Gratuito patrocinio: sanzione disciplinare all’avvocato che chiede soldi al cliente ammesso al beneficio

Redazione 23/04/13
Scarica PDF Stampa

Anna Costagliola

È legittima l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione a carico dell’avvocato che ha chiesto ad un cliente ammessa al patrocinio a spese dello Stato un compenso per l’attività professionale prestata successivamente all’ammissione al beneficio. È quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 9529 del 19 aprile scorso, che ha respinto il ricorso del legale avverso la delibera del Consiglio Nazionale Forense (CNF) con la quale era stata confermata la decisione del Consiglio dell’Ordine di Bergamo.

Nel ricostruire l’ambito e la portata dell’istituto, il CNF ha sottolineato che solo l’attività professionale di natura stragiudiziale che l’avvocato si trovasse a svolgere nell’interesse del proprio assistito non è ammessa al patrocinio, in quanto esplicantesi fuori del processo, con la conseguenza che il relativo compenso si pone a carico del cliente. Viceversa, ove si tratti di attività professionale svolta in vista della successiva azione giudiziaria, essa deve essere ricompresa nell’azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato, sicché in relazione ad essa il professionista non può chiedere il compenso al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Detta ricostruzione è stata fatta propria dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza in oggetto, le quali hanno condiviso, con il CNF, l’esclusione della configurabilità alla stregua di un’attività stragiudiziale di quella posta in essere, nel caso concreto, dal professionista incolpato di aver richiesto per il suo espletamento il compenso al cliente. Nello specifico, infatti, si trattava di mera attività propedeutica al procedimento da instaurare innanzi al giudice tutelare in relazione al quale era stata deliberata l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Secondo gli Ermellini, il CNF ha correttamente esercitato il suo potere discrezionale in ordine alla valutazione delle circostanze fattuali, ravvisando nella voce «ricerca documenti» tra quelle indicate nella nota riepilogativa delle competenze una voce destinata a compensare l’avvocato per l’attività posta in essere in funzione dell’instaurazione del giudizio, e dunque idonea ad evidenziare il legame teleologico con l’azione giudiziaria in relazione alla quale era stato adottato il provvedimento di ammissione al beneficio de quo.

Né dai giudici della Suprema Corte è apparsa rilevante la doglianza relativa all’eccessiva gravità della sanzione inflitta, in considerazione, soprattutto, dell’assenza di precedenti a carico del professionista e della lunga opera di assistenza prestata gratuitamente in favore delle parti non abbienti. Sul punto, le Sezioni Unite ribadiscono il consolidato orientamento della Cassazione per cui, in tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il potere di applicare la sanzione adeguata alla gravità ed alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale è riservato agli organi disciplinari, di modo che la determinazione della sanzione inflitta dal CNF non è censurabile in sede di legittimità.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento