Il diritto di cittadinanza sportiva: i calciatori minorenni stranieri

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In Italia, le statistiche dicono che un bimbo su dieci nasce da genitori stranieri e le previsioni ipotizzano che tra venti anni, un bimbo su cinque sarà figlio di una coppia di stranieri. Una realtà multiculturale e multietnica che si delinea anche negli ambienti sportivi con un’impennata di atleti comunitari ed extracomunitari. L’etnia maggiormente presente proviene dall’area africana ma non mancano i fenomeni migratori dall’Est-europeo (Albania, ex-Jugoslavia, Romania).

Per i bambini stranieri integrarsi in una squadra di calcio italiana significa diventare uno di loro, abbattere quel muro invisibile che spesso divide. A loro sembra quasi un miracolo giocare su un campo in erba e fare la doccia calda al termine della gara. Questo è il lato positivo per quanto riguarda l’integrazione di questi piccoli stranieri; l’aspetto negativo, riguarda invece l’imposizione di regole più ferree per il loro tesseramento federale. La richiesta di documentazione eccessiva costringe i minori nati in Italia ma figli di stranieri, e perciò privi della cittadinanza italiana, a iniziare i campionati con grande ritardo rispetto ai loro coetanei italiani. I documenti loro richiesti risultano talvolta ingiustificati e superflui, soprattutto se si considera che certificato di nascita, di residenza e stato di famiglia, costituiscono già da soli una documentazione comunale sufficiente a identificare qualsiasi persona residente sul territorio. Esiste inoltre il problema dei minori non accompagnati dai genitori, per i quali i servizi sociali che li hanno in carico dovrebbero poter fornire più agevolmente la documentazione sufficiente al tesseramento in Italia senza problemi.

Mentre per il tesseramento di un bambino italiano occorre un solo documento e si fa riferimento al comitato provinciale di appartenenza, tutto diventa molto più complicato per un bambino cd. “di seconda generazione” che, per mezzo della società, deve esibire una grossa mole di documenti al comitato regionale Figc competente ed attendere l’autorizzazione. Ecco allora che il primo giocherà il campionato fin dall’inizio mentre il secondo perderà i primi mesi di partite solo per ragioni burocratiche.

Ad oggi, all’atto del tesseramento di calciatori minori stranieri, in relazione alla loro età (comunque compresa tra i 5 e i 18 anni), alla loro posizione di tesserati o meno in altro Stato estero, al loro status di comunitari o extracomunitari, le società sportive dovranno depositare alla delegazione regionale o provinciale di appartenenza un numero considerevole di documenti: la richiesta di tesseramento, il modulo previsto dalle norme federali, una dichiarazione in cui viene indicato se il calciatore sia mai stato tesserato all’estero firmato dal calciatore e dai genitori, il certificato di iscrizione scolastica in originale, il certificato di cittadinanza del calciatore, il certificato di nascita del calciatore (rilasciato dal Comune di residenza) se nato in Italia o documento equipollente che comprovi la data di nascita, una fotocopia del passaporto del calciatore o documento equipollente, una fotocopia del passaporto o documento equipollente identificativo dei genitori, un certificato contestuale di residenza e stato di famiglia del calciatore rilasciato dal Comune di residenza in originale, il permesso di soggiorno del calciatore e dei genitori, la documentazione comprovante l’attività di lavoro (dichiarazione del datore di lavoro certificata dall’Ente competente attestante la regolare assunzione) o di studio (certificato di iscrizione e frequenza a corsi scolastici o assimilabili riconosciuti dalle competenti autorità); per i minori che non sono in Italia insieme ai genitori invece la società dovrà allegare alla richiesta di tesseramento l’atto di affidamento rilasciato dal Tribunale e il calciatore dovrà risultare residente insieme al tutore nominato dallo stesso.

Come può vedersi, in base alla normativa internazionale e nazionale vigente che è più severa e più rigida rispetto al passato, è oggi richiesta una cospicua quanto dettagliata documentazione che attesti la regolarità delle domande prima dell’autorizzazione al tesseramento.

Di conseguenza è evidente che ci si dovrebbe porre come immediato obiettivo quello di assicurare a tutti i minori, la libertà di giocare a calcio e quella di potersi tesserare senza dover presentare una quantità di documenti di molto superiore rispetto a un cittadino italiano.

Di contro però non è possibile neppure trascurare le motivazioni per cui queste norme molto rigide sono state poste: trattasi del problema della “tratta” di piccoli calciatori stranieri che, portati in Italia con la promessa di giocare nelle grandi squadre, vengono spesso abbandonati al loro destino. Le federazioni difatti, dal canto loro, sostengono che le stringenti politiche in tema di “cittadinanza sportiva” servono a contrastare proprio tale fenomeno.

In realtà ciò finisce con l’applicazione di un’azione indiscriminata che colpisce tutti allo stesso modo e che comunque risulta poco efficace: il sistema infatti può essere facilmente aggirato facendo arrivare i piccoli calciatori attraverso altri Stati, spesso quelli balcanici, attenuando le limitazioni e i controlli.

Occorrerebbe dunque semplificare l’iter per i tesseramenti di calciatori minorenni stranieri, modificando tutte quelle norme troppo rigide ma facilmente superabili da chi opera in maniera sconsiderata, al fine di restituire al calcio il suo ruolo di gioco di inclusione: serve lavorare alla definizione di nuove regole che semplifichino tali processi burocratici nei confronti dei minori stranieri, accompagnati e non, riuscendo in questo modo ad equipararli ai bambini italiani. Un punto di partenza potrebbe già essere l’omologazione dei vari regolamenti regionali, attualmente pieni di varianti e differenze, in un unico regolamento nazionale, scritto in diverse lingue e accessibile a tutti. Anche e soprattutto per giocare a calcio, essere straniero non deve rappresentare un problema.

Avv. Destratis Giulio

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