Il licenziamento discriminatorio per età pensionabile nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Russo Marianna 18/09/14
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  1. 1.             Il combinato disposto dell’art. 30 e dell’art. 21 della Carta di Nizza – 2. Il principio di non discriminazione anagrafica e la c.d. clausola di giustificazione – 3. L’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sui licenziamenti per età pensionabile

 

  1. 1.     Il combinato disposto dell’art. 30 e dell’art. 21 della Carta di Nizza

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea[1], all’art. 30, afferma che “ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”. In base all’art. 6 del Trattato di Lisbona[2], la Carta di Nizza ha il medesimo valore giuridico dei trattati e, pertanto, è vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri, che devono adeguare la propria legislazione ai principi ivi indicati. Un ulteriore invito all’armonizzazione in materia di licenziamenti emerge dall’art. 153, comma 1 lett. d), del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che, per conseguire la finalità di una comune politica sociale[3], attribuisce all’Unione Europea la competenza di adottare direttive anche in materia di “protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro”[4].

In realtà, l’art. 30 della Carta di Nizza prescrive soltanto il divieto di un licenziamento meramente arbitrario: alla base del recesso datoriale deve esserci una motivazione, una giustificazione, appunto. Non indica, però, quali possano essere le giustificazioni valide, rimandando, in pratica, alle legislazioni e prassi nazionali.

Dal combinato disposto con l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, però, emerge con chiarezza quali motivazioni non possano assolutamente costituire ragioni di licenziamento: “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.

 

 

  1. 2.     Il principio di non discriminazione anagrafica e la c.d. clausola di giustificazione 

All’art. 21 della Carta di Nizza, che sancisce – tra gli altri – il principio di non discriminazione anagrafica, segue la direttiva 2000/78/CE[5]: “sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga; sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone”.

La citata direttiva, però, nel caso di disparità di trattamento in funzione dell’età anagrafica prevede una sorta di clausola di giustificazione[6], non presente nelle altre ipotesi discriminatorie: “Gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari”. Alla luce di tale norma, dunque, non sussiste discriminazione laddove i diversi trattamenti siano giustificati, nel diritto nazionale, da una finalità legittima – quale può essere, ad esempio, la promozione di una politica di ricambio generazionale  – e i mezzi adoperati siano adeguati allo scopo. La verifica di tali circostanze (cioè, le finalità legittime e i mezzi appropriati e necessari) spetta al giudice nazionale.

La c.d. clausola giustificatoria delimita, pertanto, l’ambito di applicazione, “indicando cosa non è (o non può essere) discriminazione”[7], per poi concretamente rimandare all’interpretazione giurisprudenziale.

 

3. L’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sui licenziamenti per età pensionabile

In ambito europeo, “il fronte più movimentato dell’attuale diritto antidiscriminatorio”[8] è proprio quello basato sull’età: numerose sono le controversie – soprattutto promosse da lavoratori anziani che siano stati licenziati per il raggiungimento dell’età pensionabile – sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia[9].

Proprio ora che è più vivo l’interesse in Europa per il c.d. active ageing[10], cioè le politiche sociali di invecchiamento attivo, volte ad agevolare il prolungamento della vita lavorativa e a valorizzare il contributo che i lavoratori “anziani” possono offrire alla società[11], sembra emergere con maggiore chiarezza e urgenza il problema della discriminazione per età pensionabile.

La discriminazione nei confronti dei lavoratori considerati anziani è definita la “discriminazione del futuro”[12], in quanto si tratta di un criterio pericoloso e “inafferrabile”[13], che non individua una categoria specifica e determinata di persone: tutti – prima o poi – siamo “potenziali vittime”[14] di un brusco turn over[15].

La Corte di Giustizia, in questi anni, si è più volte trovata ad affrontare tale spinosa questione[16], che coinvolge numerosi e complessi interessi e a cui non è sempre agevole trovare soluzione.

In tema, ad esempio, di recesso ad nutum per il raggiungimento di un’età massima, il giudice comunitario opera caso per caso – anche a seconda dell’attività lavorativa svolta dal lavoratore – il bilanciamento tra il principio di non discriminazione anagrafica e la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, nonché della salute individuale e collettiva[17].

In tal modo, l’orientamento tracciato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea costituisce un interessante punto di riferimento per il nostro Paese in un campo a tutt’oggi quasi inesplorato[18] e che, invece, richiederebbe grande attenzione alla ricerca di un equilibrio tra la tutela del lavoratore anziano contro un licenziamento discriminatorio per età[19] e il potere del datore di lavoro di programmare e attuare il ricambio generazionale in azienda, anche alla luce dell’ultima riforma pensionistica[20] e delle previste incentivazioni alla prosecuzione dell’attività lavorativa[21].

 

Marianna Russo

 

Ispettore del lavoro DTL Roma

Dottoranda di ricerca in Diritto del Lavoro Università La Sapienza Roma

 

Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autrice e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

 

 


[1] Proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata ufficialmente il 12 dicembre 2007.

