Il problema del conflitto d’interessi nell’azione collettiva di impugnazione dei risultati elettorali: brevi note sull’azione popolare, la legittimazione “diffusa” e l’interesse “neutro” insuscettivo di conflitto

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SOMMARIO 1. Quaestio facti 2. La normativa di settore e le analogie con il rito elettorale innanzi al giudice amministrativo 3. La formulazione delle norme e il problema della legittimazione 4. L’impugnazione dei risultati elettorali come azione “popolare”: quali conseguenze in tema di conflitto di interessi? 5. Un’azione a “legittimazione diffusa” e ad “interesse neutro” 6. Il problema del petitum

Le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione (sentenza n. 29106 depositata il 18 dicembre 2020) hanno recentemente risolto una rilevante questione in tema di conflitto di interessi tra reclamanti nell’ambito del giudizio di impugnazione dei risultati delle elezioni dei componenti dei Consigli degli Ordini degli Avvocati innanzi al Consiglio Nazionale forense nel rito di cui all’art. 28, comma 12 della L. 31 dicembre 2012, n. 247.

Tale questione assume rilievo sistematico non soltanto per la parziale novità delle questioni relative all’azione collettiva sottoposte all’attenzione del giudice, ma in particolare per i significativi riflessi che le considerazioni delle Sezioni Unite possono spiegare sul giudizio elettorale per le elezioni di comuni, province, regioni e Parlamento europeo in particolare innanzi al giudice amministrativo, considerato che la sentenza affronta profili comuni ai due riti.

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Le responsabilità della pubblica amministrazione

L’opera nasce con l’intento di offrire al lettore (Magistrato, Avvocato, Funzionario pubblico) una guida indispensabile per affrontare un tema cui sono sottese sempre nuove questioni: quello delle ipotesi di responsabilità dell’amministrazione pubblica. Avuto riguardo ai più recenti apporti pretori e alla luce degli ultimi interventi del Legislatore (L. 9 gennaio 2019, n. 3, cd. Legge Spazzacorrotti), il taglio pratico-operativo del volume offre risposte puntuali a temi dibattuti sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo processuale. L’opera, che si articola in 23 capitoli, tratta i temi della responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo, da comportamento illecito, per l’inosservanza del termine del procedimento, sotto il profilo amministrativo-contabile, in materia urbanistica ed edilizia, per attività ablative, nella circolazione stradale, per danno da illecito trattamento dei dati personali, di tipo precontrattuale, in ambito scolastico. Si affrontano ancora, oltre al tema del danno all’immagine della P.A., i temi della responsabilità: disciplinare del dipendente pubblico; dirigenziale; dei dipendenti pubblici per la violazione delle norme sulla incompatibilità degli incarichi; delle Forze armate; della struttura sanitaria pubblica per attività posta in essere dal medico; delle authorities finanziarie; nell’amministrazione della giustizia. Affiancano la materia dell’amministrazione digitale – i cui profili di novità ne rendono indispensabile la conoscenza – i temi della responsabilità nel diritto europeo, della responsabilità dello Stato per la violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e, infine, della responsabilità penale della pubblica amministrazione. Il lettore che voglia approfondire temi di suo interesse è aiutato nell’attività di ricerca dalla presenza di una “Bibliografia essenziale” che correda ogni capitolo del volume.   Giuseppe CassanoDirettore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato nell’Università Luiss di Roma. Studioso dei diritti della personalità, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato oltre un centinaio di opere in tema, fra volumi, trattati, saggi e note.Nicola PosteraroAvvocato, dottore e assegnista di ricerca in Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano, è abilitato allo svolgimento delle funzioni di professore associato di diritto amministrativo e collabora con le cattedre di diritto amministrativo, giustizia amministrativa e diritto sanitario di alcune Università. Dedica la sua attività di ricerca al diritto amministrativo e al diritto sanitario, pubblicando in tema volumi, saggi e note.

Giuseppe Cassano, Nicola Posteraro (a cura di) | 2019 Maggioli Editore

Quaestio facti

Per quanto qui rileva, avverso gli esiti delle elezioni dei componenti di un Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, avevano proposto unico reclamo collettivo una numerosa compagine di avvocati, contestando l’incandidabilità ed ineleggibilità di uno tra i colleghi risultato eletto.

Il Consiglio Nazionale Forense aveva dichiarato inammissibile il reclamo[1], ritenendo che sussistesse, tra i reclamanti, una profonda diversità di interessi specifici e dunque un potenziale conflitto intersoggettivo. Secondo il decisum del giudice speciale, ne conseguirebbe un difetto in ordine ai due fondamentali requisiti necessari ai fini della proponibilità di un unico gravame collettivo[2]: il requisito positivo dell’identità delle posizioni sostanziali e processuali, ma soprattutto quello negativo dell’assenza di interessi confliggenti[3].

La sentenza dichiarativa dell’inammissibilità veniva gravata con ricorso per Cassazione, deciso con la sentenza che qui sommessamente si richiama.

 

La normativa di settore e le analogie con il rito elettorale innanzi al giudice amministrativo

Per quanto specificamente concerne le elezioni nei Consigli degli Ordini degli Avvocati, la normativa di settore (e in particolare l’art. 28, comma 12 della L. 31 dicembre 2012, n. 247[4]) specificamente prevede la possibilità di proposizione di un reclamo elettorale il cui giudice speciale è il Consiglio Nazionale Forense.

La norma prevede che tale ricorso possa essere proposto da “ciascun avvocato iscritto all’albo”, senza che sia determinata una limitazione soggettiva sulla base dell’interesse effettivo alla decisione o della titolarità di una particolare situazione giuridica qualificata.

Tale norma ricalca quindi l’art. 130 del Codice del Processo Amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2020, n. 104) che, in relazione al rito elettorale innanzi al giudice amministrativo, espressamente riconosce la legittimazione di “qualsiasi candidato o elettore[5].

In entrambi i casi quindi, quanto alla legittimazione a proporre l’azione, le norme speciali la determinano in termini più ampi rispetto a quelli consueti del giudizio, disconoscendo la necessità di una particolare situazione di interesse personale.

La formulazione delle norme e il problema della legittimazione

Entrambe le norme non prevedono infatti la necessità di accertare una specifica utilità conseguente alla proposizione dell’azione e, dunque, nel giudizio elettorale – tanto quello ordinario di competenza del giudice amministrativo e normato dal relativo codice di rito, quanto quello speciale professionale in materia di elezioni dei Consigli degli Ordini degli Avvocati qui in particolare interessato – la legittimazione è riconosciuta a titolo diffuso, nel bacino degli elettori.

La Cassazione, nella sentenza da cui originano le presenti riflessioni, sottolinea significativamente il dato letterale della norma di settore, nella parte in cui quest’ultima individua la legittimazione al ricorso in qualsiasi avvocato iscritto all’ordine.

In effetti, la norma non frappone all’accesso alla giurisdizione alcun ostacolo in ordine all’interesse, in base al generale principio per cui ciascun elettore aziona un interesse “naturale” e “diffuso” alla regolarità delle operazioni elettorali.

Sicché, come osservato dalla Suprema Corte, in questo caso il reclamo al Consiglio Nazionale Forense, come il ricorso al Tribunale Amministrativo nelle parallele ipotesi relative alle elezioni disciplinate dal 130 c.p.a., si qualifica in sostanza come un’azione popolare[6].

L’impugnazione dei risultati elettorali come azione “popolare”: quali conseguenze in tema di conflitto di interessi?

Proprio tale qualificazione si rivela infine determinante per le riflessioni sul potenziale conflitto d’interessi tra più reclamanti (o ricorrenti, in relazione al rito elettorale di competenza del giudice amministrativo).

In effetti, l’azione popolare presenta caratteri di eccezionalità rispetto all’azione ordinaria, che invece deve essere sorretta da un “interesse ad agire” (nel diritto amministrativo interesse al ricorso), ossia dalla seria e attuale possibilità di conseguire un risultato benefico dall’esercizio della giurisdizione e, dunque, di ritrarre un’utilità dalla pronuncia del giudice.

Nell’azione popolare, il reclamante o ricorrente aziona non un proprio interesse particolare, bensì un interesse pubblico o quantomeno diffuso[7], che compete al singolo in quanto membro del gruppo e con il quale non vanta un particolare rapporto di biunivocità.

L’esercizio dell’azione non richiede infatti la titolarità di una particolare situazione giuridica soggettiva in capo a chi agisce.

Ciò premesso, non è dunque richiesto – almeno non nei termini consueti – l’accertamento del giudice in ordine ai presupposti dell’azione e dunque della legittimazione attiva e dell’interesse all’agire, che devono invece ripensati nella prospettiva dell’azione popolare.

Un’azione a “legittimazione diffusa” e ad “interesse neutro”

Ricorre dunque di una eventualità peculiare, in cui si agisce per azionare un interesse sovraindividuale e non particolare: non è un caso che le norme di riferimento chiariscano espressamente tale particolare legittimazione, per superare ogni ambiguità.

Ne deriva che – nei riti elettorali qui considerati – non è richiesta un’indagine del giudice in ordine alla legittimazione e all’interesse, bensì è sufficiente l’accertamento dell’appartenenza al bacino soggettivo di riferimento della legittimazione “diffusa” (gli elettori, nel caso disciplinato dal processo amministrativo, ovvero gli iscritti all’ordine, nel caso delle elezioni forensi).

È proprio la Suprema Corte ad utilizzare l’espressione “legittimazione diffusa”[8], pur sempre in senso relativo, ossia non riferita alla generalità dei consociati ma unicamente a coloro i quali si trovino nel bacino soggettivo interessato dalle ricadute dei risultati elettorali.

La ricostruzione della Cassazione trasfonde dunque il problema del conflitto d’interessi sin dalle sue radici ontologiche nella particolare realtà dell’azione popolare. Secondo l’autorevole prospettiva della Corte, infatti, la legittimazione diffusa riconosciuta dalla norma è “a carattere neutro”, proprio in quanto prescinde dalla titolarità di una specifica situazione sostanziale qualificata e, pertanto, non vede azionarsi interessi personali, attuali e diretti, bensì un mero interesse astratto, aspecifico e – appunto – diffuso, «al corretto funzionamento del sistema democratico-rappresentativo» e prima ancora al «legittimo svolgimento delle relative consultazioni elettorali». Il problema di un potenziale conflitto finisce così, con rare eccezioni, per svaporare, non essendo l’interesse “neutro” alla regolarità delle operazioni elettorale suscettivo di generare un conflitto intersoggettivo, proprio per la sua natura diffusa.

Il problema del petitum

Questa ricostruzione generale deve però essere opportunamente rapportata al petitum, talché potrà effettivamente affermarsi la neutralità dell’interesse unicamente alla luce di un petitum unitario, a vocazione diffusa: a riprova l’azione sia originata dall’assicurare la correttezza delle operazioni elettorali. Così è nel caso sottoposto all’attenzione delle Sezioni unite, ove tutti i reclamanti, unitamente, chiedevano dichiararsi l’incandidabilità e ineleggibilità di uno degli eletti.

Tale petitum, effettivamente, per la sua struttura unitaria, è espressione del generale interesse alla regolarità della tornata elettorale e pertanto insuscettivo di generare conflitto di interessi. È pertanto del tutto legittima la proposizione di una domanda in forma collettiva, in quanto non sono specificamente dedotte situazioni giuridiche qualificate individuali idonee a confliggere.

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Note

[1] Sentenza n. 23 del 2020, depositata il 13 febbraio 2020.

[2] Requisiti, come osservato in dottrina, dai perimetri incerti, in particolare il primo, relativo alla comunanza di posizione sostanziale e processuale, cfr. S. Cassarino, Il processo amministrativo nella legislazione e nella giurisprudenza: Lo svolgimento del giudizio, Milano, Giuffré, 1987, p. 9.

[3] Si tratta di requisiti individuati dalla giurisprudenza ormai consolidata con riguardo alla proposizione dei ricorsi collettivi, in particolare nel processo amministrativo. Ex recentioribus, si confronti Tar Lazio, sez. III, 22 maggio 2018, n. 5685.

[4] La norma prevede testualmente che “Contro i risultati delle elezioni per il rinnovo del consiglio dell’ordine ciascun avvocato iscritto nell’albo può proporre reclamo al CNF entro dieci giorni dalla proclamazione”.

[5] Ma si veda la norma, per i termini di questa legittimazione.

[6] Vedasi, per approfondimenti, D. Borghesi, sub voce Azione popolare, in Enc. giur., IV, 1988, 2 ss e, per un approccio critico, S. Agrifoglio, Riflessioni critiche sulle azioni popolari come strumento di tutela degli interessi collettivi, in Riv. trim. dir. pubbl., XXIV, 1395. 1991.

[7] Forsanche in certe ipotesi, più precisamente, collettivo.

[8] Cfr. pag. 12 della sentenza, paragrafo 2.

Avv. Gambetta Davide

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