Il Contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (a cura di Massimo Viceconte)

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Autore: Barassi Ludovico

Editrice: Vita & Pensiero

Anno edizione:2003 ISBN: prezzo: € 50,00

L’editrice Vita e pensiero di Milano ha pubblicato recentemente, con ristampa anastatica dell’edizione del 1901, nella Collana “Ricerche”, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italianodi Lodovico Barassi. Lopera conti­ene: una introduzione di Mario Napoli dal significativo titolo Ritornare a Barassi?, una Bibliografia italiana di diritto del lavoro precedente a Il contratto di lavoro nel diritto positivo italianoa cura di Antonella Occhino e ,ovv­iamente, il testo del manuale.

SOMMARIO.Mario Napoli Ritornare a Barassi?Bibliografia italiana di diritto del lavoro precedente a “ Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano”di Lodovico Barassi, 1901 (a cura di A. Occhino).

LODOVICO BARASSI Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901) Prefazione.Introduzione.I.Natura del rapporto locativo scatente dal contratto di lavoro II. Contratti affini III. Gli elementi del contratto di lavoro IV.Posizione giuridica del creditore del lavoro V. Posizione giuridica del debitore del lavoro VI. La coercibilità della prestazione di lavoro VII. Estinzione del rapporto locativo

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Sotto il mero profilo giuridico lapproccio barassiano ci pare molto lonta­no dal nostro modo di concepire il diritto del lavoro: “Il contratto di lavoro-è l’incipitdell’opera – è sorto fin dai tempi in cui l’uomo non bastò più a se stesso pel soddisfacimento dei suoi bisogni, e dovette quindi ricorrere all’opera del suo simile per procurarsi ciò che poteva soddisfare i bisogni nuovi.E’ da questo momento (notiamo per incidenza) che è cominciata la cosiddetta

“questione sociale “, la quale è stata acuita dalla caratteristica propria della civiltà umana, in cui i bisogni aumentano in proporzione assai maggiore che non accrescano e si perfezionino i mezzi per soddisfarli. Pare perciò an­che a noi assurda l’affermazione di qualche moderno sociologo, per cui il contratto di lavoro sarebbe sorto dall ‘attuale ordinamento industriale.E’ stato osservato giustamente che quella affermazione può esser vera solo per quella particolare forma che il rapporto locativo ha assunto per le nuove condizioni economiche e sociali sorte dalla grande industria. Del resto avvertiam­o fin d’ora che dal punto di vista del nostro diritto positivo questa differenza ­non si può fare come si può forse fare da un punto di vista sociologico. La grande industria ha avuto per effetto un aggravamento di talune responsabità degli industriali, e un maggior intervento dello Stato a protezione degli operai. Ma il contratto di lavoro nella sua essenza, nella sua costruzione giuri­dica (l’unica cosa che ci interessi in queste pagine) non ha risentito da que­sto novello elemento che si è aggregato al vecchio ceppo romanistico nessu­na sostanziale modificazione, non ha variato nella sua struttura intima, perciò che ad esempio l’operaio sia debitore di una serie continuata di prestazioni verso la medesima persona, o, forse più esattamente, verso un medesimo determinato patrimonio,e non ,come un tempo ,esclusivamente di una prestazione sola e breve>.

Ma per comprendere la distanza che ci separa dal Barassi ma anche la vicinanza con lo stesso, e ciò per quello strano fenomeno ciclico per cui le concezioni del passato si ripropongono nei tempi moderni,quasi a conferma di quelle dottrine filosofiche che vedono nelle vicende umane dei corsi e ricorsi, riteniamo opportuno riproporre al lettore,certi che le troverà di sicuro interesse,alcune pagine fondamentali dell’opera barassiana.

E così si rilegga il Capo Primo, Natura del rapporto locativo scatente dal contratto di lavoro,Definizione e denominazione:

<<1. Art. 1570. “ La locazione delle operè è un contratto per cui una delle parti si obbliga a fare per l’altra una cosa mediante la pattuita mercede ”.

Barassi ne sente l’inadeguatezza,intesa come insufficienza e contraddizione ed espone le varie posizioni critiche subito assunte da parte della dottrina.

