Il difensore può entrare in carcere con il suo personale computer purchè indichi le ragioni che rendano realmente indispensabile l’ausilio di strumentazione informatica durante il colloquio con il suo assistito

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

Il fatto

Il Tribunale di Livorno rigettava l’istanza con cui il difensore di D.V., tratto a giudizio per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti in tema di tributi ed evasione dei diritti doganali, aveva chiesto di essere autorizzato ad accedere presso il carcere di Lecce per avere un colloquio con il suo assistito munito di strumenti informatici dichiarando altresì inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa rispetto alla normativa che non consente al difensore di accedere alla struttura penitenziaria con l’ausilio di supporti telematici per esercitare il diritto di difesa.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore del ristretto adducendo i seguenti motivi: a) errata applicazione degli art. 96 ss. c.p.p., artt. 103 e 104 c.p.p., e art. 415 bis c.p.p., comma 2 evidenziandosi come alcuna norma limiti il diritto dell’imputato, non solo del difensore, di accedere agli atti che lo riguardano per cui l’ordinanza impugnata avrebbe violato il diritto di difesa impedendo al difensore di esaminare il fascicolo su supporto informatico con il proprio assistito non essendo sufficiente un’informazione generica del difensore; b) violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., oltre che la C.E.D.U., 5 comma 2 e 6, evidenziandosi che il G.U.P. e l’Amministrazione penitenziaria avevano impedito l’esame completo del fascicolo processuale all’imputato in violazione del suo diritto di difesa e del dovere da parte del difensore di esercitare pienamente il proprio incarico professionale non potendo essere svolte indagini difensive stante la mancata conoscenza degli atti; c) violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. rinnovando l’eccezione di legittimità costituzionale degli art. 103 e 104 c.p.p. e osservando al riguardo che il G.U.P., nel ritenere manifestamente infondata la questione, non aveva in realtà chiarito quale disposizione vieti l’accesso del difensore al carcere con lo strumento necessario all’esercizio del diritto di difesa, cioè il computer, ravvisandosi al contempo una palese disparità di trattamento in danno della difesa non essendo ragionevole che, in un processo sempre più telematico, l’informatica possa utilizzata solo da parte del P.M. e dell’Ufficio giudicante imponendo l’art. 111 Cost. la ricerca della verità e non il preponderante potere degli organi inquirenti e giudicanti rispetto a chi è chiamato a difendere l’imputato in condizioni non paritarie.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva stimato inammissibile perché manifestamente infondato.

Si osservava prima di tutto che: 1) a norma dell’art. 104 c.p.p., l’imputato in stato di custodia cautelare ha diritto di conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della misura, disponendo l’art. 36 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura speciale che, per conferire con la persona fermata, arrestata o sottoposta a custodia cautelare, il difensore ha diritto di accedere ai luoghi in cui la persona stessa si trova custodita; 2) , la L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 18, comma 2, recante norme sull’ordinamento penitenziario, ribadisce che i detenuti hanno diritto di conferire con il difensore, sin dall’inizio dell’inizio dell’esecuzione della misura o della pena, fatto salvo quanto previsto dall’art. 104 c.p.p., in ordine all’eventuale dilazione dei colloqui, applicabile invero in casi del tutto eccezionali; 3) il D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 37, comma 3, (“regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà“) stabilisce più specificamente che le persone ammesse al colloquio con i detenuti sono identificate e sottoposte a controllo con le modalità previste dal regolamento interno al fine di garantire che non siano introdotti nell’istituto strumenti pericolosi o altri oggetti non ammessi.

Orbene, una volta concluso questo excursus normativo, gli ermellini facevano presente come nessuna di queste norme vieti espressamente che il difensore effettui i colloqui in carcere con il suo assistito con l’ausilio di strumenti informatici trattandosi evidentemente di una modalità di esecuzione del colloquio che può essere presa in considerazione verificandone la compatibilità con le parallele esigenze di sicurezza sottese all’imposizione della restrizione custodiale
tenuto conto altresì del fatto la Corte costituzionale ha affermato (ad esempio con le sentenze n. 212 del 1997 e n. 143 del 2013) che tutti i detenuti, anche in forza di condanna definitiva, possono conferire con i difensori senza sottostare nè ad autorizzazioni, nè a limiti di ordine “quantitativo” (numero e durata dei colloqui) e ciò non solo con riferimento a procedimenti giudiziari già promossi ma anche in ordine a qualsiasi procedimento contenzioso suscettibile di essere instaurato restando affidata all’Autorità penitenziaria, in correlazione con le esigenze organizzative e di sicurezza connesse allo stato di detenzione, solo la determinazione delle modalità pratiche di svolgimento dei colloqui (individuazione degli orari, dei locali, dei modi di identificazione del difensore e simili) senza alcun possibile sindacato in ordine all’effettiva necessità e ai motivi dei colloqui stessi.

