Figli e cognome del padre naturale

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Nel diritto di famiglia l’espressione figlio naturale indicava in passato una persona nata da due genitori non sposati tra loro.

Questa definizione risale al 1975.

Con la riforma del diritto di famiglia e l’abbandono del termine figlio illegittimo, in contrapposizione a quello legittimo, vale a dire, nato nel matrimonio, superate con la legge 219/2012 e il decreto legislativo 154/2013, che agisce in relazione alla costituzione legale del rapporto di filiazione, si distingue in figlio nato nel matrimonio e figlio nato fuori dal matrimonio, ai fini delle diverse modalità di attestazione del rapporto di filiazione.

L’attuale diritto di famiglia riconosce la pari dignità nella successione indipendentemente dallo status di figlio naturale o legittimo.

La differenza di status era relativa esclusivamente alla costituzione di obblighi della coppia.

Nel caso di figlio naturale ognuno dei due genitori era obbligato individualmente verso il figlio, mentre nel caso di coppia sposata il rapporto di filiazione si costituiva in solido tra la coppia e il figlio.

Nel 2012 e a seguire nel 2013, sono cadute le distinzioni tra le tipologie di figli, e c’è piena equiparazione tra discendenti naturali, legittimi e adottivi.

Le uniche distinzioni, esclusivamente a determinati fini non successori, sono tra figlio nato nel matrimonio e fuori del matrimonio.

In presenza di una coppia non sposata, il padre è obbligato a fare il cosiddetto “riconoscimento”, vale a dire, dichiarare all’anagrafe come proprio il bambino nato dalla propria compagna.

Se non dovesse procedere in questo modo, la madre o il figlio stesso, una volta diventato maggiorenne, lo potrebbero citare in giudizio in qualsiasi momento al fine di ottenere l’accertamento della paternità, che sarebbe una sorta di riconoscimento obbligatorio.

Più il tempo passa e più il genitore assente verrà condannato al risarcimento del danno per avere fatto mancare al bambino l’affetto paterno che è tenuto a dargli per la circostanza esclusiva di averlo messo al mondo, indipendentemente dal tipo di legame, che sia stabile oppure occasionale, matrimoniale o convivente, instaurato con la madre.

Esempio

Una coppia di fatto aspetta un figlio.

Una volta venuto a conoscenza della gravidanza della sua compagna, lui scappa e non si fa più vedere.

Lei decide di fare nascere il bambino, di prendersene cura e gli dà il suo cognome.

Passano alcuni anni, il padre naturale riappare, riconosce il bambino e pretende che il suo cognome venga aggiunto a quello della madre.

La donna, sulla scia dei precedenti, non è d’accordo e si oppone, perché non ritiene che l’uomo meriti che il figlio abbia anche il suo cognome.

A questo proposito, ci si chiede che cosa dica la legge, se il padre naturale può imporre al figlio il suo cognome.

Sulla questione, si è di recente pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 16/01/2020 n. 772, della quale tratteremo di seguito.

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Figli e cognome della madre

Quando nasce un bambino che viene riconosciuto in modo esclusivo dalla madre, la stessa gli dà il suo cognome.

A questo proposito, ci si chiede che cosa succederebbe, se in un momento successivo, il padre voglia riconoscere il figlio come suo.

La madre, al momento della nascita, potrebbe abbandonare il figlio e chiedere di restare anonima, mentre per il padre, l’atto di riconoscimento non è una scelta, ma un obbligo.

Nonostante questo, se l’uomo non si avvale questo diritto e dovere, e la madre non agisce in giudizio per ottenere l’accertamento della paternità, il bambino ai fini legali, resta senza padre.

L’unico accertamento sarà quello del rapporto che lo lega con la madre, della quale, prenderà il cognome.

Se nasce un bambino da una coppia sposata, in presenza del consenso di entrambi i genitori, è possibile, dargli il doppio cognome, vale a dire sia quello paterno sia quello materno.

In presenza di simili circostanze, il cognome del padre resta sempre anteposto a quello della madre.

Il cognome del padre può essere da lui imposto al figlio non riconosciuto?

Ritornando alla ipotesi che è stata fatta all’inizio, facciamo un altro esempio.

Il padre decide di non riconoscere il figlio, in tempi successivi ci ripensa, dopo diversi anni ritorna sui sui passi, lo riconosce e chiede che gli venga dato il suo cognome.

In un precedente, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza del 26/05/2006 n. 12641, ha sostenuto che, se la filiazione nei confronti del padre sia stata accertata o riconosciuta dopo il riconoscimento eseguito della madre, non scatta più in automatico il cosiddetto patronimico, ma può prevalere l’esigenza di conservare il cognome materno.

Una simile situazione, si ha se esistono validi motivi di tutela del minore.

Davanti al contrasto tra il volere del padre e quello della madre, il giudice deve compiere una scelta prudente ed evitare eventuali che ci possano essere delle ripercussioni nella sfera “personale” del figlio.

Secondo la Suprema Corte “nel compiere la valutazione richiesta dall’enunciato normativo, il tribunale deve non dipendere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome, ma deve avere attenzione all’identità personale posseduta dal minore nell’ambiente nel quale è cresciuto sino al momento del riconoscimento da parte del padre”.

Con la pronuncia più recente la stessa Corte ha osservato che, in assenza di comportamenti del padre biologico che rechino pregiudizio, è interesse del minore assumerne il cognome, che andrà postposto a quello della madre, il genitore che lo ha riconosciuto per primo.

In presenza di un successivo riconoscimento da parte del padre, l’attribuzione del cognome dello stesso in aggiunta al cognome della madre è legittima, se non gli arrechi pregiudizio in ragione della cattiva reputazione del genitore, e non leda l’identità personale.

Un’altra circostanza nella quale si può negare l’attribuzione del cognome del padre è quando, dopo molti anni nei quali il figlio ha avuto esclusivamente il cognome della madre, lo stesso si sia consolidato in modo definitivo nei suoi rapporti personali e sociali, e cambiare cognome sarebbe un grave danno.

Quello che deve portare il giudice alla decisione è il perseguimento del migliore interesse del figlio, che coincide con l’evitare un danno alla sua identità personale.

Nel caso specifico, secondo la Corte, il figlio di otto anni con il cognome della madre, non aveva ancora acquisito una definitiva e formata identità da escludere l’aggiunta di un cognome diverso dal suo.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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