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Na­turalmente le critiche furono acerbe, e alcune anche ingiuste.

a)Fu detto ad esempio che in tutti i contratti sinallagmatici esiste l’obbligazione di fare qualche cosa, quand’anche si tratti di prestazione ad dandum. Ma la censura è infondata. Certo che ogni rapporto obbligatorio costituisce una signoria sulla volontà di una persona, un vincolo che gravita sull’attività del debitore, in quanto questi deve indirizzarla necessariamente a un dato scopo; presuppone appunto una determinata attività del debitore avente per fine la soddisfazione dell’obbligazione, e questa attività consta di un certo numero di azioni sue : così il debitore di una cosa deve custodirla prendendo le precauzioni opportune, deve anche misurare, scegliere, pe­sare secondo i casi e finalmente fare la consegna. Ma l’obbiettivo vero è qui la consegna pura e semplice e gli altri atti che implicano un facere stono atti accessori, non hanno importanza alcuna presi a sè, sono insomma semplici mezzi di esecuzione, mezzi per ottenere uno scopo . Il fare di cui all’art. 1570 è quel facere, quella faciendi necessitas che costituisce l’ob­biettivo importante e diretto del rapporto obbligatorio, e a cui ponno essere inerenti, a guisa di mezzi di esecuzione, atti consistenti puramente nel dare, che escludono un’attività più o meno prolungata del debitore .

b)Altri disse che questa definizione comprende il mandato. Su questo punto terremo diffusamente parola. più innanzi, quando accenneremo alla distinzione tra la locazione di opere o di opera e il mandato. Ci limitiamo ora a dire che la differenza fra i due istituti risulta dalle parole << mediante la pattuia mercede>>.

c) “ A fare una cosa ” è troppo vago, dice il Vita-Levi .Ammetto volentieri che dal punto di vista dell’esattezza rigorosa scientifica quell’articolo non è perfetto. Ma si doveva pur anche osservare che il legislatore in quell’articolo ha tentato di dare una definizione complessiva per il contratto di lavoro nelle sue grandi branche, e che perciò (ammessa la possibilità e la convenienza di siffatta definizione) non si poteva pretendere che desse una descrizione succinta — e quindi involuta e inafferrabile — delle caratteristiche del contratto di lavoro nelle sue due suddivisioni. Cotesti non sono che tentativi artificiosi da compilatore paziente di nessuna utilità pratica. Doveva quindi limitarsi ad accennare a ciò che costituisce caratteristica fondamentale di cotesto rapporto giuridico di fronte agli altri: e cioè a questo, che tale rapporto locativo mira a un fare, e non a dare o a un non dare, e più precisamente a una prestazione di fare che ha per motivo lo scopo di speculazione, di lucro, e per causa giuridica l’obbligo nell’altra parte a soddisfare una data retribuzione o mercede.E a questo si è appunto limitato l’art. 1570.>>

E conclude con equilibrio:

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L’art. 1570 racchiude abbastanza bene i limiti entro cui deve rimanere l’argomento che imprendiamo a trattare. Scopo di questo studio è di analizzare il rapporto che intercede tra chi compie un determinato lavoro coll’intenzione di essere rimunerato e quegli per cui il lavoro è fatto e incombe l’obbligo della mercede.

II codice all’art. 1570 definisce questo contratto < locazione delle opere> La denominazione è inesatta, essendo evidente che quell’articolo concerne nella sua più ampia accezione il contratto che ha per oggetto la prestazione di un lavoro purchessia: operae o opus. E d’altronde è una denominazione che può ingenerare facilmente l’equivoco, riferendosi, nella terminologia della tecnica giuridica, più specialmente al contratto con cui taluno presta delle operae nel senso romanistico, contratto che il codice definisce nel n.° 1 dell’art. 1627 come la locazione con cui le persone obbligano la propria opera all’altrui servizio. È notevole che nostra legge usa la parola opere nel n.° 3 dell’art. 1627 per indicare l’opus romanistico; quindi si dovrebbe dire opera tanto per l’una come per 1 ‘altra forma di contratto : ciò che non offre certo un criterio distintivo gran che efficace.>>

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Ma continua ancora:

<‘altra denominazione comune a tutte le forme di lavoro retribuito usa la legge nostra, precisamente nella prima parte dell’art. 1627: < locazione di opere e di industria >. Anche questa è imperfetta: queste parole sono state copiate dai compilatori del codice Napoleone da Pothier. Ora il grande pandettista, fonte diretta della codificazione francese, ha trattato separatamente della locatio rei e della locatio operis (che è quella rispondente al n.° 3.0 dell’art. 1627), e chiama quest’ultima louage des oeuvres mentre assai più esattamente avrebbe potuto adottare il termine che aveva in favor proprio il suggello della tradizione romanistica. Cosi storicamente ma non logicamente si giustifica la denominazione usata dal codice negli oli 1570 e 1627.

