Fallimento cagionato da operazioni dolose: presupposti

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Cosa presuppone la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dall’art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall.
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Corte di Cassazione -sez. V pen.- sentenza n.25536 del 26 aprile 2023

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Indice

1. La questione


La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma di una decisione del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di quella stessa città – che aveva riconosciuto l’imputato colpevole, quale socio e amministratore unico dal 19/08/2002 al fallimento di una s.r.l., dichiarato con sentenza, di bancarotta impropria per avere cagionato dolosamente il fallimento della società con il protratto e sistematico omesso versamento di tributi, contributi previdenziali e assistenziali, e con l’abbandono definitivo di ogni attività (capo A), nonché di bancarotta fraudolenta documentale (capo B) – assolveva l’accusato dal delitto sub B), perché il fatto non costituisce reato, e, esclusa la circostanza aggravante di più fatti di bancarotta, ha rideterminato la pena per il residuo delitto sub A) in anni due e mesi due di reclusione, a cui ha commisurato anche la durata delle sanzioni accessorie, revocando, altresì, ai sensi dell’art. 168 co. 1 n. 2 cod. pen., la sospensione condizionale della pena concessa in relazione ad una sentenza emessa dal Tribunale di Roma.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva erronea applicazione dell’art. 223 co. 2 n. 2 L.F. per omessa riqualificazione del fatto ai sensi degli artt. 217 co. 4 e 224 L.F..


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato infondato posto che la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dall’art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall., presuppone una modalità di pregiudizio patrimoniale che discende, non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo, come avviene per la bancarotta distrattiva, in cui la condotta deve consistere in una diminuzione del patrimonio sociale, a prescindere dalla circostanza che abbia determinato il fallimento, che è sufficiente intervenga – ma da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato dato che l’”operazione” è termine semanticamente più ampio dell’”azione“, intesa come mera condotta attiva, e ricomprende l’insieme delle condotte, attive od omissive, coordinate alla realizzazione di un piano; sicché, può ben essere integrata dalla violazione – deliberata, sistematica e protratta nel tempo – dei doveri degli amministratori concernenti il versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell’esposizione debitoria della società (Sez. 5 n. 24752 del 01/06/2018).
Dunque, poiché nella bancarotta impropria cagionata da operazioni dolose, le condotte dolose, che non necessariamente costituiscono distrazione o dissipazione di attività, devono porsi in nesso eziologico con il fallimento, ciò che rileva, ai fini della bancarotta fraudolenta impropria, non è l’immediato depauperamento della società, bensì la creazione, o l’aggravamento, di una situazione di dissesto economico che, prevedibilmente, condurrà al fallimento della società (Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014), e si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli artt. 223, comma primo, e 216, comma primo, n. 1), legge fall. -in cui, invece, le disposizioni di beni societari (qualificabili in termini di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) che sono caratterizzate, secondo una valutazione “ex ante”, da una manifesta e intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata.
Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso in esame, gli Ermellini ritenevano come l’inadempimento sistematico delle obbligazioni tributarie e previdenziali contestato, unitamente all’abbandono della società al suo destino a partire dal 2007, denotasse, a loro avviso, la volontà specifica di far fallire la società, connotando dolosamente la condotta, dal momento che il rilevante importo di tali somme, pari ad oltre € 1.900,000, aveva certamente prodotto il dissesto della fallita.

3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito cosa presuppone la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dall’art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall..
Difatti, fermo restando che la disposizione legislativa appena citata prevede che si “applica alle persone suddette (ossia: agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite ndr.) la pena prevista dal primo comma dell’art. 216, se: (…) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società”, in questa pronuncia si afferma, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dall’art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall., presuppone una modalità di pregiudizio patrimoniale che discende, non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo, come avviene per la bancarotta distrattiva, in cui la condotta deve consistere in una diminuzione del patrimonio sociale, a prescindere dalla circostanza che abbia determinato il fallimento, che è sufficiente intervenga – ma da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato, dato che l’”operazione” è termine semanticamente più ampio dell’”azione“, intesa come mera condotta attiva, e ricomprende l’insieme delle condotte, attive od omissive, coordinate alla realizzazione di un piano; sicché, può ben essere integrata dalla violazione – deliberata, sistematica e protratta nel tempo – dei doveri degli amministratori concernenti il versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell’esposizione debitoria della società.
Tale provvedimento, quindi, ben può essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba verificare la sussistenza di questa fattispecie criminosa.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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