. lgs. 150/2011), per poi essere definitivamente modificato dall’art. 13 comma 1° lett. h) del D. lgs. 10/08/2018, n. 101.

Dunque, attualmente l’art. 152 D. lgs. 30/06/2003 n. 196 prevede che: “Tutte le controversie che riguardano le materie oggetto dei ricorsi giurisdizionali di cui agli articoli 78 e 79 del Regolamento e quelli comunque riguardanti l’applicazione della normativa in materia di protezione dei dati personali, nonché il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 82 del medesimo regolamento, sono attribuite all’autorità giudiziaria ordinaria.

Peraltro, la necessità di riferirsi espressamente ad apposito giudicante per le questioni inerenti alla tutela dei dati personali è stata ben affrontata dal Tribunale di Firenze[1], il quale ha analizzato proprio un caso in cui un erede richiedesse le generalità del terzo beneficiario di una polizza assicurativa stipulata dal de cuius col fine di esperire poi azione di riduzione.

Attraverso una analisi combinata delle disposizioni del Codice della Privacy e dell’art. 24 Cost. (diritto alla difesa), il Giudice fiorentino ha chiarito come, per far valere un proprio diritto richiedente informazioni di soggetti terzi, si debba fare riferimento alla deroga prevista dall’art.  24 lett. f) del Codice della Privacy, il quale impone la presenza di un giudice terzo e imparziale che possa valutare tutte le specifiche circostanze del caso e con ciò ammettere, o meno, la domanda di chi voglia attuare un’intrusione nella sfera personale altrui senza il suo consenso.

In sostanza, le questioni di tutela dei dati personali in casistiche simili a quelle in esame richiedono una specifica tutela in apposito procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, non potendo essere fatte valere incidentalmente in un procedimento più ampio.

 

Il bilanciamento tra diritto alla difesa e privacy

nei confronti di banche e assicurazioni

Definita la casistica in esame e la sede processuale adibita a siffatte questioni, non resta che prendere in esame proprio le soluzioni adottate dalla giurisprudenza sul punto, senza tralasciare i numerosi argomenti normativi di riferimento.

Il Tribunale di Treviso[2] ha, preliminarmente, definito come i premi per le polizze vita versati dall’assicurato siano donazioni in favore dei futuri beneficiari e pertanto devono essere conteggiati nella massa ereditaria.

Peraltro, la suddetta pronuncia ha anche chiarito che, per poter agire in giudizio con l’azione di riduzione, l’erede pretermesso ha necessità di conoscere il nominativo del beneficiario della polizza, vedendosi tutelato ex art. 6 par. 1 lett. f) del Regolamento UE  2016/679, che stabilisce la prevalenza del diritto di difesa rispetto a quello circa la riservatezza dei dati personali. Infatti, il regime della riservatezza dei dati personali ex art. 9 par. 2 lett. f) del Regolamento UE  2016/679 è derogato in caso di necessità per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogni qualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni.

Il Giudice trevisano, inoltre, ha preso in considerazione anche l’art. 2 terdecies del D. lgs. 10/08/2018 n. 101, che riguarda il trattamento relativo ai dati di persone decedute e che attribuisce l’esercizio dei diritti dell’interessato a chi abbia un interesse proprio o agisca a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per particolari ragioni familiari. Inoltre, nel medesimo articolo al comma 2°  si specifica che: “l’esercizio dei diritti di cui al comma 1 non è ammesso nei casi previsti dalla legge o quando, limitatamente all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, l’interessato lo ha espressamente vietato” ed al comma 5° prevede che: “in ogni caso, il divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi”.

Sulla base di tale normativa, il Tribunale di Treviso ha esplicitato il chiaro principio della supremazia del diritto di difesa sul diritto alla riservatezza.

Ancora, il Tribunale di Padova[3] ha sostanzialmente applicato il principio suesposto non solo alle società assicuratrici ma anche a quelle bancarie, esprimendosi similmente su una fattispecie affine, ove un erede chiedeva informazioni alla banca del de cuius, dunque riferendosi al rapporto con la banca in termini molto simili a quelli del ricorrente contro l’assicurazione nella pronuncia del Tribunale di Treviso.

In tale pronuncia, infatti, il Giudice padovano afferma la rilevanza del diritto dell’erede ad accedere alla documentazione ad esso necessaria per motivi qualificati sulla base dell’art. 119 TUB (Testo Unico Bancario) comma 4°, per il quale: “Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione”.  Dunque, stante tale disposizione, un legittimario potrebbe richiedere documentazione riferita ad un terzo proprio facendo leva sulla propria qualifica di erede rispetto al de cuius ed alle sue pregresse attività

La formulazione dell’art. 119 TUB, peraltro, appare nella formulazione molto vicina a quella dell’art. 1888 c.c., il quale fa specifico riferimento ai contratti di assicurazione, andando a delineare una sorta di disposizioni gemelle; infatti, ai commi 2° e 3° dell’art. 1888 c.c. si può leggere come: “1. L’assicuratore è obbligato a rilasciare al contraente la polizza di assicurazione o altro documento da lui sottoscritto. 2. L’assicuratore è anche tenuto a rilasciare, a richiesta e a spese del contraente, duplicati o copie della polizza; ma in tal caso può esigere la presentazione o la restituzione dell’originale”.

