Il danno da usura psico-fisica va tenuto distinto dall’ulteriore danno alla salute

Redazione 29/10/13
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Lilla Laperuta

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 24180 del 25 ottobre 2013, ha condannato un ente pubblico al risarcimento del danno da usura psico-fisica per aver costretto un proprio dipendente a lavorare per sette giorni consecutivi. Nelle argomentazioni espresse, in particolare, riconfermando una consolidata giurisprudenza di legittimità, viene precisato che in relazione al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, va tenuto distinto il danno da “usura psico-fisica”, conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall’ulteriore danno alla salute o danno biologico, che si concretizza, invece, in una “infermità” del lavoratore determinata dall’attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali. Nella prima ipotesi, il danno deve ritenersi presunto; nella seconda ipotesi, invece, il danno alla salute o biologico, concretizzandosi in un’infermità del lavoratore, non può essere ritenuto presuntivamente sussistente. La distinzione fra le due fattispecie di danno, dunque, si evidenzia sotto il profilo dell’onere della prova, poiché questo danno ulteriore dovrà essere dimostrato sia nella sua sussistenza e sia nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall’illecito contrattuale.

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