[2] Entrato in vigore l’1 dicembre 2009.

[3] Vd. art. 151 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

[4] Sul punto, vd. G. Orlandini, Il licenziamento individuale nell’Unione Europea, in Riv. crit. dir. priv., 2012, p. 25.

[5] Cfr. art 2, comma 2,  direttiva n. 2000/78 del 27 novembre 2000.

[6] Art. 6 direttiva n. 2000/78.

[7] M. Ranieri, Direttive antidiscriminatorie di seconda generazione e Corte di Giustizia dell’UE: alcune questioni problematiche, in Riv. giur. lav., 2013, I, p. 177.

[8] D. Izzi, La Corte di Giustizia e le discriminazioni per età: scelte di metodo e di merito, in Riv. giur. lav., 2013, I, p. 126.

[9] La prima pronuncia in materia è Corte Giust. UE 22 novembre 2005, causa C-144/04, (Mangold), in Racc., 2005, p. 9981.

[10] Il 2012 è stato dichiarato anno europeo per l’invecchiamento attivo al fine di sensibilizzare la solidarietà tra generazioni.

[11] Per un approfondimento sull’argomento, vd.  T. Treu (a cura di), L’importanza di essere vecchi. Politiche attive per la terza età, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 24; M. Corti, Active ageing e autonomia collettiva. “Non è un Paese per vecchi”, ma dovrà diventarlo presto, in Lav. dir., 2013, III, 384; P. Ichino, Active ageing: aprire il mercato del lavoro ai sessantenni (e ai giovani), in http://www.pietroichino.it/?p=22627.

[12] M. Falsone, Le deroghe al divieto di discriminazione per età: un pericoloso passe-partout?, in Riv. it. dir. lav., 2011, III, p. 928.

[13] M. V. Ballestrero, Pensionati recalcitranti e discriminazione fondata sull’età, in Lav. dir., 2011, p. 142.

[14] Cfr. M. P. Monaco, La giurisprudenza della Corte di Giustizia sul divieto di discriminazione per età, in Dir. rel. ind., 2010, p. 881.

[15] Cfr. P. De Nardis, Il testimone è caduto: giovani e anziani nel mercato del lavoro in http://host.uniroma3.it/associazioni/astril/attivita_svolte_files.aspx?id=19: “Gli anziani sono coloro che non si rassegnano a diventare i pensionati di oggi. […] Per questo motivo da diverso tempo si parla di invecchiamento attivo e di politiche attive per la terza età. […] L’immagine dell’anziano va rovesciata completamente, valorizzandone capacità e competenze, invece di sottolinearne (presunti) costi sociali e quasi inevitabile improduttività. […] Se di responsabilità individuale si parla, che possa esprimersi, allora, facendo decidere al lavoratore la permanenza in attività oltre una certa soglia di età: è indubbio che il lavoro sia un efficace esorcismo contro il deperimento fisico e psichico, ma la piena espressione della propria autonomia si ha solo con il prolungamento della carriera lavorativa su base esclusivamente volontaria”.

[16] Vd., da ultimo, Corte Giust. UE 26 settembre 2013, C-476/11; 5 luglio 2012, C-141/11; 13 settembre 2011 C- 447/09 (R. Prigge/Deutsche Lufthansa). Vd. anche R. Zucaro, La Corte di Giustizia e il divieto di discriminazione in base all’età: il caso dei piloti della Deutsche Lufthansa, in Dir. rel. ind., 2011, IV, p. 1187.

[17] Ad es., nel settore delle forze armate e dei piloti di volo: vd. Corte Giust. 21 luglio 2011, C-159/10 e C-160/10; 12 ottobre 2010, C-45/09. Cfr. M. Mocella, Età pensionabile e discriminazioni in ragione dell’età, in Riv. it. dir. lav., 2011, II, p. 515.

[18] La ragione anagrafica è stata inclusa tra i motivi di discriminazione elencati nell’art. 15, secondo comma, dello Statuto dei lavoratori solo in seguito all’intervento dell’art. 4 del D. Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, che ha recepito la Direttiva comunitaria 2000/78. Per approfondire le prime pronunce italiane in materia, vd. M. Russo, Licenziamento per raggiunti requisiti pensionistici: dal recesso ad nutum alla discriminazione per età, in Riv. giur. lav., 2014, II, p. 343.

[19] Cfr. Trib. Genova 4 ottobre 2012 – Est. Basilico, che, sulla scorta della copiosa giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia, dichiara nullo il licenziamento fondato esclusivamente sull’età anagrafica (pensionabile)  della lavoratrice.

[20] Vd. art. 24 D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in Legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[21] Sul punto, vd. M. Russo, Lavorare fino a settant’anni: disciplina, tutele ed effetti sul mercato del lavoro dell’art. 24, comma 4, L. n. 214/2011, in Lav. prev. oggi, 2014, V-VI.

Russo Marianna

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