Tale accostamento tra disposizioni analoghe ed inerenti a banche ed assicurazioni evidenzia ancora l’applicabilità e la portata assolutamente generale del criterio della supremazia del diritto di difesa sul diritto alla riservatezza.

Per completezza, sempre in una fattispecie analoga a quelle in esame, anche il Tribunale di Marsala[4] – con recentissima sentenza che riprende diffusamente quella del Tribunale di Treviso – ha preso in considerazione l’accostamento dell’art. 119 TUB e dell’art. 1888 c.c., peraltro andando anche a formulare una lettura che consenta all’erede pretermesso di ottenere le informazioni necessarie non già intendendola come specifico accesso ai dati.

Analizzando il disposto della sentenza, anche il Giudicante di Marsala ha premesso che i premi per le polizze vita versati dall’assicurato – in quanto donazioni in favore dei futuri beneficiari – devono essere conteggiati nella massa ereditaria e che l’erede pretermesso intenzionato ad agire in riduzione ha necessità di conoscere il contratto di assicurazione stipulato dal de cuius nella sua interezza (comprensivo dei dati del beneficiario della polizza).

Proseguendo, secondo il giudice marsalese il collegamento tra le pretese del legittimario pretermesso ed i dati personali del terzo non inerisce precipuamente al diritto di accesso in sé, ma con il diritto del richiedente – tutelato dall’art. 24 Cost. – ad agire in giudizio per far valere le proprie pretese.

Fatte queste premesse, il Tribunale di Marsala evidenzia anche come sia la stessa normativa sulla privacy a definire come il far valere o difendere un diritto in giudizio sia uno dei casi in cui il trattamento dei dati personali può essere effettuato anche senza il consenso dell’interessato. Ecco, dunque, che viene ribadita la preferenza del diritto alla difesa nel bilanciamento con il riserbo sui dati personali.

Il Tribunale di Marsala delinea chiaramente la disciplina e le disposizioni a sostegno della suddetta conclusione, rafforzando la rilevanza di un principio giuridico che ormai appare ben consolidato nella prassi.

In questa sede, ci si limita a riportare in questa sede per intero detto passaggio finale della pronuncia, in quanto essa costituisce una sorta di condensato di quanto già spiegato ed una sua rielaborazione ne minerebbe la già impeccabile coerenza strutturale e formulare: “Esiste, dunque, un indicatore di preferenza a vantaggio del diritto di difesa giudiziale, nei limiti suddetti, e tale scelta, già evidenziata dal contenuto dell’art. 24 lett. F del D. lgs. n. 196 del 2003, trova più recente conferma nell’art. 6 par. 1 lett. F Reg. UE 2016/679 – che afferma essere “lecito” il trattamento (e, quindi, anche la “comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione”, v. le definizioni di cui all’art. 4 dello stesso Reg. UE) quando “è necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi” – e nei successivi artt.  9 lett.  f  – che  consente  anche  il trattamento  dei  dati  sensibili  personali  in  assenza  di  consenso  del  titolare  dei  dati  stessi  nel  caso  in  cui tale trattamento sia “necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali” – e 21 del medesimo Regolamento – che esclude il diritto  di  opposizione  dell’interessato  qualora  il  trattamento  dei  dati  avvenga  “per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria” – nonché, in ultimo, nell’art. 2 terdecies D. lgs. n. 101 del 2018, là dove si stabilisce che i diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento (vale a dire: diritto di  accesso,  rettifica  e  cancellazione)  riferiti  ai  dati  personali  concernenti  persone  decedute possono  essere  esercitati  da  chi  ha  un  interesse  proprio,  o  agisce  a  tutela  dell’interessato,  in  qualità  di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione, altresì prevedendo, al quinto comma, che l’eventuale divieto manifestato dall’interessato “non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi” (v. recentemente, sebbene con riguardo a ricorsi ex art. 10  D. lgs. n. 150 del2011, Trib. Treviso, 27 febbraio 2020 e Trib. Pavia, 21 maggio 2020)”.

 

Conclusioni

In conclusione, appare lapalissiano come la più recente giurisprudenza di merito sia ormai concorde e consolidata nel leggere la disciplina inerente alla tutela dei dati personali come espressamente derogabile sulla base del diritto alla difesa costituzionalmente garantito, tanto in relazione a società assicurative quanto nei riguardi degli istituti di credito. Ciò, come si può capire, ha enorme impatto in dinamiche successorie come quelle prese in esame in questa sede.

A tali conclusioni si è giunti attraverso l’attenta analisi di disposizioni e fonti nazionali e sovranazionali che, incrociandosi, hanno rilevato una splendida coerenza generale, cristallizzata poi nel principio della supremazia del diritto alla difesa sul diritto alla privacy, ovviamente se in presenza di determinate condizioni.

In ultimo, occorre ricordare come il bilanciamento tra tali diritti sia connotato da un grado di delicatezza tale da richiedere una valutazione specifica e circostanziata da apposito giudice in apposito procedimento.

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Note

[1] Tribunale di Firenze, sent. n. 4174 del 26/11/2015

[2] Tribunale di Treviso, sent. 27/02/2019

[3] Tribunale di Padova, sent. n. 2878/2016 del 20/10/2016

[4] Tribunale di Marsala, sent. 03/11/2020

Paolo Geremia

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