Ganasce fiscali illegittime: no al ristoro del danno se non monetizzabile

Redazione 06/02/14
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Biancamaria Consales

Così è stato deciso dalla sesta sezione civile della Suprema Corte di cassazione che, con sentenza n. 2370 del 4 febbraio 2014, ha rigettato la domanda risarcitoria di una contribuente nei confronti di Equitalia, volta al ristoro dei danni subìti a seguito dell’imposizione di ganasce alla propria auto, ritenuta in seguito illegittima.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso della donna, sussistendo la mancanza di alcuna prova circa il pregiudizio di carattere patrimoniale subìto, sia in termini di danno emergente che di mancato guadagno. I giudici di piazza Cavour hanno, poi, considerato non meritevole di tutela il generico “danno da stress” sostenuto ma non provato dalla ricorrente.

“L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 del codice civile – hanno sostenuto gli Ermellini – dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto, caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato, è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno, né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto, affinché l’apprezzamento equitativo sia ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno”.

L’art. 2059 del codice civile costituisce principio informatore di diritto da leggersi come norma che regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali sul presupposto dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’art. 2043 del codice civile e cioè la condotta illecita, l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso.

Nella fattispecie, la parte ricorrente, pur sostenendo che l’illegittimo fermo amministrativo aveva prodotto la lesione di due diritti costituzionalmente protetti (diritto alla proprietà e alla salute), non aveva descritto il danno non patrimoniale in termini insuscettibili di essere monetizzati, inquadrabili in quegli sconvolgimenti quotidiani consistenti in disagi, fastidi, ansie ed altro tipo di insoddisfazione, ritenuti, appunto, non meritevoli di tutela risarcitoria.

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