Il dipendente va risarcito se non condivide il part-time impostogli

Redazione 23/11/11
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È quanto sostenuto nella sentenza n. 24476 del 21 novembre 2011, dalla Corte di Cassazione invocata da un società condannata a corrispondere ad un proprio dipendente le retribuzioni mancate a seguito della riduzione unilaterale del rapporto di lavoro.

La Suprema Corte ha affermato, infatti, che il datore di lavoro non può unilateralmente disporre la riduzione a part-time dell’orario di lavoro e della relativa retribuzione, di un singolo lavoratore, anche se conseguente ad una crisi dell’azienda. La trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time è ammessa soltanto se concordata dalle parti e quando si verificano alcune condizioni fondamentali: deve risultante da atto scritto ad substantiam e deve essere convalidata dalla Direzione territoriale del lavoro dopo aver ascoltato il dipendente. Dunque, la decisione della società di ridurre orario di lavoro e retribuzioni non può essere sorretta da un precedente accordo verbale di nove anni prima.

Debole è apparsa alla Corte la difesa della società datrice di lavoro, la quale ha sostenuto che, pur ammettendosi la mancanza di un accordo scritto sulla riduzione dell’orario di lavoro, incombeva sul lavoratore l’onere di dimostrare di aver messo a disposizione le proprie energie lavorative in favore della parte datoriale per il tempo restante, in quanto solo attraverso un formale atto di messa in mora poteva giustificarsi la pretesa risarcitoria per le retribuzioni non percepite per le ore lavorative effettivamente non prestate, pena un indebito arricchimento del lavoratore. Ma tale tesi, avanzata dalla ricorrente nell’intento di giustificare l’esonero dal pagamento delle ore lavorative non espletate per effetto della riduzione dell’orario di lavoro, è stata ritenuta infondata dalla Cassazione proprio per il fatto che la riduzione dell’orario di lavoro era stata disposta unilateralmente dalla stessa parte datoriale senza il consenso del lavoratore, per cui non poteva ricadere su quest’ultimo l’onere di dimostrare di aver inutilmente messo a disposizione le proprie energie lavorative al fine di reclamare il pagamento delle restanti ore lavorative, il cui svolgimento non gli era stato consentito dalla controparte.

Ne consegue che, in virtù del principio di conservazione del negozio giuridico, la nullità della clausola sul tempo parziale, anziché inficiare l’intero contratto, ripristina in concreto l’ordinario trasforma automaticamente il tempo di lavoro da tempo ridotto a tempo pieno (Biancamaria Consales).

 

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