Il confine tra preterintenzione e dolo eventuale: i fatti di Piazza San Carlo

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     Indice

  1. La vicenda. ‘I fatti di Piazza San Carlo’
  2. I criteri di imputazione dell’omicidio preterintenzionale nel tessuto motivazionale della decisione
  3. Il dolo eventuale come elemento soggettivo idoneo a sorreggere gli atti diretti a ledere o a percuotere nell’omicidio preterintenzionale
  4. Considerazioni finali

1. La vicenda. ‘I fatti di Piazza San Carlo’

Il 3 giugno 2017 Piazza San Carlo (Torino) è inondata da una folla di persone in occasione della proiezione su un maxi-schermo della finale di Champions League Juventus-Real Madrid.

Secondo la ricostruzione della vicenda che traspare dagli atti giudiziari, poco dopo le ore 22 all’interno della piazza si registravano una serie di movimenti repentini da parte della massa di spettatori. In particolare, come emerge dai filmati acquisiti dal circuito di video-sorveglianza municipale, si riscontrava la graduale propagazione di uno stato di terrore nella folla, innescato da una serie di rapine che si stavano perpetrando nella zona ovest della piazza e alimentato dal timore diffuso tra gli astanti di rappresentare il bersaglio di un attentato terroristico [1].

Più precisamente si registravano due ondate di panico che determinavano il ferimento di un ingente numero di spettatori e, per quanto interessa ai nostri fini, il decesso di due persone.

Nella decisione annotata[2] la Suprema Corte confermava la condanna per gli imputati a titolo di omicidio preterintenzionale per aver causato la morte delle due spettatrici, in base al seguente percorso logico-argomentativo: gli atti diretti a ledere o a percuotere erano individuati, lato sensu, nel getto dello spray al peperoncino verso il suolo; l’evento morte nel decesso delle due spettatrici addebitato agli imputati come conseguenza della tensione ingenerata nella folla.

Più analiticamente, il direzionamento dello spray urticante verso il suolo assume rilievo decisivo nelle argomentazioni del Supremo Collegio, come indice rivelatore della volontà degli imputati di offendere non solo e non tanto gli spettatori nelle vicinanze mediante lo spruzzo della sostanza urticante, ma l’intera platea di persone, confidando nella creazione di uno stato di panico all’interno della folla. In definitiva, secondo la ricostruzione confermata nei tre gradi di giudizio, gli imputati non hanno agito allo scopo di rapinare gli spettatori nelle loro vicinanze mediante l’utilizzo dello spray urticante, bensì al fine di derubare un numero non determinato di spettatori, rastrellando dalla piazza tutti gli effetti personali smarriti dalle persone durante la fuga.


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2. I criteri di imputazione dell’omicidio preterintenzionale nel tessuto motivazionale della decisione

Prima di esplorare l’impianto motivazionale a fondamento dell’imputazione del fatto a titolo di omicidio preterintenzionale, occorre notare che il Supremo Collegio ha correttamente escluso l’operatività dell’aberratio ictus (plurilesiva, in congiunzione con l’omicidio preterintenzionale). Infatti l’accertamento, alla luce del direzionamento dello spray urticante verso il suolo, della volontà dei compartecipi di offendere un numero indefinito di spettatori approfittando del panico generato nella folla, implica l’appartenenza delle spettatrici decedute all’oggetto del dolo, precludendo di conseguenza l’applicabilità dell’art. 82 c.p. (secondo comma), il quale postula la non volontarietà (neanche a titolo di dolo eventuale), del fatto commesso in danno della persona offesa [3].

Del pari, su un’altra sponda dell’imputazione soggettiva, merita di essere osservato come né in fase cautelare[4], né in fase di cognizione è stata adombrata la possibilità di ravvisare una responsabilità per gli imputati a titolo di omicidio doloso, specificamente a titolo di dolo eventuale [5]. Senonché in quest’ultimo caso, diversamente da quanto appena rilevato con riguardo all’esclusione del reato aberrante, la soluzione prescelta (l’esclusione dell’imputazione del fatto a titolo di dolo eventuale) appare incoerente rispetto alla ricostruzione della vicenda criminosa.

