Il “lancio” dello stipendio non è mobbing

Redazione 08/06/11
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La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 12048 del 31 maggio 2011, ha respinto il ricorso di una lavoratrice che assumeva di aver subìto una serie di comportamenti ostili e vessatori tendenti al suo progressivo isolamento nell’ambiente di lavoro e alla sua emarginazione, mortificanti sul piano psichico, in conseguenza dei quali chiedeva il risarcimento del danno biologico, dal danno alla vita di relazione e del danno morale.

Gli atteggiamenti discriminatori di cui era stata destinataria erano, ad avviso della ricorrente, dovuti alla sua richiesta al datore di regolarizzare il proprio rapporto di lavoro, giacchè la dipendente, assunta dapprima con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, e successivamente con un contratto di lavoro subordinato, rivestiva in realtà anche il ruolo di direttore tecnico.

Il datore aveva quindi adottato, per tutta risposta, una condotta umiliante e vessatoria nei confronti della lavoratrice, spingendosi a porre in essere comportamenti come il lancio dello stipendio sulla scrivania in un sacchetto pieno di monetine.

La Cassazione ha tuttavia statuito a riguardo che per far scattare il risarcimento per mobbing l’onere della prova è molto rigoroso ed in particolare laddove trattasi di episodi isolati, per quanto biasimevoli, è esclusa la configurabilità della condotta persecutoria da parte del datore di lavoro.

Nella fattispecie gli episodi mortificanti segnalati avvenivano in un momento in cui i rapporti della lavoratrice con l’impresa erano già compromessi e risultavano isolati o comunque non sistematici: mancava dunque la prova di un persistente atteggiamento a carattere discriminante, ossia l’intento persecutorio.

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