Chiarito ciò, con riferimento alla specifica problematica sottoposta dal difensore, ovvero la possibilità per lo stesso di recarsi al colloquio con il suo assistito munito di computer, ad avviso della Corte, si imponeva la preliminare necessità di verificare in che termini un’istanza del genere sia funzionale all’esercizio del diritto di difesa nel senso che la questione centrale non è tanto quella di stabilire in astratto se il difensore possa entrare o meno in carcere con il suo personale computer ma piuttosto quella di verificare in che termini possa dispiegarsi in concreto il diritto di difesa le cui modalità di esercizio devono necessariamente adattarsi al peculiare contesto ambientale in cui si svolge il colloquio con la persona assistita. Tal che se ne faceva conseguire che la preventiva valutazione del modo in cui contemperare le esigenze di protezione della sicurezza con quelle del diritto di difesa impone innanzitutto che siano adeguatamente illustrate dal difensore le ragioni che rendano realmente indispensabile l’ausilio di strumentazione informatica durante il colloquio.

Ebbene, nel caso di specie, il Supremo Consesso osservava come l’istanza difensiva, per un verso, fosse del tutto carente in quanto, dalla documentazione presente nel fascicolo processuale, si evinceva che, con l’istanza del 12 dicembre 2018, il difensore di D. chiedeva al Direttore della Casa circondariale di Lecce di accedere al carcere con computer portatile “dovendo predisporre adeguata memoria difensiva e procedere alla visione insieme allo stesso (ovvero al suo assistito) del corposo fascicolo penale la cui udienza è fissata per il 14.12.18 avanti al Tribunale di Livorno“, per altro verso, era del tutto generica non essendo state specificate le ragioni per cui non era stato possibile stampare gli atti processuali necessari la cui entità, secondo la Corte, non era stata affatto chiarita.

Oltre a ciò, si formulava l’ulteriore considerazione secondo la quale la necessità di assicurare il più ampio dispiegamento del diritto di difesa ben poteva essere salvaguardata, superando tutte le criticità appena rilevate, con una differente modalità ovvero utilizzando uno dei computer in dotazione alla struttura penitenziaria mediante uno strumento di consultazione dei files esterni (ad esempio una pen-driver) da sottoporre al preventivo controllo del personale preposto alle relative verifiche posto che ciò avrebbe consentito di scongiurare il rischio che l’introduzione di un personal computer dall’esterno potesse favorire, anche mediante l’utilizzo di internet, l’accesso a informazioni estranee a quelle strettamente funzionali alla conoscenza degli atti processuali utili all’esercizio delle prerogative difensive.

In definitiva, si riteneva come nè nell’istanza rivolta all’Amministrazione penitenziaria prima, e al G.I.P. poi, nè nell’odierno ricorso, la difesa avesse illustrato compiutamente i motivi per cui il diritto di difesa di D. poteva essere assicurato in concreto solo attraverso l’ingresso nel carcere del computer personale del difensore dato che questa possibilità di far entrare nel carcere questo strumento informativo, sempre ad avviso della Cassazione, avrebbe potuto costituire un’ipotesi del tutto residuale ove fosse stata verificata, in primo luogo, l’assoluta impossibilità di utilizzare documenti cartacei e, in secondo luogo, l’assenza di dotazioni informatiche della struttura carceraria con cui eventualmente utilizzare i dati informatici a disposizione della difesa.

Da ciò se ne faceva discendere la manifesta infondatezza del ricorso non stimandosi ravvisabile nè alcuna compressione del diritto di difesa dell’imputato detenuto, nè alcun profilo di illegittimità costituzionale della normativa in tema di colloqui con i detenuti.

 

Conclusioni

 

La sentenza in oggetto è assai interessante in quanto chiarisce entro quali limiti è possibile per il legale portare un personal computer all’interno di un carcere.

I giudici di piazza Cavour, difatti, in questa decisione, hanno affermato in primo luogo che spetta al difensore menzionare le ragioni che rendano realmente indispensabile l’ausilio di strumentazione informatica durante il colloquio con l’assistito ristretto in carcere e hanno stabilito in secondo luogo, ove il legale debba redigere una memoria difensiva assieme all’assistito, che è consentito l’ingresso di questo strumento informativo solo nella misura in cui, da un lato, sia assolutamente impossibile utilizzare documenti cartacei, dall’altro, non vi siano dotazioni informatiche della struttura carceraria con cui eventualmente utilizzare i dati informatici a disposizione della difesa.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, dunque, proprio perché fa chiarezza su tale peculiare problematica giuridica, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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