In tal senso è sufficiente notare che la Suprema Corte, argomentando in forma analitica sul punto, ha individuato diversi fra gli indicatori del dolo eventuale enucleati nella nota sentenza n. 38343 del 2014 (Espenhahn/ThyssenKrupp) [6]: sul versante oggettivo vengono in rilievo le modalità della condotta consistenti nello spruzzo dello spray urticante verso il suolo per favorirne la massima propagazione nella piazza; il comportamento successivo al reato consistente nell’allontanamento disinvolto dal luogo del delitto e dalla ripresa audio-visiva della situazione di disagio creata[7]; sul piano soggettivo, invece, vengono in rilievo il movente dell’azione consistente nella volontà di derubare gli astanti e il conseguimento del risultato perseguito dai compartecipi attraverso il terrore trasmesso nella massa degli spettatori. In breve: gli elementi di prova richiamati indicano la previsione da parte degli imputati dello stato di allarme generato e diffuso tra la folla come una fra le probabili conseguenze della propria condotta.

Alla luce di tali premesse risulta interessante interrogarsi sulle ragioni che hanno condotto all’esclusione in fase di giudizio del dolo eventuale a beneficio dell’imputazione del fatto a titolo preterintenzionale. L’ipotesi più verosimile consiste nella più agevole percorribilità della soluzione consistente nell’imputazione del fatto a titolo di preterintenzione, piuttosto che a titolo di dolo eventuale. Infatti mentre l’accertamento di quest’ultimo necessita della prova, su un piano ipotetico, della volontà di agire da parte del soggetto nonostante la previsione dell’evento letale (“a qualunque costo”), per l’accertamento della preterintenzione è sufficiente, almeno secondo l’orientamento consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità [8], unicamente la sussistenza del dolo in riferimento agli atti diretti a ledere o a percuotere, «in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato»[9].

Inoltre, in prospettiva politico-criminale, per quanto riguarda le esigenze repressive rispetto a una condotta connotata senz’altro da intenso disvalore, sia per la capacità a delinquere manifestata dagli imputati che per il valore dei beni giuridici aggrediti, il trattamento sanzionatorio comminato dall’art. 584 c.p. consente una risposta sanzionatoria senz’altro proporzionata al valore degli interessi offesi dal reato.

Le ultime considerazioni svolte avvalorano la tesi secondo la quale la qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale sia stata favorita, per un verso dall’interpretazione estensiva avallata dal diritto vivente in materia di omicidio preterintenzionale, per un altro dall’elevato grado di rigore che connota la cornice edittale (da dieci a diciotto anni di reclusione) dell’art. 584 c.p.

Cionondimeno, come osserveremo a breve, per fondare la responsabilità degli imputati a titolo di omicidio preterintenzionale, la Suprema Corte ha dovuto dilatare, ulteriormente rispetto alla posizione condivisa nella giurisprudenza di legittimità, il campo applicativo dell’art. 584 c.p. fino a contemplare nell’alveo dell’illecito preterintenzionale ipotesi in cui non solo gli atti diretti a ledere non raggiungono la soglia del delitto tentato, ma in cui la volontà di infliggere percosse o di provocare lesioni si estrinseca nella forma del dolo eventuale.

In definitiva, per come ricostruito dalla presente decisione, la fattispecie di omicidio preterintenzionale risulta composta da atti, diretti in modo non univoco e solo ipoteticamente (dolo eventuale) a percuotere o a causare lesioni dalle quali deriva l’evento morte.

3. Il dolo eventuale come elemento soggettivo idoneo a sorreggere gli atti diretti a ledere o a percuotere nell’omicidio preterintenzionale

In relazione alla ritenuta sufficienza del dolo eventuale quale elemento soggettivo idoneo a sorreggere gli atti diretti a ledere o a percuotere, si potrebbe obiettare alla denunciata dilatazione del campo applicativo dell’art. 584 c.p. che nella giurisprudenza di legittimità precedente alla decisione annotata già si riscontra la configurazione dell’omicidio preterintenzionale nei casi in cui gli atti di violenza sono sorretti dal dolo eventuale.

In verità, è sufficiente oltrepassare quanto statuito nei principi di diritto e analizzare l’apparato motivazionale del diritto vivente richiamato per accertare la discontinuità fra quest’ultimo e la sentenza in esame.

Infatti, nelle decisioni in cui la Suprema Corte ha affermato la configurabilità della fattispecie di omicidio preterintenzionale anche nel caso in cui gli atti di violenza fossero sorretti soltanto dal dolo eventuale, lo ha fatto in relazione a casi in cui la condotta dell’agente aveva già integrato gli estremi di una lesione personale consumata: specificamente si tratta di casi in cui l’evento morte subentrava in seguito alle lesioni inflitte dall’agente alla vittima nel corso di un rapporto sessuale [10], ovvero in seguito alle lesioni sofferte da quest’ultima dopo essere stata trascinata per terra dall’agente nel corso di un tentativo di scippo [11].