Volendo comprendere tanto le< opere > come l'< opera > ed eventualmente le altre forme di lavoro con una parola che tutte le abbracci, dobbiamo ricorrere alla denominazione di < contratto di lavoro > Ma anche questa — già lo notammo nell’introduzione — può ingenerare l’equivoco,perchè usata a preferenza da alcuni giuristi ed economisti tra i più recenti, esclusivamente per la locazione del lavoro industriale, tra industriali e operai . Inoltre essa comprenderebbe, logicamente, anche il lavoro non retribuito. A tal uopo potrebbe adottarsi la denominazione di “ locazione del lavoro, in cui “ locazione ” offre già da sè l’idea del sinallagma. Tuttavia — a prescindere da altri termini che furono proposti, ma che sono assolutamente inaccettabili — la denominazione “ contratto di lavoro ” rimane come l’espressione più corrente e più semplice. Tutto sta nell’intenderci finda principio, e nel porre in sodo, oltre quanto già esponemmo nell’introduzione, che con questa espressione alludiamo al contratto che è fonte di due obbligazioni, miranti allo scambio di lavoro(sotto qualunque sua forma )con un corrispettivo che ne rappresenti l’equivalente.>>,

E già allora,a conferma dell’altro principio fondamentale per cui la sostanza delle cose rimane immutabile, il Barassi andava a trovare l’elemento distintivo del lavoro autonomo dal lavoro subordinato nell’elemento della , nè più nè meno che oggi, e la descriveva così:

< 11 criterio di differenziazione tra i due contratti, come l’abbiamo esposto, sembra per la sua limpidezza dover tagliar corto a ogni discus­sione e a ogni dubbio su questo argomento. Eppure non di rado è diffi­cile in pratica il distinguere l’una forma dall’altra.

La ragione sta in ciò, che oggi quei due rapporti non compaiono che raramente nelle loro forme primordiali più semplici, così come il criterio suenunciato li indica. I bisogni molteplici-di una vita quotidiana febbrile, come l’odierna, ha insinuato in ognuno di essi alcuni elementi, direi quasi, perturbatori, per questo che turbano la semplicità del tipo, e fanno di quei rapporti non di rado qualcosa di indefinibile e di ibrido. Però un esame attento ci deve far scorgere subito verso quale dei due tipi semplici il rapporto, nel caso concreto, propenda. A tal proposito si può dare il seguente criterio: quando il creditore del lavoro è a contatto col lavoro, lo dirige, lo sorveglia, lo indirizza a quei risultati cui egli, mercè le pre­stazioni del debitore, intenda arrivare, vi ha locazione di opere. In tal caso il lavoratore è un istrumento, e un istrumento in un certo senso passivo, nel senso. che presta le proprie attitudini fisiche e intellettive perché l’altra parte le abbia a plasmare e dirigere e indirizzare come egli intende.Questo avviene così per l’operaio come per il direttore di una Banca. L’uno e l’altro non hanno di mira un risultato determinato, ma una semplice prestazione delle proprie energie a quei fini cui la guida, il controllo e la sorveglianza del capo-fabbrica o del consiglio di amministrazione della Banca intende condurle. Esiste dunque un contatto immediato, diretto tra il creditore del lavoro e i mezzi di lavoro offerti dall’altra parte. È in questo che spicca l’analogia della locazione di opere colla locazione di cose. In ambedue si offre qualche cosa (cosa, forze fisiche o intellettive) perchè altri mercé un contatto immediato ne abbia a godere direttamente usandone a suo talento, benché sempre nei limiti dal contratto designati. Così Donello esce a dire: “ Qui operas suas locavit eas praestare debet, tamquam rem et corpus fruendum daret, quoad locasset ”.

Però questo contatto non ha sempre la medesima intensità; ma può andare da un maximum, come è per l’operaio o per lo scrivano che la­vorano sotto la incessante guida del capo di fabbrica o d’ufficio, sino a un minimum, come è per il direttore di Banca, che ha anche un’iniziativa propria.>.

 

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