Al di là della correttezza del ricorso allo schema di imputazione preterintenzionale negli episodi appena descritti, si può evincere nitidamente come nelle due sentenze richiamate la condotta dell’agente abbia prodotto una lesione in senso materiale in danno della vittima, mentre risulta controversa la volontà di causare dolore fisico o psichico (la “malattia nel corpo o nella mente” richiesta dall’art. 582 c.p. come evento del reato).

Nell’episodio scrutinato dalla decisione in esame, invece, le lesioni cagionate in danno della massa di spettatori non interagiscono in un rapporto causale diretto con il getto dello spray urticante, ma costituiscono l’effetto delle ondate di panico e della fuga scomposta delle persone dalla piazza teatro della vicenda. Se così stanno le cose, diversamente dai casi richiamati in precedenza, nei fatti in giudizio non solo le conseguenze ‘patologiche’ (la “malattia nel corpo o nella mente”), ma la stessa produzione di un evento lesivo (fisico o psichico) in danno di spettatori fuori dal campo visivo degli agenti non appartiene né al fine della condotta (c.d. dolo intenzionale), né può essere considerata una conseguenza prevista in termini di certezza dagli imputati (c.d. dolo diretto).

Alla luce di quanto osservato, non solo la decisione in commento non si allinea all’indirizzo consolidato nella giurisprudenza di legittimità in tema di omicidio preterintenzionale, ma collide apertamente anche con l’orientamento prevalente della Corte regolatrice, la quale esclude la configurabilità del delitto tentato nel caso di una condotta mediante la quale l’agente abbia accettato la verificazione di un evento criminoso come rischio della propria condotta (c.d. dolo eventuale), ma non l’abbia voluta (né come fine, né come conseguenza necessaria dell’azione) [12]. Esplicitando la riflessione, occorre rilevare come nella decisione in esame il Supremo Collegio ha considerato sufficiente il dolo eventuale per imputare una serie di atti solo prodromici rispetto all’integrazione degli estremi di un tentativo punibile. Beninteso, come si ha già avuto modo di osservare, nel caso in giudizio si potrebbero ravvisare gli estremi di un duplice omicidio commesso con dolo eventuale, alla luce dell’impossibilità di controllare gli effetti del panico su una piazza gremita di persone e del correlato dovere di evitare condotte idonee a innestare il terrore nella folla. Tuttavia proprio siffatta impossibilità di prefigurare in casi del tipo di quello in giudizio la gravità delle conseguenze lesive – da ferite di lieve entità alla morte di qualche spettatore – tanto più in un momento storico contraddistinto da un elevato allarme sociale per gli attentati terroristici perpetrati nei mesi precedenti al fatto, avrebbe dovuto indurre a riscontrare la volontà da parte degli imputati, a titolo di dolo eventuale, dell’evento morte [13].

4. Considerazioni finali

In ultima analisi, le riflessioni svolte suggeriscono che, inizialmente, la fase di formulazione del capo di imputazione è stata influenzata dalla difficoltà percepita di provare la sussistenza del dolo eventuale; in definitiva, che il Supremo Collegio, per garantire una risposta sanzionatoria adeguata alla gravità del fatto, non ha inteso annullare la sentenza oggetto del ricorso, indicando al giudice del rinvio la soluzione costituita dall’imputazione del fatto a titolo di omicidio colposo (sub specie di colpa cosciente).

Due sono i rischi che si annidano in questa configurazione della fattispecie di omicidio preterintenzionale: il primo consistente nella promozione di una prassi applicativa ingiustificatamente cauta nel ricorso al dolo eventuale ed eccessivamente disinvolta nel ricorso allo schema della preterintenzione; il secondo consistente nel ricorso alla fattispecie preterintenzionale in assenza di atti diretti intenzionalmente (dolo intenzionale) o volontariamente (dolo diretto) a percuotere o a ledere anche in relazione a casi nei quali l’evento letale sarebbe imputabile all’agente, al più, a titolo colposo (e non a titolo di dolo eventuale come nel caso in commento).

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Note

[1] Un timore tutt’altro che remoto se si considera che nei mesi precedenti e, precisamente, il 22 marzo e il 22 maggio 2017 rispettivamente Londra e Manchester furono teatro di due attentati che avevano causato, complessivamente, la morte di ventidue persone oltre a un ingente numero di feriti.

[2] Cass., sez. V, 20 aprile 2022 (ud. 21 gennaio 2022), n. 15269, in CED, Cass. pen. 2022.

[3] Sul punto cfr., per tutti, Gallo, Il dolo. Oggetto e accertamento, Milano, 1953, p.103; Id., voce Aberratio ictus, in Enc. dir., Milano, 1958, I, p. 70, n. 18; Conti, voce Aberratio (ictus, delicti, causae), in Nov. Dig., Torino, 1957, I, p. 39, il quale definisce la colpa cosciente l’«ultima thule» per la configurazione del reato aberrante ai sensi dell’art. 82 c.p. 

[4] Si rammenta che sui fatti la Suprema Corte era stata già chiamata a pronunciarsi in fase cautelare. Cfr. Cass., Sez. V, n. 13192 del 2018, in Cass. pen., 2020, 1, p. 218 ss. con nota adesiva di Rossi, Osservazioni. Cass. Pen., Sez. Sez. V, data deposito (dep. 26 marzo 2019) n. 13192, in Dir. pen. cont., 15 aprile 2019, con nota di Zirulia, Morte per effetto domino innescato dall’utilizzo di spray urticante: configurabile l’omicidio preterintenzionale c.d. aberrante? Cfr. anche Lanzi, Preterintenzione e reato aberrante, tra vecchi paradigmi e nuove esigenze di tutela, in Discrimen, 11 settembre 2019.

[5] Anzi, in fase cautelare il G.I.P. presso il Tribunale di Torino aveva inquadrato la vicenda nell’ipotesi delittuosa contemplata dall’art. 586 c.p., ravvisando nel delitto di rapina il reato base diverso rispetto all’evento morte conseguente.

[6] Cfr. Cass., sez. un., 18 settembre 2014, n. 38343, in Cass. pen., 2015, 2, p. 426, con nota di Summerer, La pronuncia delle sezioni unite sul caso Thyssen Krupp. Profili di tipicità e colpevolezza al confine tra dolo e colpa. Mutuando le riflessioni del Supremo Collegio nella sua massima composizione (Cass., sez. un., 18 settembre 2014, cit., p. 178), si rammenta che «quanto più alta è l’affidabilità, la coerenza e la consonanza dei segni tanto maggiore risulta la forza del giudizio finale». In altri termini, maggiore nel caso concreto è il numero degli elementi di prova elaborati dalla richiamata sentenza, maggiori sono le possibilità di imputare il fatto a titolo di dolo eventuale.

[7] Si legge nella sentenza (Cass., sez. V, 20 aprile 2022, cit., p. 12) che gli imputati «si allontanavano indisturbati dalla scena (…) filmandosi sghignazzando per l’effetto ottenuto».

[8] Come è noto, invece, la dottrina dominante considera necessaria la sussistenza degli estremi del delitto tentato di lesione personale o di percosse per la configurabilità dell’omicidio preterintenzionale. Sul tema cfr. Canestrari, L’illecito penale preterintenzionale, Padova, 1989, p. 218 ss.; Id., voce Preterintenzione, in Dig. disc. pen., 1995, XI, p. 736; Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Milano, 1992, p. 66; Calvi, Reato aberrante e omicidio preterintenzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1962, p. 1137; Spasari, Osservazioni sulla natura giuridica del c.d. delitto preterintenzionale, in Arch. pen., 1957, I, p. 255 ss.; Zuccalà, Il delitto preterintenzionale, Palermo, 1952, p. 16; Prosdocimi, Delitti aggravati dall’evento e reato complesso, in Ind. pen., 1985, p. 299.

[9] Cass., sez. V, 20 aprile 2022, cit., p. 13. Concordi, Cass., sez. V, 24 maggio 2018, n. 28706; Cass., sez. V, 14 settembre 2016, n. 1691; Cass., sez. V, 14 settembre 2016, n. 1691; Cass., sez. V, 18 ottobre 2012, n. 791; Cass., sez. V, 17 maggio 2012, n. 40389; Cass., sez. V, 8 marzo 2006, n. 13673.

[10] Cfr. Cass., sez. V, 23 aprile 2018, n. 18048, in Guida dir., 2018, p. 82 ss.

[11] Cass., sez. V., 12 novembre 2008, n. 44751.

[12] Cfr. Cass., sez. I, 20 gennaio 2017, n. 12813; Cass., sez. I, 14 novembre 2007, n. 44995.

[13] È chiaro che tale scelta non avrebbe potuto competere al Supremo Collegio, stante il divieto di reformatio in peius in assenza di ricorso da parte del Pubblico Ministero. Quest’ultimo avrebbe dovuto determinarsi nella fase iniziale del procedimento per l’imputazione del fatto a titolo di omicidio doloso ovvero il giudice di primo grado avrebbe dovuto riqualificare il fatto come omicidio doloso (compatibile con il divieto sancito dall’art. 522 c.p.p., in quanto non implicante un pregiudizio per l’effettivo esercizio del diritto di difesa).   

Pasquale Mastrolia

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